Non è aria. Non lo era prima, non lo è ora e, forse, non lo sarà mai più. Guitto io, illuso chi ci aveva creduto. Il sentore che avverto scendendo in metropolitana, con carabinieri e militari parati davanti agli ingressi, me l’avrebbe dovuta dir lunga sulla serata che mi apprestavo a vivere. E’ una sensazione di disagio, nel passare vicino a quei mitra spianati, a dar credito a un’esigenza di sicurezza tutta occidentale. Anzi, nella fattispecie tutta italiana. Quella sicurezza che fa spendere milioni di Euro a Stati e Comuni, legittima le istituzioni a invadere continuamente la nostra privacy ma, come ampiamente dimostrato, quando e se dovrà fungere davvero da scudo contro un serio attacco, con tutta probabilità si dissolverà. Meglio fermare bengalesi con i borsoni, sedicenni senza biglietto e ubriachi ai capolinea degli autobus. Così Roma è sicura e dorme tranquilla.Poi poco importa che le magagne di una città, seriamente in mano alla malavita e al degrado, rimangano. E’ la cornice quel che conta, non il quadro.

Olimpico mio. C’è stato un tempo in cui avvicinarti era un’emozione infinita. Col cuore che mi saliva in gola già da Piazza Mancini. Oggi la immaginavo così. Dopo mesi di assenza. Con tante vecchie glorie che al tuo interno hanno scritto la storia, hanno fatto piangere di gioia migliaia di ragazzi, oggi divenuti adulti, e hanno inciso nel loro cuore indelebilmente la Lupa Capitolina con quelle tre lettere sinonimo non solo di una mera squadra di calcio. Ma l’ho capito poco dopo aver ritirato il mio accredito che non sarebbe stato così. Ti hanno stuprato e ucciso, definitivamente. E oggi ci tenevano a mostrarci il tuo scalpo.

Da dietro le grate del prefiltraggio osservo inerme una decina di blindati di polizia e carabinieri posizionarsi attorno agli ingressi della Curva Sud. Un’ispettrice coordina con zelo gli steward e gli agenti per accogliere l’entrata dei tifosi che avverrà da lì a poco. Del resto è una partita troppo tesa. Roma in maglia bianca vs Roma in maglia rossa. Hai visto mai che i tifosi della maglia con la coccarda anni ’70 vogliano assalire quelli  che supportano la maglia dello scudetto ’82’83? Non si sa mai. Per non saper né leggere né scrivere (e quando vedo certe cose ho il serio dubbio che qualcuno davvero non lo sappia fare, ma poi capisco che in queste situazioni tutto è calcolato) mandiamo qualche centinaia di agenti, tanto in città, nelle periferie, non c’è nulla da fare (là ci lasciano celebrare i funerali di famiglie pseudo-criminose, con tanto di voli pindarici dai quali cadono petali rosa). E’ tutto così tranquillo. Tranquillamente morto e lasciato a sé stesso ovviamente.

Subisco il primo controllo. “Scusami, lo so che siamo invasivi, ma con questi dietro (intendendo la polizia) dobbiamo controllare bene”, mi dice una signora in pettorina rossa, con un tocco di umanità che mi sorprende visto il contesto in cui mi trovo. Un contesto dettato dalla più selvaggia furia animalesca cui l’uomo può adempiere: quella del controllo sociale e della sopraffazione su un altro essere umano intenzionato solo e soltanto a vedersi una partita di calcio e a fare del tifo. Passo e vado a avanti, voglio vedere fino a che punto è arrivata la follia della Questura di Roma. Mi porto all’altra entrata, quella dell’Obelisco. Qua non hanno ancora aperto, ma altri agenti, metal detector alla mano, stanno attendendo la carne da macello. Esco nuovamente, per farmi una passeggiata all’esterno. Non mi passano inosservate le Unità Cinofile, che con un paio di pastori tedeschi pattugliano l’intera zona antistante lo stadio.

Persino oltre Ponte Duca d’Aosta, a un chilometro dall’Olimpico, una macchina della polizia gira in tondo alla ricerca non si sa di cosa. Mi sarebbe passata già la voglia di entrare e vorrei soltanto andarmene a casa. O forse proprio in un’altra parte del mondo. Perché l’Olimpico di oggi è il fedele specchio di Roma. Non solo militarizzata, ma completamente affidata alle volontà di chi deve dimostrare il suo braccio di ferro. Ad esempio, Roma ha ancora un sindaco? Se qualcuno mi sa rispondere mi contatti, per favore. In questa città al peggio non c’è mai fine, non solo non si tocca mai il fondo, ma si è sempre in grado di scendere un ulteriore scalino; il futuro che abbiamo di fronte, oltre a spaventarmi, mi angoscia in maniera incredibile. Mi fa vivere male il quotidiano, perché ci si sente braccati e sempre sotto controllo, dallo stadio al centro storico.

