Sessantotto (68) Euro è stato il prezzo da pagare per il settore ospiti. Quarantotto (48) gli Euro da sborsare per il settore meno caro, più di cento (100) per la tribuna centrale. 

Non siamo al Bernabeu di Madrid né all’Old Trafford di Manchester (dove comunque il caro prezzi non andrebbe giustificato), bensì nel piccolo e grazioso Stadionměsta Plzně (Stadio della Città di Plzen). Per una partita dallo scarso valore sportivo e in un Paese dove il biglietto medio per una partita della massima serie costa tra i 4 e i 7 Euro. 

Sulla scorta di quanto scritto nel pezzo di Roma-Internazionale, credo sia arrivato il momento di dare un segnale forte a quella che sta diventando una vera e propria piaga anche in Europa: il caro prezzi. Nessuno me ne voglia, ma nella fattispecie non nascondo di aver ritenuto l’utopica opzione della diserzione come una giusta risposta a questo scempio. So che l’organizzazione di una trasferta europea non avviene all’ultimo minuto e rinunciare vorrebbe dire gettare al vento il proprio sacrificio economico. Ma è altrettanto vero che se lasciare vuoto il settore può essere, per l’appunto, difficoltoso, sacrosanto sarebbe stato manifestare il proprio dissenso (attraverso i classici striscioni?).

Le società italiane – ormai tra le prime esportatrici di questo modello a misura di supporter facoltoso – fanno silenzio sulla faccenda, mentre la UEFA, sebbene imponga ai club di vendere i tagliandi del settore ospiti allo stesso prezzo del settore casalingo corrispondente, fa spallucce sull’ormai atavico rialzo dei costi. 

Un menefreghismo che produce esattamente questo: ormai anche una semplice gara del girone di qualificazione, sul campo di una squadra che sicuramente non figura tra i top club europei, diventa un vero e proprio salasso. È paradossale pensare che lo scorso anno i romanisti pagarono, per una semifinale di Champions League ad Anfield Road contro il Liverpool, 56 Euro. Mentre nella fase a gironi il ticket per Stamford Bridge costò addirittura 40. 

Ora, io non so come è avvenuta la vendita per i tifosi di casa e non so neanche se il Viktoria ha venduto degli abbonamenti vantaggiosi a inizio stagione. È vero che la ridotta capienza dell’impianto (circa 11.000 posti) facilita il sold out, ma è pur vero che in un Paese dove lo stipendio medio è di 468 Euro mi risulta difficile credere che solo gli occupanti dei settori meno costosi abbiano potuto spendere un decimo del loro salario per una singola gara o addirittura quasi la metà per tutti e tre i match.

Quello che posso dire con certezza è che attorno allo Stadionměsta Plzně c’è un gran brulicare di strani bagarini, i quali rivendono i tagliandi al prezzo di costo. Senza applicare le classiche “commissioni”. I tanti tifosi italiani che non sono riusciti a trovare i biglietti per gli ospiti (solo 600 a disposizione) hanno comunque acquistato altri settori venendo poi incanalati nella parte di stadio riservata ai giallorossi, vedendosi sottratto il tagliando (non utilizzato) dopo l’ingresso. A pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia: che fine avranno fatto quei biglietti ancora validi perché non passati sotto al lettore del tornello? Sono forse quelli venduti dai bagarini di cui sopra?

È la seconda volta che vengo a Plzen, e anche in questa occasione noto con un certo piacere la tranquillità e la semplicità che gravita attorno all’evento calcistico. La città è un paesone che conta circa 170.000 abitanti e basa tutta la sua ricchezza sulla produzione della celebre birra Pilsner nonché su quella automobilistica, con la Skoda regina indiscussa. Una vera e propria istituzione in Repubblica Ceca, basti pensare che il suo marchio non si limita alle macchine ma è rintracciabile praticamente su ogni mezzo di trasporto. 

Il piccolo Viktoria Plzen può vantare una storia ultracentenaria. Fondato nel 1905, per anni, come avveniva spesso nei Paesi dell’Est, ha assunto il nome dell’azienda cittadina più importante – la Skoda per l’appunto – tornando alla denominazione originaria soltanto nel 1992. Non è certo un caso che tale cambiamento sia avvenuto in concomitanza con la dissoluzione della Cecoslavacchia, e la conseguente creazione di due tornei nazionali, sotto le distinte egide di Praga e Bratislava. Il Viktoria, non essendo mai stato un club di primo livello, ricominciò dalla seconda divisione, vivendo stagioni travagliate tra promozioni e retrocessioni. È stata la gestione societaria oculata degli ultimi anni a portare vittorie, trofei e fama. 

