Tanti elementi rendono particolare questa partita. Quello che più istintivamente sovviene alla mente riguarda lo storico gemellaggio che lega da anni le due tifoserie: in tempi in cui la repressione ha favorito l’individualismo, a scapito del lato aggregativo e socializzante dell’essere ultras, trovare rapporti come questi che ancora resistono all’usura del tempo, è già di per sé benaugurante.

Non meno interessante è la contesa calcistica: la Reggiana, in un buon periodo di forma, continua a tallonare un Padova che, fin qui, s’è dimostrato cinico e inarrestabile; il Vicenza, nonostante il blasone e le aspettative iniziali parimenti ambiziose, ha dovuto invece ridimensionarsi notevolmente, alle prese con un’istanza di fallimento che ha rimesso in forte discussione non solo le mire calcistiche, ma anche la vera e propria sopravvivenza del sodalizio berico.

Paradossalmente però, a seguito dell’istanza di fallimento, la squadra e la piazza hanno dato fondo al loro orgoglio ritrovando un’unità d’intenti e un entusiasmo corroboranti, tanto per i ragazzi che scendono in campo che per quelli che li sostengono dagli spalti. Da quando il Vicenza è in amministrazione controllata, la sola prospettiva di essersi liberati della vecchia dirigenza ha dato nuova linfa alla tifoseria, che ha risposto con diverse iniziative dirette ed indirette a sostegno economico della propria squadra, per esempio sottoscrivendo altri seicento abbonamenti per le ultime partite interne, portando la quota totale a 6.731. Senza soffiare sulla solita retorica stantia, se non sono numeri da categoria superiore, quantomeno dicono che Vicenza questo fallimento non lo meriterebbe, per quanto tanto – molto probabilmente – non basterà a salvarli, se non coadiuvato da una importante iniezione di capitali oltre alle liberalità provenienti dai tifosi.

In attesa che l’asta del 20 marzo risponda a questi e altri dubbi sul futuro del Vicenza, c’è da pensare all’immediato, a questo improbabile anticipo al venerdì sera per le solite tediose esigenze televisive: tanto per chiudere il cerchio, le ultime vicissitudini che hanno visto protagonisti oltre ai locali anche Modena e più recentemente Arezzo, sono lì a dirci che forse si dovrebbe pensare un po’ di più alle esigenze del calcio e dei tifosi. Tifosi che poi, in queste circostanze, vengono tirati fuori dal congelatore del luogo comune in cui li si dipinge come violenti e cancro di questo sport, per blandirli ipocritamente e usarli per pratici fini economici. Sarebbe ora che le vecchie mummie che ambiscono alla poltrona vacante in FIGC o quelli che si presentano con facce nuove, improbabili hashtag ma immutata ambiguità, la smettano una volta per tutte con questa bigotta condotta verso i tifosi, che secondo loro non dovrebbero nemmeno parlare con i propri calciatori: pagare, consumare e poi crepare!

Su Vicenza, a ridosso della partita, comincia a scendere una pioggerellina sottile ma insistente e fastidiosa, che in certo qual modo peserà sull’economia del tifo di entrambe le fazioni. Giocando in un giorno ancora lavorativo, il “Menti” va riempiendosi molto a rilento: il dato finale parlerà di 7.812 spettatori, ma oltre ai 1.081 paganti è verosimile che non tutti gli oltre seimila abbonati abbiano avuto la possibilità di liberarsi per tempo dagli impegni quotidiani o la voglia di sfidare il brutto tempo, vista anche la diretta televisiva in chiaro su “Sportitalia” a far da deterrente.

La presenza reggiana mi appare da subito molto positiva in termini numerici, hanno forse l’unico neo – nella vastità del settore loro riservato – di compattarsi male, disponendosi in lungo e disperdendo così le proprie forze. Ma d’altronde ciò è anche figlio delle diverse anime di cui la tifoseria è composta, ognuna delle quali rivendica giustamente il proprio spazio e il proprio posto. Ottima coreograficamente la scelta di tenere a mano le loro pezze, visti gli invadenti cartelloni pubblicitari che in basso avrebbero sicuramente oscurato la loro visibilità.

