A distanza di otto mesi ci risiamo, si torna a Belgrado, si torna ad uno dei derby più infuocati del mondo. Arrivo nei pressi dello stesso verso le 13, la partita è alle 18 e già c’è un via vai incredibile di tifosi, monitorato da polizia sparsa ovunque, davvero in ogni angolo.
Mangiamo qualcosa in un ristorante vicino ad un bivio da cui si dirama una strada che porta allo stadio della Stella Rossa, mentre l’altra porta allo stadio del Partizan; ci sembra il crocevia perfetto per assistere a qualche scena “interessante” da immortalare, però a parte l’andirivieni di tifosi e polizia, la situazione resta tranquilla.
Ci dirigiamo verso lo stadio del Partizan, dal quale dovrebbe partire il corteo di “Grobari” alla volta dello stadio avversario, ma arriviamo evidentemente troppo presto, perché a parte la solita e molta polizia, c’è solo qualche tifoso. Decidiamo dunque di involarci verso il “Marakana”, dove la situazione è ben diversa: c’è tantissima gente, chi per bere una birra in compagnia, chi per “difendere il territorio”, chi per il semplice motivo che mancano tre ore alla partita e vorrebbe già entrare nella propria seconda casa, sono infatti già diverse decine di persone che scalpitano davanti agli ingressi.
Noi decidiamo di fare un altro paio di giri intorno allo stadio, dove i poliziotti sono onnipresente ed incutono timore solo a guardarli in faccia per quanto sono grossi. Quando mancano due ore, ci apprestiamo ad entrare in campo: leggo i nostri nomi sulla lista degli accrediti e mi si illuminano gli occhi… è un piccolo sogno che ogni volta si avvera.
Ritiriamo le pettorine ed entriamo: per accedere al terreno di gioco, bisogna percorrere un lungo tunnel che ha tutto l’aspetto di un bunker sotteraneo; murales e scritte degli ultras ad ogni passo, polizia che costeggia tutto il perimetro: è la seconda volta che lo percorro e mi tremano le gambe come fosse la prima.
Quando mettiamo finalmente piede in campo, lo stadio è quasi vuoto, gli striscioni dei “Deljie” sono già esposti in bella mostra, mentre i “Grobari” iniziano a preparare le aste con cui tenere a mano gli striscioni. Da notare nel settore ospiti anche un paio di fusti dell’olio, che poi scoprirò essere utilizzati dai lanciacori per tenersi più alti e dirigere meglio “l’orchestra”.
Man mano che si riempie lo stadio, si vedono anche dei “Grobari” nel settore che, per usare un termine all’italiana, definiremmo “distinti”. Mancano 5 minuti e il colpo d’occhio è notevole: oltre 40mila sono gli spettatori stimabili.
Inizia la partita, fumogenata nera dei “Grobari” con tanto di torce ad illuminare, contemporaneamente fumo rosso e bianco per i padroni di casa, mentre il gruppo di tifosi del Partizan di stanza nei distinti esegue 3-4 battimani da urlo: letteralmente da impazzire, non sapevo più dove girarmi a guardare, scattavo una scena e rischiavo di perderne un’altra.
Passati i primi 20 minuti i toni calano un po’, ma va chiarito che i ritmi restano comunque vertiginosi. Alla mezz’ora noto movimento nei distinti, dove inizia un lancio di oggetti tra confinanti delle due squadre, con la polizia a fare da cuscinetto. I poliziotti non caricano, cercano solo di contenere, ma improvvisamente un tifoso del Partizan riesce a divincolarsi e si scaglia a capofitto contro gli avversari: da solo! Un poliziotto
per corrergli dietro cade, a quel punto parte una carica della polizia che li allontana, mentre altri agenti portavano via il “kamikaze”.
Dalla curva si comincia a premere verso il divisorio con i distinti. I Deljie non vogliono restare a guardare e dopo essersi organizzati, cercano di venire a contatto con i dirimpettai. La polizia fa schermo e da lì partono altri scontri, stavolta tra tifosi della Stella Rossa e polizia, che durano per circa 25 minuti
ininterrotti.
Nel frattempo finisce il primo tempo ed inizia il secondo, senza quasi che ce ne accorgessimo: in Italia, scene del genere comportano la sospensione della partita, invece qui si si gioca come se nulla fosse. Negli scontri, la polizia all’inizio si limita a contenere e subisce il fitto lancio di sediolini, ma quando un poliziotto viene colpito in pieno volto rimanendone ferito, parte la loro carica: 6-7 tifosi rimangono a terra sanguinanti e vengono portati via, la situazione quindi si calma e mentre guardo l’orologio per controllare quanto manchi alla fine, mi rendo conto che gli scontri si sono protratti per più di mezz’ora… pazzesco.
In quegli istanti mi viene incontro un fotografo di Belgrado, con cui strinsi amicizia già a settembre, dicendomi: “Welcome to Hellgrade, this is standard”, con un sorriso tra l’ironico ed il rassegnato. Hellgrade, città inferno, un nome che risulta quantomeno azzeccato.
Dopo gli scontri, riprende nuovamente la partita del tifo, comunque condizionata da tali eventi. Il tifo è a dir poco mostruoso, da entrambe le parti: battimani da urlo, torciate e fumogenati incredibili, tra Grobari e Delije avranno acceso, senza esagerare, 3-400 torce.
Quando mancano 5 minuti segna la Stella Rossa ed è il delirio, lo stadio quasi viene giù, tantissime altre torce vengono e non si vede quasi niente più. La partita viene sospesa per 10 minuti, tempo che il fumo diradi, ma quando si ricomincia è il Partizan a segnare: altra torciata spettacolare ed esultanza provocatoria di un calciatore del Partizan sotto la curva della Stella Rossa. Penso che la sua sia una sorta di auto-condanna, ma un attimo dopo viene sostituito e mentre esce dal campo, viene bersagliato da oggetti di ogni genere: bombe, torce, fumogeni, sediolini, aste, persino le bacchette per suonare il tamburo.
Durante la partita vengono bruciate maglie, bandiere e sciarpe dei rivali in entrambi i settori. Finisce anche la partita e la prima cosa che mi viene spontaneo dire al mio amico di viaggio è: “Nooo, è già finita?”. In effetti il tempo è volato, è successo di tutto, troppe cose per avere il tempo di guardare l’orologio.
Dopo la partita facciamo un giro fuori dallo stadio ed usciamo giusto in tempo per vedere la fine del corteo dei Grobari. Andiamo a cena nello stesso posto in cui abbiamo pranzato e con la stessa speranza di
assistere a qualcosa di interessante, in effetti assistiamo ad una rissa anche se i motivi non sembrano proprio calcistici, mentre notiamo anche il passaggio di 3-4 ragazzi senza maglietta, con la schiena piena di lividi, evidentemente partecipanti agli scontri con la polizia.
Andiamo a dormire con l’ultima birra e ancora una volta, non può che ritornarmi alla mente la frase del fotografo serbo durante la partita: Welcome to Hellgrade.
Emilio Celotto.