Il derby del Vulture è una di quelle sfide che ho segnato con il cerchietto rosso una volta usciti i calendari. Il suo non disputarsi da ventidue anni gioca ovviamente un ruolo fondamentale e so di poter raccontare una storia nuova, che manca ai miei personali annali.

Due realtà mai viste a confronto e una rivalità per certi versi distante e sconosciuta ai miei occhi. In questa splendida terra di mezzo, la Lucania, tutto sembra essere un po’ più lento. Basta entrarvi e perdersi tra le sue vallate, i suoi monti e i suoi paesaggi desertici per innamorarsene e farsi venire la curiosità – da calciofili cronici – di vedere una partita e conoscere la sua gente. Sapere come vive il pallone, come passa la domenica in occasione di una sfida clou e cosa pensano gli uno degli altri quando si “scontrano” calcisticamente.

Scesi a queste latitudini più o meno un anno fa. I bianconeri giocavano contro un lanciatissimo Gravina. Era il campionato di Serie D e la gagliarda prestazione dei rioneresi mai avrebbe fatto presagire una catastrofica retrocessione favorita da un finale di stagione a dir poco mortifero. Un declassamento che ha colpito al cuore il popolo della Vultur, che per tanti anni aveva atteso il ritorno nella quarta categoria nazionale.

La doccia fredda però non ha fiaccato il senso di appartenenza che questo piccola realtà ha sempre dimostrato nei confronti della propria squadra di calcio. Figuriamoci poi se di fronte ci sono i rivali di sempre. Quelli distanti una decina di chilometri. Quelli con cui si fondono le tipiche storie di queste acredini: le uscite serale nei paesi avversi, gli sfottò, il campanilismo acceso e mai sopito. Perché Rionero-Melfi va ben oltre il semplice pallone. Ed è una di quelle partite che ti riconciliano con l’Italia della provincia, quella che ancora sa camminare a passo d’uomo e far scorrere la vita senza troppa frenesia. Facendo a meno del malessere dei nostri giorni: la fretta isterica di vivere.

La levataccia per prendere il treno delle 6:30 in direzione Potenza è come sempre dura e poco piacevole. Si ripercuoterà per tutta la giornata, fino al ritorno. Ma non mi impedirà di osservare il paesaggio dal finestrino farsi sempre più brullo per immergersi, poco dopo Salerno, in sterminate distese di alberi, vallate e fiumiciattoli che si inerpicano sui Monti Picentini per poi valicare il confine tra Campania e Lucania. Dal capoluogo a Rionero la strada è breve ed arrivato in città con netto anticipo sul fischio d’inizio posso già notare qualche sciarpa bianconera in giro, oltre a numerosi manifesti con cui si richiama la gente allo stadio attaccati in ogni punto del paese.

Il perimetro dello stadio Corona col passare del tempo si fa sempre più militarizzato e al passare del pullman con a bordo la squadra del Melfi qualche “graduato” pensa bene di rispondere con esagerata veemenza alla “classica” accoglienza riservata agli ospiti in questi casi. Un’esasperazione degli animi davvero fuori luogo, laddove i supporter della Vultur erano impegnati a presidiare pacificamente il territorio e dispensare qualche sfottò al torpedone avversario.

Purtroppo quando si parla di clima da distendere all’interno o all’esterno degli stadi, bisognerebbe comprendere davvero tutti nel discorso. Soprattutto se poi, come in questo caso, il dispositivo di sicurezza messo in piedi è oggettivamente impeccabile. Favorito anche dalla conformazione del settore ospiti, che permette l’arrivo dei tifosi gialloverdi da una strada per l’occasione isolata, senza opportunità alcuna di entrare in contatto con i rivali.

A trenta minuti dall’inizio decido di entrare, costeggiando il tratto di ferrovia che fiancheggia lo stadio, donando all’impianto locale davvero un’aria retrò. La mia passione per calcio e ferrovia mi premia, facendo passare un convoglio proprio mentre sto per varcare i cancelli e metter piede sul manto verde.

Mentre mi accingo a ritirare la pettorina i melfitani cominciano ad entrare, improvvisando una sorta di corteo dalla caratteristica cancellata posta sul “cucuzzolo” del montarozzo che domina lo stadio al settore loro dedicato. Subito partono le invettive casalinghe e in men che non si dica il derby si accende riscaldando la mente e i cuori di chi in questa domenica di ottobre comincia ad avvertire i primi sintomi di un freddo che da qui a poco spadroneggerà senza rivali.

Per l’occasione i Vecchi Tempi hanno deciso di posizionarsi al centro del proprio settore, in maniera da coinvolgere più persone possibili e offrire un bel colpo d’occhio. Di contro gli ultras gialloverdi sistemano meticolosamente tutte le loro pezze e distribuiscono in maniera ordinata i bandieroni per tutto il settore.

Ora, è chiaro che in un derby ciò che tutti aspettano sono le coreografie. Abbiamo questo “malcostume” in Italia e ci teniamo da morire (chiara ironia). Benché qualcuno negli anni abbia anche pensato di partorire leggi e balzelli burocratici per eliminarle. Ci teniamo tanto e su di esse persiste da sempre un vero e proprio segreto d’ufficio, che quando viene tradito provoca comunque uno smacco per chi ha lavorato notte e giorno e speso soldi per realizzarle.