Ad inizio partita si presentano con una torcia nella zona delle “Teste Quadre” oltre ad un buon paio di bandieroni che sventolano. Immediatamente dopo apriranno uno striscione per celebrare la loro amicizia con i vicentini, assieme al quale si vedrà altra pirotecnica. Sostengono il loro tifo vocale con l’aiuto dei tamburi (in zona “Gruppo Vandelli”), un suono che ha sempre il retrogusto della nostalgia, almeno per me: l’uso che ne fanno è perfetto, non invadente, riesce a sorreggere il loro ritmo e nei momenti di stanca, permette loro di rifiatare con qualche battimano o di suonar la carica per risvegliare gli animi in generale. Sono autori di un primo tempo buonissimo, soprattutto per la costanza con cui hanno proposto il loro repertorio. Nel secondo tempo, onestamente, perdono un po’ in continuità e risulteranno meno efficaci che nella prima frazione, ma in definitiva la loro prova resta di ottimo valore, a testimonianza di un buon periodo di forma per loro e del fatto che, nella disastrata terza serie, ci sono tante tifoserie di valore che meriterebbero più rispetto, se non quei più gratificanti palcoscenici calcistici lasciati alla mercé di squadre senza storia e senza seguito alcuno.

Venendo ai padroni di casa, anche loro decidono di dedicare l’inizio di partita per celebrare la “fratellanza”, come la chiameranno in un successivo striscione, con i reggiani: bandierine rosso-bianco-granata e scritta in basso “Reggio e Vicenza”, semplice ma di buon effetto, che forse poteva essere ancora migliore con bandierine di materiale rilucente, visto che nel buio della sera, il granata tende un po’ a scomparire. A proposito di striscioni, oltre al già citato sulla “fratellanza” ma citata in lingua inglese, nel secondo tempo se ne vede uno a sostegno della libertà di Luca e un altro della “Zona Mucchio” con cui celebrano i loro 13 anni di “inumana” militanza, condito da uno di quei fumogeni arancioni a barattolo che fanno tanto “vecchia scuola” e riempiono l’aria di una densa quanto piacevole coltre. Nel mezzo altra pirotecnica, una sciarpata, un costante sventolio dei bandieroni dei gruppi e di diverse bandiere più piccole in zona centrale. Sulla prova di colore davvero ottimi ed encomiabili, nulla da dire, il tifo vocale invece – per usare un gioco di parole – risulta leggermente incolore: nella prima frazione, trovandomi sotto i reggiani, a parte qualche bel coro secco, sono arrivati poco e con difficoltà dall’altra parte del terreno di gioco. Nella seconda frazione sono più vicino a loro e oltre a poterne apprezzare la costanza con cui tengono sempre accesa la fiamma del tifo vocale, grazie all’enorme impegno dei ragazzi in ringhiera, devo anche constatare che – a parte il nucleo in prossimità degli stessi lanciacori – c’è in generale poca partecipazione generale. Saranno forse i più impegnati a seguire le sorti del match, sarà forse che è difficile arrivare a tutti e coordinarli con un solo megafono, sarà che la frammentazione in tanti micro-gruppi non aiuta in tal senso ma, attenuanti a parte, i cori risulteranno sempre poco incisivi. Beninteso, ricordandoci che siamo in Serie C e che la pioggia ha condizionato anche loro, giudico comunque sufficiente la prestazione, in linea generale però sono convinto che numeri, composizione, passione e tradizione di questa tifoseria messi insieme, facciano un potenziale enorme che allo stato attuale riescono a sfruttare solo in minima parte.

Anche in campo la gara è piacevole, il primo tempo il Vicenza se la gioca alla pari e a viso aperto con i più accreditati avversari, ma proprio quando mancavano due minuti al rientro degli spogliatoi, vengono puniti da un goal di – nomen omen – Cesarini. Nella ripresa i padroni di casa si ributtano nella contesa a testa bassa, nella speranza di raddrizzarla, di fronte però trovano una Reggiana che pur con qualche affanno, non fa registrare sbavature di sorta e porta a casa tre punti importanti, abbracciando idealmente il proprio pubblico al triplice fischio finale, mentre i vicentini ricordano alla squadra che non la lasceranno mai da sola. Seguono ulteriori cori di stima vicendevole e sbicchierate, abbracci e chiacchiere per diverse ore nel bar dello stadio.

Matteo Falcone