Se si parla di nobili decadute che hanno fatto la storia della pallacanestro italiana, ovviamente non si può che pensare alla Virtus Bologna. Quindici scudetti e otto Eurolega basterebbero per qualificare i trascorsi delle Vu Nere e dovrebbero essere sufficienti, al sistema cestistico italiano, per porsi alcune domande sul perché, negli ultimi anni, si sia assistito al lento declino di molti sodalizi blasonati.

Retrocedere fa parte dello sport e nessuno – neanche il club più titolato – può avvalersi di un diritto “divino” per partecipare alla massima serie. Di sicuro però un basket che va man mano perdendo i grandi centri e le squadre che da sempre hanno richiamato più pubblico e interesse, è un basket che silenziosamente si sgretola su se stesso. E, dati alla mano, basterebbe pensare agli ormai atavici insuccessi che la nostra pallacanestro puntualmente rimedia al di fuori dei confini nazionali.

Come detto in passato, poi, il rapporto tra A1 e A2 credo sia una delle cause di questo abbassamento di livello. Una sola retrocessione comporta il fatto che pochi club si sentano realmente a rischio, finendo per allestire squadre di basso valore ma con la certezza di “cavarsela” anno per anno. Così come, di contro, una sola promozione sortisce più o meno lo stesso effetto nella serie cadetta. E anche chi prova comunque a investire, rischia seriamente di rimanere “fregato” in giugno, quando si tirano le somme e riuscire ad avere la meglio dopo un campionato estenuante e una tornata playoff dura e ostica è a dir poco difficile.

Amo Bologna e la sua passione per la pallacanestro. La amo perché forse mi ricorda un po’ cosa a Roma significhi l’eterna disputa tra romanisti e laziali. La amo inoltre perché è una particolarità tutta felsinea quella di avere due sodalizi. Entrambi storici ed entrambi con un importante seguito passionale e fedele. “Bologna è una regola”, cantava Luca Carboni, e per me questa regola sta nel fatto di trovare sistematicamente qualcosa di bello e stimolante nel vedere una partita delle sue squadre.

Inoltre questi playoff mi offrono la possibilità di tornare indietro nel tempo. Quasi di vent’anni per l’esattezza. 1999 infatti è la data in cui la Virtus si trasferì ufficialmente nel più capiente e moderno palazzetto costruito nel 1993 a Casalecchio di Reno, con la Fortitudo che per contro “piantò definitivamente le tende” a Piazzale Azzarita. E pensare che in principio i ruoli erano invertiti: Vu Nere al Paladozza, Effe a Casalecchio. Sta di fatto che per l’indisponibilità dell’Unipol Arena la Virtus dovrà disputare tutte le restanti gare nella sua vecchia casa. Un fascino retrò anche per i suoi tifosi che si ritroveranno a sbandierare, cantare e far risuonare i propri tamburi a pochi passi dal centro storico.

L’avversario di turno è quel Roseto che da queste parti non passa di certo indifferente. Lo storico gemellaggio tra gli abruzzesi e la Fossa accende la contesa e rende la sfida tra le più interessanti di tutti gli spareggi. È iniziata male per i bolognesi che, perdendo Gara 1, sono quest’oggi costretti ad avere la meglio per non affrontare la partita successiva con l’acqua alla gola. E anche considerato il roster a disposizione e “l’obbligo morale” di arrivare più in fondo possibile, è un rischio che la squadra non può permettersi.

Gli spalti offrono un discreto colpo d’occhio, sebbene il tutto esaurito sia alquanto lontano, mentre da Roseto giunge un contingente misto tra ultras e pubblico normale. Le prime schermaglie si consumano già prima della partita, con le curve che non esitano a mandarsi bellamente a quel paese, mettendo ovviamente di mezzo l’amicizia con gli odiati “cugini” biancoblu.

Inizia la partita e con essa anche la sfida sulle gradinate. Vorrei un pochino sfatare alcuni luoghi comuni che circolano sulla tifoseria virtussina (almeno dal mio punto di vista). Parto da un presupposto: è sicuramente vero che a livello numerico e di partecipazione esterna alla curva le Vu Nere perdono qualcosa rispetto ai rivali fortitudini (così come, magari, in ambito prettamente ultras, nell’originalità dei cori), ma personalmente ho sempre apprezzato la caparbietà, la continuità e l’attaccamento del tifo organizzato bianconero. Negli anni ho visto i Forever Boys sbattersi per l’Italia, non facendo mai mancare il sostegno alla squadra e mettendo spesso in atto ottime presenze e prestazioni canore.

Prendete anche la scorsa annata, con la retrocessione, o quella corrente in A2. Confrontate poi con alcune tifoserie del calcio, subito pronte a contestare dopo qualche sconfitta, sodalizi primi in classifica per mesi, o squadre dallo scarso blasone che ormai da anni si battono per le prime posizioni in classifica. A Bologna (su ambo le sponde, va detto) non è mai successo. E non mi sembra fattore da poco. Basti pensare che Virtus e Fortitudo in tempi non sospetti si sono giocate l’accesso a semifinale di Eurolega in uno storico derby passato agli annali per la maxi rissa finale che provocò ben dieci espulsi. Correva l’anno 1998 e Basket City era più viva che mai.

Questo malgrado ci siano tifoserie molto più pubblicizzate o “scaltre” a livello mediatico, che finiscono per essere sulla cresta dell’onda in base ai risultati della squadra, salvo poi svanire nel giro di qualche anno. I virtussini – sempre dal mio punto di vista – si sono sempre mossi con poco clamore, dicendo però la loro all’interno di un movimento ultras (quello del basket) troppo spesso difficile da giudicare perché composto dall’enorme miscela tra viscerali appassionati (la maggior parte) e ultras a tutti gli effetti (la minoranza).

Per me confrontare le due tifoserie bolognesi in maniera generalista è un’opera fondamentalmente sbagliata: bisogna contestualizzare i due ambiti e giudicarli scevri da qualsiasi simpatia o pregiudizio.

Ciò detto, la prova della curva di casa è senza dubbio ottima. Trascinati dalla magistrale prestazione della squadra, i bianconeri cantano praticamente per tutti i 40′, riuscendo in più occasioni a trascinarsi dietro l’intero palazzetto. C’è passione e senso di appartenenza, e queste sono componenti che rendono possibile il tifo a prescindere dai risultati e dalle vicissitudini esterne. Di contro gli abruzzesi si fanno sentire con una certa continuità, facendo vertere la propria prestazione su continui battimani e cori secchi, benché la squadra non li aiuti minimamente.

Finisce con la schiacciante vittoria della Virtus Bologna e i giocatori in maglia nera a ringraziare la propria curva. Un rituale che il basket sa ancora regalare alla perfezione, senza l’asfissia di leggi che vietano rapporti tra giocatori e pubblico. Che poi questa è la perfetta equivalenza con l’eliminazione del fuoco sacro che anima lo sport: il divertimento e l’aggregazione.

Dopo gli ultimi scatti ripongo la mia fedele reflex per incamminarmi con una certa solerzia verso la stazione. L’ultimo treno della sera non mi aspetterà. Lo raggiungo trafelato ma con una certezza: Bologna è una regola.

Simone Meloni.