Una volta tanto decido di fare le cose in grande e prendermela non con comodo, ma qualcosa in più. Così, approfittando della partita scelta, mi concedo un fine settimana nelle Marche assieme alla mia ragazza, saggiando le diverse qualità di una delle regione più sottovalutate, ed al contempo belle e rilassanti, del nostro paese.
Raggiungo Ascoli sin dal sabato, e percorrendo la Salaria, ho tutto il tempo di ammirare il bellissimo paesaggio costituito dalla dorsale appenninica che si staglia regale offrendo panorami suggestivi fatti di boschi, laghetti e vasti prati abitati solamente da mucche e cavalli. Ogni tanto bisogna staccare la spina da una realtà come Roma che, seppur stimolante nel suo caos, rischia di farti dimenticare l’esistenza di un mondo tranquillo e genuino al di fuori di macchine incolonnate nel traffico e gente sempre al limite dell’isteria. Oltretutto, ricevendo in prestito dal suocero una simpatica Panda a metano, sono davvero un viaggiatore perfetto, ecologico e rispettoso della natura.
Sembra strano a dirsi ma, anche avendo girato centinaia di stadi da Trieste a Palermo e da Lecce a Torino, non sono mai stato né ad Ascoli né tanto meno al Del Duca. Pensavo a ciò proprio nello scegliere il match da seguire. Uno stadio storico, che invoca in tutto e per tutto quel calcio di un tempo, quello degli anni ’80, dei Costantino Rozzi, delle maglie con i colori sociali tradizionali, degli spalti pieni e dei giocatori con i baffoni sulle figurine Panini. Il calcio di cui mi sono innamorato da piccolo e del quale, a volte inconsciamente, riesco ancora a sentire gli odori ed il gusto sublime che mi faceva battere il cuore al rotolare della palla. Ma è solo un attimo, e, soprattutto, non è mai guardando il calcio attuale.
Il mio primo impatto con l’Ascoli Calcio fu proprio su uno di quegli album delle figurine. Mio zio mi regalò quello della stagione 1982-1983, non un’annata a caso. Qua a Roma, sponda giallorossa, capita spesso che signori di mezza età tengano nei loro cassetti e nei loro armadi, album, giornali e ritagli relativi all’annata del secondo scudetto romanista. C’erano
l’Ascoli, l’Avellino, il Pisa e il Catanzaro. Quando la provincia non doveva per forza essere presieduta dalla Confindustria. I soldi contavano, inutile nasconderlo, ma anche il blasone. Ed in questo discorso rientra a pieno il Perugia. Io, nei miei primi ricordi di bambino ingenuo, ho ben impresso quello di Gaucci. Fine anni ’90. Rapajc, Zé Maria, Matrecano, Petrachi, Materazzi, Nakata, Olive, Tedesco, Pagotto e Mazzantini. Una squadra ostica, che più di una volta fece lo sgambetto alle big, affidata sempre ad allenatori coriacei come Cosmi, Galeone e Novellino. Di quel Perugia ricordo anche una partecipazione all’Intertoto, mitico torneo estivo attraverso il quale si accedeva alla Coppa Uefa. Altri tempi, altro calcio. E beato chi può raccontare anche le gesta del Grifo nella stagione 1978/1979, quella terminata da imbattuti (prima volta in Serie A) ed a pochi punti dal Milan tricolore.
Per tutte queste ragioni Ascoli-Perugia è una sfida d’altri tempi, anche solo per il contrasto delle due magliette. Bianconere e biancorosse. Senza strane striature, senza colori eccentrici o modaioli. Semplicemente i colori sociali contro, in una categoria che, seppur falcidiata da una gestione a dir poco grottesca e per nulla lungimirante come quella di Macalli & Co., lascia ancora un minimo di libertà (ma proprio un minimo) a qualche vecchio retaggio del pallone che fu.
Pertanto, dopo un sabato sera ed una domenica mattina immerso a 360 gradi in tutto ciò di bello che la città picena ha da offrire, dal cibo passando per il vino, alle piazze ed ai musei, quando l’orologio sta per segnare le 14:00 decido di avviarmi verso lo stadio. Nella reception dell’albergo mi hanno consigliato di andare in macchina, nonostante da Google Maps avessi visto che la distanza non fosse poi così siderale. Mi fido, ed alla fine farò male. A causa del traffico, infatti, prima rimango qualche minuto imbottigliato, poi, scorgendo la sagoma dei vigili che interdicono l’accesso nella zona che circonda l’impianto sportivo, sono costretto a parcheggiare abbastanza lontano. Morale della favola: sempre fidarsi delle proprie sensazioni. A piedi avrei fatto sicuramente prima. Fatto sta che, manco a dirlo, sono costretto a correre. Il mio passo spedito però non mi fa perder di vista la targa dedicata a Nazzareno Filippini, ultras ascolano ucciso durante gli scontri tra locali ed interisti nel 1988 e soprattutto il corteo della Sud che, molto bello e compatto, si porta fino agli accessi della curva. Dopodiché davanti ai miei occhi si apre un vasto schieramento di polizia e carabinieri, mentre un elicottero sorvola lo stadio. Ci sono proprio tutti, sembra di essere alla vigilia dello scoppio di una guerra civile. Invece è solamente una partita di Serie C. In uno stadio, peraltro, abbastanza sicuro e collaudato dopo aver affrontato anche la Serie A in tempi più che recenti.