Il pubblico rossoblu segue sempre numeroso le gare casalinghe mentre nelle trasferte soltanto un drappello di sostenitori accompagna il club. Ma questo rientra appieno nelle attuali fattezze del movimento ultras ceco, composto perlopiù da piccole tifoserie che francamente risultano ancora acerbe rispetto ai più accreditati vicini polacchi e ungheresi (guardando a Est). È sufficiente pensare che anche le due tifoserie praghesi non fanno registrare numeri da urlo oltre le mura amiche e i rispettivi gruppi ultras non riescono comunque a coinvolgere l’intero settore casalingo. 

Questo “sviluppo contenuto” è probabilmente figlio della scarsa rilevanza sportiva del calcio nazionale e forse anche delle piccole città che ne prendono parte. Fatta eccezione per Praga (che conta comunque meno di un milione e mezzo di abitanti), il centro più grande della Repubblica Ceca è Brno, con appena 378.000 abitanti. 

Durante il riscaldamento delle squadre un fitta nevicata si abbatte sul manto verde, imbiancando tutto quello che le capita a tiro. Ordinaria amministrazione per queste latitudini in dicembre inoltrato, un po’ meno per gli italiani presenti che sembrano accusare i colpi di un freddo che lentamente si fa sempre più rigido e aggressivo.

All’ingresso in campo delle squadre la curva di casa offre una discreta sciarpata. Gli ultras del Viktoria occupano il loro quadrato proponendo un buon tifo, numericamente non eccelso ma tutto sommato onesto e continuo, soprattutto nel secondo tempo quando la squadra cambia marcia e raggiunge un successo fondamentale ai fini della qualificazione in Europa League.

Nel settore ospiti gli ultras capitolini si compattano dietro le proprie pezze dando vita a una buona, ma non trascendentale, prova di tifo. La voce c’è e anche la continuità, è l’intensità a mancare troppo spesso. Quello che invece non manca è la contestazione al presidente Pallotta e, di rimando, alla società. Un frattura mai sanata e che sembra esser tornata in auge dopo gli scarsi risultati sportivi conseguiti finora.

L’eloquente striscione “Pallotta go home” viene esposto  per diversi minuti durante il primo tempo, mentre tanti sono i cori contro la presidenza e nei confronti di una squadra accusata di profondere poco impegno sul terreno di gioco. “Accusa” che non verrà certo rigettata in questa occasione: l’undici di Di Francesco offre l’ennesima prestazione sottotono finendo per soccombere e ricevere i sonori fischi dei tifosi giunti in Repubblica Ceca.

Alquanto emblematica è la scena finale: la squadra tenta alquanto timidamente di portarsi sotto al settore ospiti, rimanendo però a distanza siderale. Solo Manolas si avvicina ai tifosi romanisti rimanendo per qualche minuto a pochi metri da loro, quasi a volersi prendere contestazione e responsabilità. Un piccolo gesto che tuttavia lo diversifica dai suoi compagni di squadra, ancora una volta bravi a ricevere elogi e applausi ma un po’ meno a metterci la faccia nei momenti negativi. 

Scenario ovviamente diverso su fronte casalingo. La qualificazione in Europa League manda in visibilio i presenti (vanificando peraltro la storica impresa del CSKA Mosca al Bernabeu) con i giocatori portati logicamente in trionfo sotto la curva. Fanno capolino anche un paio di torce durante la sciarpata che chiude idealmente questo freddo, ultimo, turno di Champions League. 

Se ne riparlerà a febbraio, con il sorteggio che domani designerà l’avversaria della Roma. 

I bei murales che circondano lo stadio sono l’ultimo saluto a Plzen. Passo per la piazza centrale. La cattedrale di San Bartolomeo dorme silente, con il mercatino natalizio che domani tornerà a essere un viavai continuo di persone. Non resta che tornare a Praga per mandar giù qualche birra e concedersi poche ore di sonno prima di un bel giro in città e della sfida di Europa League tra Slavia e Zenit. 

Simone Meloni