Per una partita di beneficenza, con meno di 15.000 spettatori previsti, si è stati in grado di smuovere tanti uomini quanti ce ne sono all’Angelus del Papa la domenica mattina. Ma vi sembra normale? Possibile che tutto ciò debba esser giustificato e sottaciuto? Io, da cittadino, sono schifato e riprovato dal dover versare tasse e balzelli anche e soprattutto per spese inutili come queste. Se volete giocare alla guerra, per sperare che qualcuno cada nelle vostre becere provocazioni, fatelo altrove. I cittadini hanno il diritto di vivere senza sentirsi asfissiati.

Ma il problema primario è uno, fondamentalmente: le persone, col tempo, assorbono tutto e smettono presto di lamentarsi. Ci pensavo ieri, vedendo due ragazzi fare la fila per acquistare il biglietto per l’evento, che per l’occasione non era nominativo. Eppure i due avevano già pronti in mano i propri documenti. Ecco, per me questa, ad esempio, resta una cosa inconcepibile. Ancora oggi, avvicinandomi ai prefiltraggi, spesso non prendo il documento, perché mentalmente non l’ho mai fatta mia come regola e la normalità sta nell’ingresso con un tagliando. Punto e basta.

Mi dispiace ammorbare il lettore con la solita pesantezza che ormai permea i miei scritti quando sono ambientati a queste latitudini. Io mi ero prefisso ben altro articolo. Perché oggi doveva essere una festa. Allegra, danzante e canterina. Ma come si può parlare di clima festoso se al banchetto sono invitati Lanzichenecchi pronti a sparecchiare la tavola e portar via tutto alla prima cosa a loro sinistra? No. La festa, per quanto mi riguarda, è già rovinata.

E pensare a quanto ho sognato il momento di metter piede sul manto verde dell’Olimpico. Con la Sud di fronte. Perché in fondo questa la sentivo come casa mia. Una casa nella quale ora siamo ospiti indesiderati, in cui fanno di tutto per dimostrarcelo. La mia sensazione di inquietudine rimane, anche scendendo le scalette che seguono l’indicazione “Percorso fotografi”. Un po’ è alleviata dalla vista di tutti quegli striscioni storici, molti dei quali hanno segnato la mia adolescenza, messi là come ultimo gesto d’amore verso un romanismo che via via si sta perdendo, lasciando spazio a tifosi bravi a fischiare la squadra in difficoltà con lo Spezia, ma non a supportarla nel momento del bisogno.

E poi c’è quella barriera. Là. Che spacca quello che fu il cuore del tifo romanista in due. Impossibile non vederla. Impossibile non dirsi tra sé e sé che, comunque andranno le cose, finché non sarà rimossa (ma sarà mai rimossa?) la Curva Sud non esisterà più. Almeno per come la intendiamo noi. Se poi, in futuro, verranno altre generazioni di tifosi, pronte a riconoscere uno di quei due spicchietti come l’ideale nido del loro amore, non starò certo qua a biasimarli. Purtroppo il tempo cambia, la società muta e, in questo periodo storico, non può che farlo in peggio. Di certo, attualmente, credo che quel settore non esista più. Non c’è spazio aggregativo con una barriera in mezzo. Non c’è nulla di umano con una barriera in mezzo. “Le barriere da sempre dividono”, dice lo splendido trailer realizzato dai ragazzi di “Serie romanista”.

Mentre cammino intorno al campo, noto i tanti agenti in borghese che parlottano con le loro radioline. Sembra che l’attacco dei vietcong debba esplodere da un momento all’altro. Rimarranno delusi, perché gli stessi, stasera, resteranno saggiamente nelle loro foreste pluviali. Nel tentativo romantico di regalare emozioni. Sì che ci sarebbero riuscite già soltanto, come dicevo, con quelle pezze datate, simbolo di un’epoca che non c’è più e che mai tornerà. Per l’occasione anche in Tribuna Tevere vengono riportati diversi striscioni e alcune pezze che richiamano ad annate storiche e senza pensieri, quando dopo una rete venivano accese una decina di torce e i megafoni chiamavano a raccolta le mani per battere all’unisono e far tremare lo stadio.

