Non abito né a Mestre e né a Venezia, perciò meglio fare subito una premessa: il mio punto di vista sulla tifoseria arancionera è viziato dal mio essere distante qualche centinaio di chilometri dalla Laguna e dal suo entroterra.

Ciò nonostante, sarei disonesto intellettualmente se scindessi la realtà dell’AC Mestre dal mio modo di essere tifoso di calcio.

E mi scusi qualcuno se il mero racconto di questo Vigasio-Mestre sarà secondario; del resto la tifoseria mestrina non può essere giudicata col parametro di una giornata di festa pura.

Negli ultimi anni ci siamo riempiti la bocca del “Support Your Local Team” e di posizioni contrarie a fusioni improbabili e antistoriche. Si parla di snaturalizzazione del calcio e del suo legame col territorio.

Bene, quest’anno sono 30 anni esatti dalla prima vera fusione di un certo clamore, se la mente non mi inganna, della storia del calcio, diciamo degli ultimi 50 anni: quella tra il Venezia dai colori neroverdi e il Mestre dai colori arancioneri. Un Veneziamestre che durò tre stagioni prima di ridiventare solo “Venezia” per ragioni di immagine, lasciando ai mestrini solo l’arancione per dire che sì, in fondo se una squadra si chiama Venezia non può di certo più escludere quella parte di entroterra che costituisce il cuore più popoloso della città metropolitana.

I duri e puri rifondarono sia il Mestre arancionero, sia il Venezia neroverde, mentre la nuova creatura di Zamparini frequentava i piani del calcio che conta, arrivando all’apoteosi con 3 campionati in Serie A tra il 1998 e il 2002. Poi il fallimento del 2005, quello del 2009 e quello del 2015.

Insomma, di quel progetto glorioso nato nel 1987 non è rimasto più nulla al di fuori di quel colore arancione inserito ovunque tra un fallimento e una ridenominazione sociale. Oltre all’insistenza dei tifosi nel richiamare le parole chiave “Unione” e “Veneziamestre”.

Eppure, già da quando ero ragazzino negli anni ’90, guardavo con simpatia a quegli irriducibili contrari alla fusione, sia dell’una che dell’altra sponda.

Tra l’altro, dopo la nascita del Veneziamestre, gli arancioneri ripresero nel giro di nove anni il loro posto tra i Pro nell’allora C2.

Il fallimento del Mestre del 2003 accentuò ancora di più, a mio avviso, il senso di resilienza e resistenza del popolo arancionero. Gli Orange cominciarono a peregrinare nei peggiori campi del Veneto, dalla Promozione alla Terza Categoria. Ciò nonostante, la Curva Nord non ha mai mollato di un centimetro, disperando quasi di tornare a calcare, un giorno, i campi che contano. Per quanto mi riguarda, il posto di oggi sul carro del vincitore spetta soprattutto a quei ragazzi di allora.

Probabilmente a Mestre si disperava di tornare nel circolo del calcio vero. Solo nel 2015, a 12 anni dal crack della vecchia società, è ripartito un progetto calcistico serio che, dopo appena due anni, ha riportato gli arancioneri in categorie consone al blasone del club.

Come detto inizialmente, non posso capire appieno le dinamiche della Laguna. Per questo la mia simpatia/empatia con la tifoseria arancione non è un giudizio negativo verso quei mestrini che oggi seguono il Venezia: credo che abbia un suo perché anche il tifare la squadra che rappresenta un pezzo glorioso della storia d’Italia, indipendentemente che si abiti a Murano, a Tessera, a Marghera o nella stessa Mestre.

Insomma, ritengo che anche chi tifa Venezia dalla provincia lo faccia con coscienza e cognizione di causa, e vada rispettato. Il Venezia Football Club di oggi non è il Venezia neroverde ed è l’espressione di un’intera provincia.

Ciò che non condivido, semmai, è il negare la realtà, ovvero che nel comune di Venezia convivano due società che rappresentano due sentimenti di appartenenza diversi, due approcci diversi, due idee di vivere il calcio diverse. Chi nega questo, nega l’essenza del calcio e di tutto quel rituale collettivo vitale per la sopravvivenza di questo sport.

Il vero derby, quello tra il Venezia neroverde e il Mestre, credo, non tornerà mai più. Segno dell’evoluzione dei tempi; ma anche delle dinamiche sociali intercorrenti tra la Laguna e il suo continente.

Per me rivedere il Mestre tra i professionisti rappresenta una vittoria del calcio. E credo la pensino così anche tutti quei numerosi appassionati che hanno sposato appieno il progetto del presidente Stefano Serena.

