Casa non è solo il tetto che ti ripara dalle intemperie. Non è l’armadio dove riponi i vestiti o il divano dove puoi trovare un attimo di relax.
Casa è tutto ciò che senti tuo. Un insieme di sentimenti, sensazioni, colori, odori che, a pieno titolo, sono una parte di te.
Non esiste una sola casa, esistono tante case. Una delle mie case, per anni, è stata la Virtus Roma.
Chiunque mastica (o ha masticato) ultras in una curva calcistica, almeno a certi livelli, ha necessariamente varcato i cancelli del Palatiziano o del PalaEur.
In tanti hanno gioito per una bomba da tre sul filo della sirena, per una vittoria ai play-off, per un’impresa con una squadra di vertice.
In tanti hanno esternato dolore sincero per un’eliminazione dalla serie scudetto o per una incredibile rimonta degli avversari, che prima dell’ultimo quarto erano sotto di 20.
In tanti hanno abbandonato la Virtus Roma.
In Serie A1, quando le partite non erano contro Bologna o Treviso ma contro Imola o Montecatini. Quando la squadra arrancava e non era da vertice. Quando c’era una concomitanza troppo stretta con le partite di calcio. Quando si è autoretrocessa. Quando ha giocato i playout per non scendere nell’inferno della B. Quando ha rischiato di scomparire. Quando pochi volenterosi hanno manifestato a Piazza Venezia nell’indifferenza generale.
Se la Virtus Roma è stata, o è, la casa per tanti, il suo accesso è sempre stata una porta di servizio e mai un ampio porticato ricco di fregi e capitelli.
La situazione attuale della Virtus Roma è figlia di una cultura del lassismo e della miopia che attanaglia la Capitale, forse da sempre.
Analizzando solo lo sport per non entrare troppo in contesti non pertinenti, si può dire che, dalla scomparsa della Lodigiani, al declino della Virtus e della cancellazione di fatto in altri sport, tutto appartenga ad un unico fil rouge la cui trama è intessuta di declino e menefreghismo.
Se si pensa alla situazione di disinnamoramento e disincanto che ormai sono entrate anche nel mondo della Roma e della Lazio, si capisce che la speranza di una ripresa della passione popolare sportiva, per ora, è veramente scarsa.
La Virtus è un tassello importantissimo della storia agonistica della Capitale, ma la sua parabola recente riflette un periodo cupo di una città sì immortale, ma innegabilmente malata.
A proposito di declino, l’involuzione della Siena del basket ha come punto focale l’attuale situazione del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo ormai rovinata dai debiti e che, salvo incredibili imprevisti, sarà nazionalizzata per non fallire, con lo Stato che si farà garante di almeno 88 miliardi di Euro di debiti.
L’antico istituto bancario senese è sempre stato uno dei perni dell’economia privata italiana.
A Siena ha rappresentato un pezzo di vita e di fiducia per molti cittadini. Occupazione a parte, il “babbo”, come molti chiamavano il Monte, ha sempre garantito un alto tenore di vita alla provincia toscana.
Calcio e basket hanno beneficiato di un periodo aureo in cui il Monte dei Paschi ha investito nello sport in maniera molto massiccia. La Robur ha calcato per diverse stagioni la massima serie, la Mens Sana è diventata per anni la padrona assoluta del basket italiano.
Questo prima che il vaso di pandora dei debiti si scoperchiasse e che la Mens Sana fosse condannata, per vari capi d’accusa (ricettazione, associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e bancarotta fraudolenta), alla liquidazione e all’annullamento di due titoli di campione d’Italia e due Coppe Italia (più una Supercoppa).
Senza lo storico sponsor Siena è ripartita dalla Serie B con l’orgoglio dei suoi tifosi, e il salto in Serie A2, due stagioni fa orsono, è stato, per quanto sofferto più del dovuto, quasi una formalità.
Quella di stasera non è solo la sfida tra due nobili decadute e tra due rivali storiche, ma è uno specchio dell’Italia di oggi.
La Mens Sana cadetta, come la Virtus Roma del resto, non decolla e non regala grandi soddisfazioni ai tifosi, che vorrebbero una pronta risalita nella massima serie
Tornando alla tifocronaca, scelgo di seguire nuovamente una partita casalinga della Virtus grazie alle mie ferie lavorative che mi hanno permesso di riaffacciarmi alle mie latitudini native.
