Lo ammetto, sono caduto in tentazione.

Anche se nella nostra cultura è abitudine comune associare le tentazioni ad un qualcosa di malvagio. Forse sì, forse no, dipende più dalla visione personale delle cose che da un’effettiva comune percezione.

Fatto sta che, dopo anni in cui mi ero ripromesso di non acquistare più alcun quotidiano sportivo, ieri ho ceduto e, dopo essere uscito velocemente a fare la spesa, sono passato davanti all’edicola dove lavora un amico. Forse la voglia di leggere notizie diverse dai freddi numeri riguardanti guariti, intubati ed altro, o forse semplicemente la noia, mi hanno sedotto.

Fermata in auto davanti alla serranda alzata, ma con l’ingresso bloccato per evitare l’accesso alle persone che vengono comunque servite rimanendo sul marciapiede, colpo di clacson ed aggiornamento sullo stato di salute dell’amico e dei suoi famigliari, purtroppo non così scontato in questo periodo, rigorosamente dall’interno dell’auto.

Prima di congedarmi e continuare a scontare la quarantena a casa, ecco la frase che non pronunciavo da anni: “già che ci sono, dammi il quotidiano sportivo”. Non farò nomi, tanto sono tutti uguali.

Sguardo sbigottito dell’amico, a cui segue il lancio del giornale direttamente all’interno dell’auto, con una parabola discendente degna del migliore Michael Jordan ai tempi in cui indossava la maglietta rossa dei Chicago Bulls. Purtroppo, io sono un cestista meno abile e le mie due monete, una da un euro e una da cinquanta centesimi, anziché fare capolinea nelle mani dell’amico, rotolano via miserabilmente sull’asfalto bagnato (a proposito, scusa Paolo per aver riso, mentre dallo specchietto retrovisore ti vedevo rincorrete le due monete per strada, ti devo una birra).

A proposito, non ricordavo che costasse così tanto un quotidiano. Non l’ho detto all’amico, a cui so’ che resta una miseria sul costo totale, ma avevo preparato una moneta da un Euro, contando anche che mi lanciasse qualche monetina in rame di resto. Ma tant’è, ormai mi ero sbilanciato e non potevo tornare sui miei passi facendo la figura dello spilorcio. Obbligato in casa, le spese extra sono ridotte ad un pacchetto di caramelle in più prese al supermercato, in attesa alla cassa, rigorosamente ad un metro dall’anziana che mi precedeva, quindi posso attualmente permettermi questa spesa non calcolata.

Sistemata la spesa mi metto comodo e sfoglio dapprima velocemente e poi un po’ più nel dettaglio le pagine del quotidiano. Devo dire che il sapore dei fogli di carta fra le mani è sempre piacevole e sicuramente meno freddo del display di un telefono.

A parte la pochezza degli argomenti, consona al periodo di totale assenza di eventi sportivi di questo momento che mi fa scivolare velocemente verso la fine del giornale, mi soffermo sulle pagine dedicate alle ipotesi sul futuro.

E qui rimango nuovamente deluso dal mondo del calcio, anche se non avevo grosse aspettative.

Ognuno tira l’acqua al suo mulino. Ogni singola opinione è dettata più dai personali interessi che da una vera e propria analisi della grave situazione che stiamo attraversando.

Forse sono io che ultimamente guardo al mondo del calcio con uno sguardo completamente diverso, distaccato e con totale disinteresse verso quelle che saranno le retrocessioni, le promozioni e i 90 minuti di partita di cui si parla negli articoli.

Capisco che, quella che ormai è a tutti gli effetti un’azienda con interessi economici enormi, debba fare di tutto per difendere i soldi dei propri investitori.

Detto questo, rimango veramente schifato da come il calcio sia composto di privilegi e di privilegiati.

Si parla di una quantità immane di tamponi a cui sottoporre calciatori ed addetti ai lavori per poter riprendere le partite.

Quei tamponi che avrebbero potuto salvare vite umane (!) e che tutt’oggi non sono disponibili per il personale sanitario che, è bene ricordarlo, è composto da persone, da esseri umani, che mettono a rischio la propria salute e, quando tornano a casa, quella delle persone alle quali vogliono bene.

E non lo fanno solamente perché è il loro lavoro, altrimenti sarebbero fuggiti a gambe levate da quei maledetti reparti dove si lotta fra la vita e la morte, rifugiandosi in una semplice certificazione di malattia. Lo fanno per un senso civico e del dovere che li accomuna, un senso morale a cui attingere le forze per affrontare quotidianamente un maledetto mostro invisibile.

Ad oggi sono 140 i soli medici caduti dall’inizio dell’emergenza. E per loro il tampone non c’era!

Ma come cazzo si fa a parlare di ripresa del campionato con un’emergenza ancora in corso che azzera quotidianamente vite umane? Come si può ancora parlare di diritti televisivi in un momento come questo?

Non sono ancora stati seppelliti i morti che stiamo piangendo, e non trovano di meglio da fare che parlare di ripresa del campionato?

Personalmente lo trovo moralmente ignobile. Come trovo degno del più assoluto disprezzo chiunque in questo momento contrapponga i propri interessi personali a quelli di un intero paese.

Ancora una volta sono fiero di aver scelto di sedermi dalla parte del torto, dalla parte di quelle persone che, ancora oggi, nonostante vengano dipinte come il male assoluto del mondo del calcio, si stanno facendo in quattro, da nord a sud della Penisola, per cucire mascherine, portare la spesa agli anziani e fare raccolta fondi, ognuno per quello che può. E sono sicuro che in questo momento siamo tutti accomunati dallo stesso senso di schifo che questo mondo del pallone ci dimostra per l’ennesima volta. Sono anche convinto che prima o poi torneremo a fare quello che più ci piace, ossia salire i gradoni di uno stadio, ma solo quando lo riterremo noi e non certo per salvaguardare degli interessi economici.

Chiudo il quotidiano, ma non senza un nervoso che mi sale dentro per l’ennesima occasione persa dal mondo del pallone di dimostrare, non dico un po’ di umanità, ma quantomeno un minimo di sentimento di solidarietà per quello che un intero paese sta passando.

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso. La colpa è mia, con quell’1,50€ avrei dovuto prendere una lattina di birra in più.

Luigi Cantini