La premessa che voglio fare – e che spero venga parzialmente smentita dalla finalissima di domani – è la seguente: ho il sentore che queste Final Four giocate a Firenze si riveleranno, a posteriori, dei veri e propri flop. Se l’intento era quello di catalizzare l’attenzione attorno a questo evento, nella speranza di riempire lo stadio Franchi, diciamo che al momento il risultato è diametralmente opposto. Ma voglio attendere che Parma ed Alessandria abbiano disputato l’ultimo atto della stagione per esprimermi appieno e senza il rischio di dover tornare sui miei passi.

Di certo far giocare le semifinali in mezzo alla settimana, con tutte e quattro le città impegnate relativamente distanti dal capoluogo toscano, non è stato un colpo di genio. Questo possiamo cominciare a metterlo nero su bianco. Beninteso che ho apprezzato la formula di questi Playoff fino ai Quarti, quando squadre provenienti da ogni zona d’Italia si sono affrontate ridando luce a incroci storici e ad altri inediti, alcuni degni di categorie maggiori.

Reggiana-Alessandria, sulla carta, è senza dubbio la più interessante delle due sfide. Almeno per blasone complessivo e tradizione delle due tifoserie. Grigi e granata non hanno bisogno di presentazioni a livello societario: compagini che hanno calcato i campi della Serie A e tifoserie con una storia ultras lunga e ben radicata nelle rispettive città. Solo questo è un biglietto da visita utile per spingermi a presenziare sul manto verde dello stadio fiorentino.

Sensazione personale: è ovviamente un onore e un’emozione poter mettere piede sulla stessa erba calcata da mostri sacri come Antognoni, Passarella, Batistuta, Rui Costa, Edmundo e Toldo. A prescindere da tutto, se si ama il calcio non si può non riconoscere al Franchi quel fascino intriso di storia che si porta necessariamente dietro. Senza dimenticare che lo stadio è una delle tante opere lasciate in eredità da Pier Luigi Nervi.

Il dispositivo di sicurezza appare tutto sommato blando, e l’afflusso delle due tifoserie avviene in modo alquanto snello e rapido. Una volta superato il primo cancello anche io sono nella pancia dello stadio e posso accedere sul terreno di gioco mentre le gradinate vanno a “riempirsi”. Le virgolette sono d’obbligo considerando la chiusura della Ferrovia e di quasi tutta la tribuna scoperta.

A Reggio i biglietti venduti si aggirano attorno alle tremila unità e, come i rivali d’oltre Enza del Parma, anche i granata verranno fatti accomodare nel “formaggino”. Oggi dico: meglio così, la Ferrovia non avrebbe dato la stessa opportunità di compattarsi. Agli alessandrini è stata invece aperta la Curva Fiesole e, malgrado qualcuno parlasse di circa mille grigi in arrivo a Firenze, il numero sarà visibilmente più basso.

Non mi piace fare i processi ai numeri, ritenendo la qualità il pregio più importante di cui far sfoggio, e comprendo che l’orario lavorativo e la distanza sono senza dubbio dei fattori ostativi non indifferenti. Però sinceramente mi aspettavo qualcosina in più. Così come, sempre per essere sincero, non ho molto capito e condiviso la linea adottata dai supporter piemontesi nelle ultime settimane. Ovvio, venire catapultati da una promozione quasi sicura agli insidiosissimi playoff in questa maniera non è il massimo. E nelle viscere del tifoso è ovvio che si accenda la rabbia mista alla delusione. Ma è altrettanto vero – mi permetto questo giudizio che resta sempre personale – che se l’Alessandria, per qualsiasi ragione, non fosse voluta salire in B arbitrariamente, di certo non avrebbe eliminato avversarie toste come Casertana e Lecce, vincendo poi la sfida di questa sera.

Questo per dire cosa? Ho apprezzato e apprezzo tutt’oggi la tifoseria grigia per la sua tenacia, per le sue scorribande a Cirié o a Rivarolo Canavese, ai tempi dei dilettanti. Quando il tifo alessandrino diede una grande prova di attaccamento ai propri colori, come spesso gli è accaduto nei decenni, malgrado i risultati sportivi abbiano latitato per oltre mezzo secolo. Ma non comprendo proprio una protesta così dura e intransigente (i club hanno addirittura saltato le trasferte nei playoff) nel momento in cui – volente o nolente – il calcio cittadino si è lentamente e faticosamente rialzato e da due anni si gioca ormai a pieno titolo la Serie B, senza dimenticare la meravigliosa cavalcata in Coppa Italia dello scorso anno, interrotta solo dal Milan in semifinale.

