Malgrado la mia misera statura, posso vantare un discreto quanto breve passato da cestista. Ovviamente in età adolescenziale, quando lo sviluppo in corso mi permetteva ancora di guardare i miei coetanei più o meno alla stessa altezza. Erano gli anni novanta e Bologna era la Basket City per eccellenza, con la Fortitudo all’apice della sua storia sportiva, mentre Pesaro godeva ancora dell’onda lunga dei successi conseguiti sul finire degli anni ottanta. In Rai capitava spesso di imbattersi nelle fasi finali dei playoff e, manco a dirlo, in risalto erano anche i palazzetti stracolmi e i vari gruppi ultras al seguito delle grandi piazze che all’epoca prendevano posto in A1. La vittoria dell’Italia negli Europei di Francia del 1999 funzionò ancor più da detonatore per uno sport che tra gli ’80 e i ’90 aveva forse raggiunto il culmine della sua popolarità, stazionando solo qualche gradino sotto al calcio, vera e propria religione per gli italiani. Fa un po’ effetto, in questo freddo finale di 2024, pensare che una classica della palla a spicchi tricolore come quella tra Vuelle e Fortitudo, venga giocata in A2, sebbene sia pienamente in linea con il cammino – a tratti disastroso e pieno di cadute – delle due compagini negli ultimi anni. L’unica cosa che pare non esser cambiata è la passione viscerale che gravita attorno a queste due squadre. Per l’occasione, infatti, saranno quasi ottomila gli spettatori, con oltre ottocento supporter provenienti dal capoluogo emiliano.
Ci penso fino all’ultimo, ancora preso dai bagordi delle festività natalizia, ma poi mi dico: perché no? Fissando la sveglia alle 5 del mattino, pronto a buttarmi sul primo regionale per Ancona e da Falconara Marittima fare il classico cambio per Pesaro. L’Adriatico alla mia destra scorre pacioso, calmissimo e riscaldato da un tiepido sole dicembrino, che tuttavia invita molti a scendere sulle spiagge per una corsa o una semplice passeggiata. Il dì festivo fa sì che i mezzi pubblici per il palazzetto scarseggino, costringendomi a percorrere i circa cinque chilometri che separano la stazione dall’impianto a piedi. Poco male: una sana camminata dopo cene e pranzi di Natale non può che farmi bene, inoltre la palla a due è prevista alle 15:45 e io sono giunto in città con tre ore di anticipo. Quindi c’è tempo per fare tutto anche con una discreta calma. Quando arrivo nei pressi del palasport, alle 13:30, ci sono già tantissimi tifosi, ma soprattutto un cospicuo assembramento di ultras marchigiani a controllare il proprio territorio. Non metto piede sul parquet pesaresi da oltre nove anni. L’ultima volta, infatti, è datata maggio 2015. Un Pesaro-Pistoia in cui i padroni di casa erano ancora in fase di riassestamento dopo lo scioglimento dell'”Inferno Biancorosso”, storica e indimenticata sigla del tifo cestistico nazionale. Oggi si percepisce sin da subito che molte cose sono cambiate e non solo perché di fronte c’è la Fortitudo. La fame di pallacanestro della città, unita al seme ultras che non è mai morto, hanno portato i biancorossi e crescere nuovamente da un punto di vista numerico e organizzativo. E in questa giornata ne avrò ampia conferma.