L’occasione è l’ultima partita del 2016 cestistico della serie A2, e l’avversario è Siena. Mens Sana Siena.
Non credo che sia io a dover ripetere, per la milionesima volta e nella miliardesima salsa, cos’è questa partita per un appassionato di basket capitolino. Non sta a me ricordare cos’è la Mens Sana nella storia recente della palla a spicchi nostrana.
Siena, per Roma, è una rivalità storica, genuina, accentuata dall’avvelenata serie scudetto della stagione 2012/13. Brigate Roma contro Brigata Biancoverde. Un’unica via che divide le città.
È il 29 Dicembre. La partita è un’occasione anche per un ritrovo tra amici e la osserverò forse non con l’attenzione di sempre, ma con qualche chiacchiera e qualche risata in più, il che non guasta mai.
Ma se il pubblico di stasera non è all’altezza della sfida (a proposito della porta di servizio), le due tifoserie organizzate sono da elogiare a scena aperta.
Da una parte le Brigate della Virtus Roma, ragazzi che, di fatto, vedo per la prima volta all’opera (non valutabile la loro prestazione quando li vidi lo scorso anno a Verbania contro Omegna per timbrare il cartellino).
Il gruppo, numericamente parlando, è in linea con la tradizione ultras cestistica della capitale (playoff e partite di cartello esclusi). Cifre non impressionanti ma, se si pensa al periodo generale delle curve, neanche da disprezzare.
Il loro tifo, eccetto qualche rarissima e brevissima pausa, è veramente continuo, con dei picchi notevoli soprattutto negli ultimi due quarti del match. Tanti battimani, voce e impegno onorano questa delicata partita.
Dalla parte opposta i ragazzi della Brigata, che ho già visto in azione qualche volta. Non è un periodo facile per loro, e la stagnazione in Serie A2 comincia a far emergere una disaffezione a livello numerico. La quarantina di tifosi presenti al Palatiziano non è all’altezza di tante altre presenze del passato. Ciò nonostante, i biancoverdi appaiono continui, intensi, abbastanza colorati. Una nota di merito va per aver incitato la squadra nonostante sia sempre stata indietro durante il match.
La rivalità viene onorata a suon di “attestati di stima” reciproci conditi da diverse urla dei singoli e gestacci come se piovesse. Anche il pubblico giallorosso della tribuna, quando c’è da prendere di petto gli avversari, non si tira indietro, con scene talvolta persino esilaranti.
La partita finisce 84-75 per i padroni di casa. A parte rari momenti in cui gli ospiti si sono avvicinati, Roma ha sempre tenuto saldamente in mano la partita, rifilando ai malcapitati avversari la quinta sconfitta consecutiva.
Ciò nonostante, per la Mens Sana sinceri applausi dei tifosi a fine partita: numerosi magari no, ma sicuramente attaccati alla casacca indipendentemente dal risultato.
Per le Brigate della Virtus e il pubblico tutto un sorriso di fine anno, peraltro contro una rivale storica. L’abbraccio tra squadra e curva a fine partita è una delle cartoline più belle di questo sport, spesso snaturato dalla sua eccessiva americanizzazione (per info rivolgersi all’Olimpia Milano e ad altre associate).
Finisce pure per me questo 2016 di partite. Simbolicamente termina in un posto che chiamo casa e che spero costituisca un punto di partenza per le nuove sfide del 2017.
In questo articolo ho parlato di decadenza, disaffezione, malagestioni e altre simili amenità. Con l’anno nuovo nessuno, là in alto, cercherà di migliorare qualcosa, statene pur certi.
Ma la passione, l’amore, l’abnegazione e il sacrificio per le cose a cui teniamo tutti i giorni sono la base per ripartire con nuovo slancio, di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno. I ragazzi di Roma e Siena l’hanno capito e, insieme a tanti altri ragazzi di altrettante curve italiane sono pronti, per l’anno che verrà, a non alzare mai bandiera bianca di fronte a qualsiasi avversità.
Magari gli anni più belli arriveranno veramente, non solo per Roma e Siena, ma per noi tutti. E non bisognerà ringraziare nessuno al di fuori di noi stessi che crediamo sempre in ciò che facciamo, indipendentemente da cosa facciamo.
Testo di Stefano Severi.
Foto di Simone Meloni.