La tratta di treno che separa Firenze e Arezzo la consiglio a tutti gli amanti della Toscana. Le rotaie attraversano tutto il Valdarno superiore, costeggiando la riva del fiume, tagliando bellissime colline e talvolta permettendoti di ammirare i paesini arroccati che costellano quella parte di mondo. Per i filo-pallonari c’è anche la vista di diversi campetti di periferia molto caratteristici.

La locomotiva procede lenta e dopo aver fatto tappa alle stazioni di Figline, San Giovanni e Montevarchi arrivo finalmente ad Arezzo intorno alle quattro e mezzo del pomeriggio. Mi concedo un breve giro della città e mi accorgo subito di quanto il legame tra la stessa e la squadra sia forte. Non sono pochi gli esercizi commerciali cittadini con in vetrina un poster che invita a sostenere l’Arezzo in questo momento di difficoltà finanziaria ed amministrativa, aiuto che è possibile dare attraverso l’acquisto di un biglietto il cui prezzo andrà devoluto alla copertura dei costi gestionali. Dopo un’ora e mezzo da turista procedo in direzione stadio.

Devo dire che l’atmosfera me l’aspettavo un po’ più tesa, vista la rivalità esistente tra i tifosi labronici e quelli locali. Il servizio d’ordine mi è sembrato scarno, ma rimane comunque un’impressione e non mi voglio dilungare oltre a parlare di cose di cui non sono a completa conoscenza e che possono anche avere avuto un’evoluzione che a me o alle cronache del giorno dopo possono essere sfuggite.

Accedo agli spalti e il colpo d’occhio nella curva di casa non è male, si capisce che i tifosi aretini hanno preparato un’entrata in campo particolare per questa partita, tra le più sentite. Guardo verso il settore ospiti e fino ai primi minuti della partita lo ritrovo popolato da tifosi “comuni”, mentre verso il quinto minuto del primo tempo fa la sua comparsa la parte organizzata del tifo livornese. In termini numerici la presenza dei Labronici, onestamente mi delude. Ovviamente ci sono tutte le attenuanti del caso, giorno lavorativo ed orario (18 e 30) su tutte, ma da una città di quasi 160mila abitanti, con la squadra prima in classifica, a sole due ore di auto, 200 presenze non sono proprio il massimo. Sul tifo degli ospiti non posso sbilanciarmi troppo: a partecipare attivamente saranno 70/80 unità con qualche picco in cui viene coinvolto tutto il settore, ma anche quando mi avvicino di più a loro, faccio comunque fatica a sentirli. I ragazzi dei gruppi organizzati si sono dati comunque un gran da fare, sventolando anche qualche bandiera per offrire un ritorno anche in termini di colore, ma come prova generale, circoscritta a questa partita, la reputo sinceramente insufficiente, soprattutto per le poche presenze.

Per quanto riguarda i tifosi di casa posso invece ritenermi soddisfatto dalla loro prestazione. L’entrata in campo delle squadre è accompagnata da una bella sbandierata adornata da uno striscione con su scritto “Popular Side Popular Style”, la cui realizzazione è impeccabile. Il tifo nel corso della partita è continuo e variegato, alternano battimani, cori secchi e canti tenuti su per diversi minuti. Se dovessi dare un aggettivo al tifo aretino direi che è stato “Italiano”. In barba ai vari “polacchismi”, il tifoso dell’Arezzo è umorale, segue con interesse la partita e s’incazza per un’occasione sprecata. Sicuramente la parte bassa della curva ha cantato per tutto l’incontro, riuscendo a coinvolgere spesso quasi tutta la curva e saltuariamente parte della tribuna. Non male i cori di sfottò, uno anche sulle note di “Un giorno all’improvviso”, a cui i livornesi hanno risposto per le rime.

Sul campo di gioco l’Arezzo si impone 1 a 0 sulla ormai non più capolista Livorno. Vittoria fondamentale per alimentare le speranze di salvezza degli uomini di Pavanel, vista l’ultima penalizzazione che la squadra di casa ha dovuto subire in classifica. Molto belli ed emozionanti i festeggiamenti finali tra i tifosi di casa e la squadra, come a suggellare un legame che ha trovato forza nella situazione precaria in cui l’Arezzo da qualche mese si ritrova.

Galleria Sauro Subbiani