Vigasio è una tranquilla cittadina a pochi chilometri a sud di Verona. Case basse e poca gente in giro, trovare il campo sportivo è quasi uno scherzo. 10.000 abitanti, una logica affiliazione con l’Hellas Verona, un simbolo e i colori sociali richiamanti, neanche troppo velatamente, la SS Lazio. Poche pretese, la voglia di mantenere la categoria e i playout quasi sicuri.

Il campo sportivo di Vigasio è costituito da un campo in erba ben curato e un’unica tribunetta dalla capienza di massimo mille spettatori. Pochi gli appassionati, perlopiù parenti ed amici dei giocatori.

Al Mestre bastano i tre punti per festeggiare con due giornate di anticipo l’agognata promozione in Lega Pro. Dopo lo scontro epico con la Triestina al Baracca e l’urlo di vittoria smorzato in gola proprio al photofinish, si ha la voglia di chiudere definitivamente la contesa.

Tre sono gli autobus dei tifosi mestrini, più diverse auto private. Su 6-700 spettatori presenti alla partita, solo poche decine tifano Vigasio. A dispetto della scarsa popolarità del calcio d’oggi, la presenza ospite di oggi si può definire importante.

L’aria dentro e fuori lo stadio è veramente distesa, i carabinieri si limitano a tenere d’occhio la situazione e il settore ospiti, ovvero un lato della tribuna, di fatto viene cancellato dal portone divisorio completamente spalancato.

Quando il gruppo arancionero è al completo, due sono le cose che più mi colpiscono: la prima è il connubio totale tra ultras e semplici tifosi. A sostenere in piedi e a gran voce la squadra non ci sono soltanto i più giovani, ma anche persone adulte e anziani, donne e ragazze. Una composizione molto variegata, ma secondo me può essere la vera forza di una tifoseria. Il secondo fattore è l’età media molto giovane dei ragazzi in prima linea, pur con qualche elemento più navigato: in un periodo dove il ricambio generazionale si è bloccato in molte piazze, è sicuramente un buon segnale la presenza di forze fresche.

A inizio partita in metà stadio viene effettuata una coreografia a base di palloncini arancio e neri conditi da un po’ di pirotecnica, per un effetto finale suggestivo e un po’ amarcord.

Neanche il tempo di iniziare e Sottovia segna una rete-lampo di testa: la festa è già nel vivo. L’immediato vantaggio ospite dà una marcia in più ai mestrini. I due “megafonisti” sanno sempre trovare le parole giuste, il tamburo detta il ritmo. Tanti i battimani, il gruppo canta in maniera omogenea e compatta.

Tra la mezzora e il quarantesimo c’è l’unico calo del tifo arancionero; in questo frangente i due lanciacori ce la mettono davvero tutta per non far perdere al gruppo la propria tensione agonistica.

La seconda frazione si apre come la prima: gol immediato (stavolta è Pettarin a timbrare) e promozione ormai in tasca. Il Vigasio, con molto cuore, accorcia persino le distanze con Zambroni, prima delle ultime due zampate ospiti siglate da Bonetto e Zecchin.

Più passano i minuti e più si estingue ogni scaramanzia. La prudenza lascia spazio alla festa e il settore dei tifosi più accesi diventa veramente un belvedere tra bandiere, stendardi e mani al cielo. Un “pensiero” ai tifosi triestini e un “reminder” per dire che “del Venezia ce ne freghiamo” e la partita scorre via con gran velocità.

Al triplice fischio dal megafono chiedono esplicitamente al pubblico di aspettare prima di invadere il campo, per permettere alla squadra di prendersi il dovuto omaggio sotto al settore. Tempo di qualche maglia lanciata e dei primi cori dei giocatori carichi di adrenalina e gioia e i cancelli si aprono, eliminando ogni barriera tra chi vive sul campo e chi sugli spalti.

Sia il mister Zironelli, sia il presidente Serena vengono portati in trionfo. La giornata dei tifosi mestrini è ancora lunga.

L’entusiasmo maturato in questi anni di rinascita ora sarà messo alla prova da tessere del tifoso, biglietti nominativi, normative anti ultras e stadi blindati. Il ritorno tra i professionisti, inevitabilmente, farà perdere la spensieratezza e la spontaneità di un ambiente veramente pregno di vitalità e buona volontà. Credo che per la promozione in Lega Pro dei Piacentini in quel di Mapello ebbi lo stesso pensiero e usai parole molto simili.

Ma, almeno per adesso, ci si può ancora accontentare di godere del presente. Come scrisse Alda Merini “Devo liberarmi del tempo e vivere il presente giacché non esiste altro tempo che questo meraviglioso istante.”

Stefano Severi.