Faccio questo preambolo riferendomi alla bellissima scenografia iniziale dei ragazzi rioneresi – raffigurante una masnada di Briganti, con a capo l’immancabile Carmine Crocco, in posa davanti al Castello di Melfi in fiamme – e all’immediata reazione dei supporter ospiti che con uno striscione mostrano di conoscere già il contenuto della stessa. È chiaro, quando si abita a così pochi chilometri di distanza e si vive nell’era dei social, di whatsapp e delle informazioni che viaggiano più veloci della luce, può succedere che un qualcosa trapeli da una parte all’altra. Sicuramente non c’è da drammatizzare, anche se per i bianconeri è comunque uno smacco e per i dirimpettai un punto in più da mettere a segno nella particolare sfida del tifo odierno.

Di sicuro meno interessante e combattuta quella sul terreno di gioco. Il Melfi si presenta infatti come la corazzata del girone mentre la Vultur, dopo la retrocessione, ha allestito una rosa formata da molti giovani che punta a una tranquilla salvezza. Pertanto la disparità è palese e lo 0-3 finale ne sarà fedele testimone. Aggiungo, quindi, che se questa domenica ipoteticamente non ci fossero stati gli ultras e lo stadio non fosse stato pieno a chi sarebbe interessato di Rionero-Melfi? Questo per ricordare ai soloni che sovente ci ammorbano con la retorica anti-tifo e anti-ultras che il loro calcio è troppo spesso uno specchietto per le allodole. Oltre che uno spettacolo svuotato di ogni interesse agonistico.

Una delle mie curiosità si annidava proprio sui melfitani. Ne conservavo un lontano ricordo, risalente alla stagione 2003/2004, quando avevo avuto modo di vederli all’opera al Flaminio di Roma, conservandone peraltro un buon ricordo. Quasi venti anni di Serie C, la lunga battaglia contro la tessera e il fallimento potevano produrre due risultati: l’annientamento totale della tifoseria o la rinascita in una categoria senza troppe restrizioni (benché per questa partita, ad esempio, i biglietti fossero nominativi e acquistabili solo in prevendita per un numero limitato di 400). Fortunatamente avrò modo di constatare che per i gialloverdi la strada imboccata sembra la seconda.

Una prestazione davvero ottima la loro. Tanti bandieroni sempre tenuti in alto, tifo che mantiene per tutti i 90′ costanza e intensità, una bella sciarpata nel secondo tempo e qualche fumogeno acceso qua e là. A dispetto degli ultimi anni di professionismo, contrassegnati da numeri tutt’altro che edificanti tra le mura amiche, anche un po’ di spinta propulsiva attorno alla squadra ci calcio cittadina sembra esser tornata. Credo che proprio su questo i gestori della curva dovranno puntare, per allargare le fila e intraprendere un percorso di crescita che sicuramente è alla portata di una realtà come la loro, indubbiamente cresciuta tanto dall’inizio degli anni 2000.

Da segnalare i tanti cori in cui viene citata Potenza. Il gemellaggio con gli ultras di casa e l’inimicizia con i gialloverdi recita ovviamente un ruolo chiave nella disputa.

Su fronte rionerese la scelta di posizionarsi al centro, come detto, non stona con il clima della giornata e in più di un’occasione produce bei boati, soprattutto nei cori a rispondere. Dal punto di vista della performance i vulturini spiccano soprattutto nella ripresa, quando aumentano i decibel e si cimentano in belle manate. Con particolari picchi durante i cori contro i gialloverdi. Molto belli i due bandieroni spesso sventolati, peccato che, a differenza di altre volte, il settore faccia poco uso di bandiere, dando poco risalto al colore.

Resta comunque il fatto di aver portato parecchia gente allo stadio, forse anche oltre il limite consentito dalla capienza, in una situazione sportiva non certo favorevole e con una partecipazione che è andata al di là del risultato per certi versi già scontato ai nastri di partenza. E se qualcuno potrebbe dire che in fondo per le due tifoserie era facile far registrare tutto esaurito, mi preme sempre rispondere che in questo periodo di allontanamento dalle gradinate e perdita congenita di qualsiasi passione legata al calcio, non è scontato neanche per niente.

Che ben vengano ragazze e signore attaccate alle reti. Così come le fanzine ancora prodotte e gli insulti reiterati anche nell’intervallo. La passione non deve conoscere inibizioni e deve esser lasciata libera di volteggiare sulle gradinate. Di passione non è mai morto nessuno.

Bello vedere, dopo tanto tempo, molti striscioni in una sfida sentita. Questo particolarismo, praticamente copiato in tutto il resto del mondo, negli anni si è andato un po’ perdendo. Un po’ per leggi sempre più repressive e un po’ perché, effettivamente, le curve hanno avuto sempre meno da dirsi. Se si pensa che questa sfida rientra in un contesto calcistico – quello dell’Eccellenza Lucana – non certo ai vertici del calcio dilettantistico italiano, bisogna davvero togliersi il cappello per quanto visto sugli spalti.

Al fischio finale ci sono applausi per tutti, con motivazioni ovviamente differenti. Mentre gli sfottò tra le tifoserie continuano fino al deflusso finale dei melfitani. Un vento fresco sta lentamente prendendo possesso dello stadio Corona e anche per me si avvicina il momento del congedo.

Ci sarà un lento pullman a portarmi di nuovo a Roma. Lasciando alle spalle la Lucania, la sua gente e le sue tifoserie. Con la felice consapevolezza che qualcuno ha ancora voglia di dar luce e spazio alle proprie origini, ricalcando il senso di appartenenza in uno stadio e “mandando in onda” un derby sentito dove nessun comportamento è stato casuale.

Simone Meloni