Quando il 30 settembre scorso ebbi la possibilità di assistere alla sfida tra Melfi e Rionero mi ripromisi, per avere un’idea migliore sulle mille sfaccettature che può avere un derby, di presenziare anche alla gara di ritorno e gustarmi altri 90 minuti di passione.
Quella che per i profani potrebbe sembrare una semplice partita di Eccellenza fra due squadre geograficamente limitrofe, per chi vive di campanilismo e amore per i propri colori invece, rappresenta il confronto dell’anno in cui è obbligatorio vincere, in campo e sugli spalti.
Decido così di partire alla volta di Rionero in Vulture molto presto, in modo da fare un giro nella città patria del brigante Carmine Crocco ma soprattutto per poter respirare quell’aria pre-match che solo un derby può regalare. Tant’è che giunto in paese mi accorgo della tensione che aleggia nonostante manchi ancora parecchio al fischio d’inizio e mi rallegro nel vedere bambini, donne, anziani che sciarpa al collo attendono impazienti lo scoccare delle 15.
Forse è proprio questo che mi spinge ad essere qui. Categorie come l’Eccellenza lucana, per uno come me che è cresciuto nell’era delle pay tv e del calcio spezzatino, rappresenta uno degli ultimi baluardi di quel periodo aureo (delle partite alle 15 e dell’assenza di quelle mille restrizioni a cui ora siamo tristemente abituati) destinato a non ritornare più e per una giornata mi sembra di ritornare indietro nel tempo.
Rionero si presenta ai miei occhi come un bellissimo borgo e la neve caduta in questi giorni conferisce sicuramente un tocco di magia in più. Ciò vale anche per lo stadio dei bianconeri. Il “Corona”, infatti, è un impianto alquanto vetusto che però conserva un fascino particolare, tipico di quelle strutture che hanno vissuto tanto e vorrebbero raccontarti le mille sfide che si sono giocate al suo interno.
Lo stadio è costituito da due grandi settori: il primo è una tribuna coperta destinata ai supporter di casa, mentre il secondo è una lunga gradinata che però versa in condizioni pessime, tant’è che solo uno spicchio è agibile ed è assegnato agli ospiti.
Alle 14:30, ora in cui metto piede sul sintetico, il clima è tesissimo. Da lontano si scorgono i primi tifosi melfitani che si stanno raccogliendo per realizzare un mini corteo che li porterà al settore, mentre gli ultras bianconeri sono intenti a posizionare i diversi striscioni tra cui spiccano quelli dei gemellati di Potenza, presenti come nel match d’andata.
Al fischio d’inizio lo stadio si infiamma letteralmente. Da un lato i 400 gialloverdi che, come nel loro stile, sono coloratissimi con tantissime bandiere, pezze e due aste che creano davvero un bell’effetto visivo, mentre il pubblico di casa si immedesima in una affascinante coreografia “old style” con numerosi coriandoli che vengono lanciati all’ingresso dei calciatori.
La partita, come immaginavo, si rivela combattuta e avvincente fin da subito. Il Rionero, infatti, si porta in vantaggio già al primo minuto, facendo esplodere la tribuna che risponde a suon di cori secchi e battimani.
A tal proposito la prestazione dei padroni di casa, sicuramente aiutati anche dal risultato positivo, è davvero ottima, con tanti cori per i rivali e con alcune sortite su quello “stile britannico” che, personalmente, amo molto.
I melfitani, tuttavia, non sono da meno anche se con qualche neo. Bella la coreografia realizzata sebbene il copricurva venga, inizialmente, srotolato male; molto vasto il repertorio di cori che però non vengono seguiti da tutti i presenti tant’è che, dopo il 2 a 1 del Rionero, solamente lo zoccolo duro continuerà imperterrito a cantare. Da segnalare, inoltre, l’accensione di parecchie torce sia dall’una che dall’altra fazione e anche qualche petardo che riecheggia soprattutto dopo il sorpasso bianconero.
Per quanto concerne il lato calcistico, la sfida si concluderà proprio con la vittoria dei rioneresi che al triplice fischio si prenderanno il meritato abbraccio del “Corona”, mentre i giocatori ospiti andranno ugualmente sotto il settore a ringraziare i propri supporter.
Testo di Vincenzo Amore.
Foto di Pier Paolo Sacco.