Conti, Pruzzo, Nela, Righetti, Faccini, Iorio, Prohaska. Alcuni degli eroi del secondo scudetto sfilano sotto la curva. Ci sono anche i bambini delle scuole calcio, e in tanti non riconoscono neanche Konsel, bravo portiere fine anni ’90. Rimango sorpreso da tale ignoranza, sarà che io alla loro età passavo i pomeriggio sugli album Panini e gli almanacchi e avrei saputo recitare a memoria pure la formazione dell’ultima Pro Vercelli scudettata.

Passa Vincent Candela e per lui sono cori e applausi. Non sono certo uno che ama divinizzare i giocatori. Tutt’altro. Ma a prescindere da tutto penso che lui meriti un plauso e tanto rispetto. Perché in un mondo del calcio in cui i protagonisti sono diventati starlette inavvicinabili, non solo il numero 32 è sempre stato disponibile con i tifosi, ma dal profondo del suo cuore ha voluto partorire questa sera per i tifosi della Roma. Perché sa ed ha capito, a differenza di altri, ciò che stanno vivendo in questo momento. Non è da tutti e soprattutto non è scontato. A testimoniare ciò che dico c’è la relativa freddezza con cui vengono accolti protagonisti attuali come Nainggolan al cospetto del calore dimostrato verso mostri sacri del calibro di Giannini e Rizzitelli.

Il prato dell’Olimpico ospita per un’ora buona la gara. Mentre il pubblico si diletta a rinverdire i fasti del passato, anche recente, cantando e sventolando. In Sud, come in Tevere. Ma siamo a Roma, non dimentichiamocelo, tutto ciò non è consentito né tollerato. E il piano infernale e infame capeggiato visivamente da Gabrielli, ma a questo punto mosso da ben altri e numerosi fili, che hanno come obiettivo finale lo sterminio dei tifosi di curva, oggi ha una delle poche occasioni per essere messo in funzione. E allora non può mancare il solito, vergognoso, patetico e stomachevole annuncio dello speaker, che invita tutti i tifosi della Sud a togliere gli striscioni e non sostare sulle scale d’emergenza. Non viene ascoltato. Ma siamo certi che non finirà così. Questi omuncoli, tanto bravi a minacciare e reprimere, già in mattinata hanno emanato il loro comunicato:

“Incontro di calcio benefico VOI SIETE LEGGENDA

3 persone denunciate per resistenza a pubblico ufficiale, steward minacciati all’interno della curva, cori offensivi contro le Forze dell’Ordine e le istituzioni, un petardo e 6 fumogeni accesi, e le vie di sicurezza occupate illegalmente.

E’ questo il bilancio dei comportamenti di una frangia della tifoseria durante l’evento benefico disputatosi nella serata di ieri allo stadio olimpico al quale erano presenti 11.700 spettatori, 4.000 dei quali hanno preso posto all’interno della curva sud.

Le immagini del sistema di videosorveglianza sono ora al vaglio degli investigatori per verificare la sussistenza dei presupposti per l’aggravamento della misura del Daspo, oppure per l’applicazione di nuovi”.

Un messaggio che segue pedissequamente l’assunto in cui si riconosce la Roma istituzionale del momento: dittatoriale, despotica, prepotente e contro ogni minima libertà d’espressione. E’ tutto qua. Spiace solo che un’altra pagina nera della mia città sia stata scritta in una serata in cui avrebbe dovuto regnare il clima di festa. Ma se questa non è persecuzione, cos’altro lo è? Hanno deciso di eliminare il tifo romanista, mettiamocelo in testa. Viviamo in un Paese e in una città che glielo permettono, perché abituati a girare le spalle di fronte ad abusi e ingiustizie, anzi spesso felici e contenti di perorarli. Infami e complici.

Poco importa e poco importerà focalizzare al meglio eventi e fatti. Anche se tutti sanno dell’assurdità di quanto sta accadendo. Questa pretesa ossessiva e ortodossa del rispetto di regole mai osservate e che non hanno mai portato alla morte di qualcuno ma, anzi, sono state sempre apprezzate anche e soprattutto dai protagonisti del campo. Basti pensare a quei giocatori che ieri sono andati al centro della curva a sventolare bandiere e stringere la mano ai ragazzi accorsi per sostenerli con la loro voce. Il fatto è che viviamo su due pianeti differenti, in cui quello di Questure e Prefetti, pur essendo astruso alla nostra galassia e alle normali regole del buon senso e vivere quotidiano, ha sempre la meglio. Si chiama Stato di Polizia. O lo accetti o ti becchi martellate in faccia anche per una minuzia, mentre a tre palmi da te c’è qualcuno che ruba, devasta e sotterra la tua libertà. Stanne certo. E’ stato bello finché è durato…

Simone Meloni