La “Fossa” ha organizzato la trasferta in treno, dando appuntamento a tutti alle 11:45 in stazione. In un momento storico dove le trasferte sono seriamente messe a repentaglio dalla mannaia repressiva e anche uno starnuto preventivo può causare una sequela di divieti, è senza dubbio affascinante poter seguire la propria squadra alla vecchia maniera, stringendosi nei vagoni del Regionale per raggiungere la meta. Sebbene questo preveda l’asfissiante controllo di polizia e personale Trenitalia, che già al mio arrivo a Pesaro affolla la banchina dove, dopo circa un’ora, arriverà il convoglio con i tifosi felsinei. Quando manca una mezz’ora all’inizio decido di entrare. Il Palazzetto dello Sport pesarese – da molti rinominato “Astronave” grazie alla sua forma – è senza dubbio imponente, con una capienza di oltre diecimila spettatori. Certo, come spesso mi capita di pensare, per quanto queste strutture siano avveniristiche e necessarie proprio da un punto di vista della modernità e dei posti, è indubbio che strutture come il vecchio Palas di Viale Partigiani – dove la Vuelle ha conquistato i suoi due scudetti – abbiano avuto un fascino e il potere di infuocare il clima quasi impareggiabili, grazie ai loro spalti a ridosso del campo e alla totale assenza di regole sui seggiolini o sui limiti di capienza. Questo lo dico senza voler essere passatista e nostalgico a tutti i costi, anche perché l’aver permesso a molti più pesaresi di vedere dal vivo la propria squadra è senza dubbio cosa lodevole, sebbene nel 1998 – dopo vent’anni di A1 targati Scavolini – la squadra sia tornata in A2, preparandosi sommessamente a un nuovo millennio che sinora ha portato più dolori che gioie.
Tornando alla nostra domenica a spicchi. Gli spalti vanno man mano riempiendosi e anche gli ultras prendono posto in curva alla spicciolata. Da qualche anno frequento con meno intensità i palazzetti e quasi avevo dimenticato quanto fastidiose siano le “americanate” costituite da musica a palla, giochi di luce, speaker che parla in continuazione. Tutte “usanze” purtroppo sdoganate da tempo anche nel calcio. E forse è proprio per questo che mi scopro più intollerante che mai, tappandomi le orecchie con gli auricolari fin a ridosso della palla a due. Nel frattempo anche i bolognesi hanno fatto il loro ingresso nel settore ospiti, accendendo immediatamente la disputa con i dirimpettai. Pesaro-Bologna (che sia a tinte biancoblu o bianconere) è da sempre, matematicamente, incontro caldo, ruvido e segnato dal grande odio che la vecchia rivalità puntualmente rinfocola. Più di una volta marchigiani ed emiliani non si sono tirati indietro, creando turbolenze e dando più di qualche grattacapo ai gestori dell’ordine pubblico, che non a caso anche in questa occasione hanno massicciamente circondato la struttura sportiva con camionette e agenti schierati. Prendo posto in tribuna stampa e una volta tanto me ne compiaccio: praticamente perfetta per vedere entrambe le tifoserie. Spaziosa, senza nessun “forcaiolo” pronto a riprenderti perché stai scattando e potenzialmente ledendo qualche diritto. Insomma, su questo punto il basket è davvero un paradiso, un’oasi felice dove il minor circolo di interessi (ci sono, ma non sono paragonabili al calcio) mantiene in vita tutto un ecosistema abbastanza sostenibile. Malgrado – lo ripeto – anche qua, soprattutto negli ultimi anni e soprattutto in A1, ci siano alcuni aspetti con cui lentamente provano a scimmiottare lo sport più seguito in Italia. Ma rimaniamo davvero su due piani distanti e separati!
Alle 15:45 in punto le squadre sono disposte in campo, mentre il palazzetto di colora con una coreografia fatta di cartoncini bianchi e rossi, conclusi da un telone al centro della curva. Senza dubbio un buono spettacolo, che corona la grande cornice di pubblico. L’arbitro scodella in alto la palla e dà il via alle ostilità. Anche le due fazioni cominciano a fronteggiarsi. I padroni di casa saranno autori davvero di una gran bella prova. Lo zoccolo duro, asserragliato al centro del settore, non smette un attimo di incitare la Vuelle: manate, cori ritmati dal tamburo, offese ai dirimpettai e tanto movimento. L’impostazione è da tifoseria storica, navigata. Tutti dietro lo striscione “Fuori la politica dalla Vuelle” – scelta che da quest’anno ha sostituito le pezze dei gruppi – e con un lapalissiano piglio battagliero, indispensabile per incendiare il clima odierno. Senza voler mancare di rispetto a nessuno, ma mi sento di dire che in Italia ci sono, in particolar modo, una decina di realtà che riescono a eccellere, astraendosi totalmente anche dal minimo stereotipo del tifoso da basket – che a volte può tendere di più all’impostazione da club – e portando avanti un discorso puramente ultras. Attenzione: personalmente credo che i palazzetti abbiano dato vita a un signor movimento e di fondo è sbagliato fare paragoni troppo estremi con il calcio, sia per la classe media che storicamente segue questo sport, sia per l’ambiente (i palasport) dove il tifo si sviluppa. Tuttavia è l’unica disciplina che è riuscita minimamente a emulare la sfera di cuoio tra le gradinate e questo non solo va tenuto in considerazione, ma anche rispettato. Dicevo dei pesaresi: bello vedere tra le loro fila anche un discreto mix generazionale, con i più giovani che tuttavia tirano le fila e dalla balaustra si fanno carico di sostenere, fomentare il resto del pubblico e ingrandire il seguito della tradizione cittadina.