È una critica agli alessandrini, vero. Ma potrei estenderla a tante tifoserie in Italia, che troppo spesso si lasciano andare a contestazioni facili dimenticando realtà che da anni mangiano davvero la cosiddetta merda senza batter ciglio. Basti pensare a chi fallisce regolarmente ogni 3-4 anni o a chi resta impelagato nel fango delle categorie minori vita natural durante, continuando comunque a manifestare senza dubbi la propria fede e il proprio attaccamento a colori, squadra e città.

Di contro c’è quella che, sempre a mio parere, quest’anno si è dimostrata una delle le tifoserie più in forma. I reggiani me li ricordo anni fa, sempre in C, in una partita contro la Cavese. Era la prima volta che li vedevo. Andai al Giglio per i tifosi ospiti…rimasi quasi tutta la partita sotto al settore che allora ospitava Teste Quadre e Gruppo Vandelli. Così quest’anno non ho perso occasione di andarli a “sbirciare” qualche volta fuori e in un paio di occasioni anche tra le mura amiche. Ciò che mi colpisce sempre di loro è la semplicità con cui dimostrano di essere una tifoseria di sostanza più che d’apparenza. Il reggiano forse non ti colorerà il settore alla perfezione ma è il classico tifoso che canta perché ha fame. Sa che è l’unico modo per non far scomparire quasi cento anni di storia e ricordare ogni giorno alla propria città che Reggio Emilia è granata e non ci può essere nessun’altro sodalizio (plastificato) in grado di soppiantare il club della città.

E anche oggi sarà questo il leitmotiv della serata: una coreografia semplice fatta di cartoncini bianchi e granata (forse un po’ scompatta nello spicchio del settore alla mia destra, dove dovevano ancora arrivare tutti i tifosi) e un gran tifo per tutti i 90′, malgrado l’Alessandria trovi il vantaggio quasi subito con Gonzalez e raddoppi a inizio ripresa sempre con l’ex giocatore del Novara (uno che a questi livelli può fare davvero la differenza). I supporter emiliani tifano, si mettono in mostra con manate pressoché perfette e lasciano il segno con un paio di sciarpate e qualche torcia accesa (e imprudentemente tenuta in mano) applaudendo nel finale la squadre che esce sconfitta malgrado Guidono a 10′ dalla fine provi a riaprire il match andando in gol.

Per loro è stato comunque un cammino soddisfacente, interrotto proprio sul più bello quando tutti sognavano uno storico derby col Parma in finale (forse sarebbe stato l’unico modo per portare un numero massiccio di persone al Franchi).

Sul fronte opposto gli alessandrini si assiepano dietro lo striscione 1974 Alessandria Football Fans, esposto da qualche mese anche nelle partite casalinghe. Dopo un avvio in sordina, gli ultras piemontesi prendono quota con l’iniziale vantaggio rendendosi protagonisti di una buona prestazione, in particolar modo nella ripresa quando, subodorando il successo, tutto il settore si unisce ai cori degli ultras facendo davvero un bell’effetto. Notevole il continuo sventolio dei bandieroni e le due esultanze ai gol più quella liberatoria nel finale.

Se prima ho criticato la linea scelta dalla tifoseria grigia in queste ultime settimane, devo contestualmente dire che ho perfetto capito quanto essa sia dettata dalla passione ardente che muove un’intera città attorno alla sua squadra. Sono stato ad Alessandria quest’anno, contro il Como, e avevo trovato un ambiente molto bello. Pregno di storia, in grado di mandarti indietro quasi di mezzo secolo e farti capire quanto il calcio a quelle latitudini abbia davvero mosso i primi passi e sia rimasto radicato nelle vene di intere generazioni.

Ci sarà ora una finale da affrontare e sono certo che l’Alessandria calcistica non si farà parlare dietro. E comunque – non me ne voglia nessuno – resto contato del fatto che a disputarsi queste finali siano stati tre sodalizi storici del nostro calcio, con uno che sicuramente tornerà tra i cadetti. Il nostro pallone ha incredibilmente bisogno di una restaurazione geopolitica per tornare a vivere e respirare secondo i propri bioritmi.

Dall’Artemio Franchi per oggi è tutto.

Testo Simone Meloni

Foto Simone Meloni e Marco Florenzi

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