Sul fronte opposto c’è una tifoseria che probabilmente non ha bisogno di presentazioni. La “Fossa” è una garanzia sia da un punto di vista del tifo che sotto l’aspetto idealistico, militante. Un gruppo nato in un contesto cittadino dove calcio e basket sono vissuti con un attaccamento e una visceralità invidiabili e dove i bambini crescono col Bologna che attraversa i cuori di tutti, e V Nere e Effe che si spartiscono l’amore e l’odio a spicchi. Non è un caso se facendo la somma dei trofei vinti in queste due discipline il numero è cospicuo, anche se nel calcio i successi sono ormai lontani, ma non sopiti nella mente dei tifosi. I fortitudini si fanno sentire con tantissimi battimani e i loro classici cori nati e diffusi al “PalaDozza”. Parliamo di una tifoseria che probabilmente non sfigurerebbe neanche in uno stadio e quindi una qualsiasi critica non ne scalfisce il valore assoluto. Una premessa dovuta prima di dire che secondo me – avendoli visti altre decine di volte – in questa occasione hanno fatto un buon tifo ma non ai livelli top cui di solito ci hanno abituato. Sicuramente due fattori hanno influito: la partita mai stata in discussione, con Pesaro a dir poco travolgente, e l’elevato numero di partecipanti, che come sempre annacqua la qualità dei presenti. Ripeto: parliamo di una tifoseria che ad andar male si guadagna il suo 7 in pagella anziché 9 o 10. Molto bella la sciarpata finale, che coinvolge davvero tutti. Al suono della sirena, dunque, esulta rumorosamente il pubblico di casa, che si lascia andare a numerosi sfottò nei confronti degli emiliani. Le due squadre vanno sotto ai rispettivi settori: fischi e improperi per la Fortitudo, autrice sinora di una stagione a dir poco anonima, applausi e cori per la Vuelle, con alcuni giocatori che entrano proprio nel settore.
Non ho moltissimo tempo a disposizione dato che il mio treno partirà tra poco più di un’ora. Ne approfitto per realizzare gli ultimi scatti e assistere alle sempre avvincenti schermaglie del post partita. Dopodiché mi getto nel traffico delle macchine che defluiscono verso la città. La stanchezza comincia a farsi sentire ma la soddisfazione di aver vissuto questa giornata la rende quasi dolce. Arrivo sul binario con il mio treno che sta per fermarsi, giusto in tempo. Un po’ meno tempismo, invece, ce l’ho nell’addormentarmi saltando la stazione di Falconara Marittima. Poco male, prenderò il mio treno direttamente da Ancona. L’ultimo della giornata. Le ultime quattro ore scarse prima di giungere nuovamente a Termini e fare l’ultima corsa per non perdere la metro. La città è viva e in altri tempi mi avrebbe richiamato a uscire, ma oggi il sonno è davvero troppo. Rimangono nei miei occhi le immagini del Palazzetto e dei suoi protagonisti. Avevo quasi dimenticato quanto abbia adorato questo sport e quanto mi sia sempre piaciuto il suo tifo. Perché pur rimanendo un calciofilo incallito, nel mio cuore c’è sempre uno spazio sicuro per il basket. Ed ora che ho riaperto il cassetto, non lo chiuderò facilmente!
Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Tommaso Giancarli