Mi sbrigo verso la porta carraia e, dopo aver ritirato l’accredito, devo attendere qualche altro minuto per avere la classica pettorina gialla. Ringrazio ed entro in campo. Finalmente sono nella pancia del Cino e Lillo Del Duca. Quante volte ho letto il nome di questo stadio su album ed almanacchi che ero solito sfogliare da ragazzino? Quante volte rivedendo le immagini di 90° Minuto e de La Domenica Sportiva di una trentina di anni fa sentivo l’introduzione “…ed ora linea al Del Duca al nostro inviato Tonino Carino”? Sembrerà stupido e forse infantile, ma per me è stata un’emozione. In questo periodo, in cui si parla tanto di stadi nuovi, con tecnologie super moderne e sistemi di controllo avveniristici, a me questi spalti grigi, senza seggiolini, decadenti ed intrisi di storia, fanno impazzire. C’è la pista di atletica. Ottimo per me che devo scattare, equivale alla totale libertà di girare in tondo senza che nessuno si lamenti. Non si vede la partita? E chissenefrega! La partita, quella vera, è sugli spalti. E quando ce la toglieranno, le nostre squadre potranno anche vincere dieci Coppe dei Campioni consecutive, ma a cosa servirà se a festeggiarle non ci saranno i fumogeni, i tamburi, gli striscioni, i bandieroni ed i nostri cori? A nulla. A quel punto il calcio, per il sottoscritto, se lo potranno tenere stretto. Ed anche i loro stadi ultramoderni ed a prova di sniffer.
L’altro dato che mi colpisce è il pienone che si registra in Curva Sud. Il passaggio di consegne societario, da Benigni a Bellini, ha portato davvero tanto entusiasmo ad Ascoli. Così, nonostante una squadra che zoppica e naviga nelle ultime posizioni della classifica, il pubblico curvaiolo affolla gli spalti con entusiasmo e tanta passione. A conferma di come la gestione di questo sport, spesso oggetto di inchieste cervellotiche e poco veritiere, sia davvero molto più semplice di quanto lo si voglia far credere. Alla gente bisogna dimostrare un minimo di passione in ciò che si fa, oltre a fargli vedere una squadra che lotta per quel pezzo di stoffa con i colori che i tifosi portano nel cuore e nell’anima. State tranquilli, che al netto di ciò si potrebbe anche subire la più drammatica delle retrocessioni, ma i tifosi sarebbero comunque là ad applaudire ed a cantare per l’orgoglio della città e della propria squadra. Basti pensare al commovente commiato dei Doriani dalla Serie A qualche stagione fa. E là, inoltre, non si trattava propriamente di una gestione societaria sentimentalista ed oculata.
Dicevamo della Sud. In balaustra fanno bella mostra le pezze del gruppo principale, che da qualche tempo a questa parte ha riportato su ottimi livelli il tifo piceno, gli Ultras 1898, affiancati dalle nuove leve del Nucleo Piceno. Sono parecchi i bandieroni a sventolare e già dai primi potenti cori si sente l’imperioso suono del tamburo. Volto il mio sguardo verso sinistra, laddove sono posizionati i tifosi giunti dall’Umbria. In totale saranno all’incirca 400, nonostante su giornali e dispacci ufficiali della società marchigiana si parli di quasi 700 Perugini. Sveliamo immediatamente l’arcano. Effettivamente i biglietti staccati per il settore ospiti fanno fede a quest’ultima cifra, ma i tanti problemi creati dalle due questure, per non far affittare pullman a basso costo ai biancorossi, hanno scoraggiato parecchi tifosi, diciamo “semplici” o appartenenti ai club. E francamente, anche memore della prestazione un po’ deludente offerta dai Perugini a L’Aquila, ciò finirà per giovare al loro tifo.
Sulla balaustra del settore ospiti ci sono tutti gli striscioni dei tre principali gruppi della Nord: Armata Rossa, Ingrifati e Brigata. Il colpo d’occhio è molto bello perché quasi tutti indossano una maglia rossa. Il pre-partita è segnato dai continui cori tra le opposte fazioni. Un’osservazione c’è da fare: se in passato questa, molto probabilmente, era annoverata come una rivalità dal sapore più politico che campanilista, oggi sembra aver perso un po’ quell’aspetto, ed essersi spostata più verso una vera e propria acredine classica tra città. Ovvio che, in generale, le due tifoserie rimangano delle loro vedute politiche, ma ovvio anche che oggi, come in molte altre piazze, si è forse capito che fare propaganda allo stadio arrecherebbe solo ulteriori grattacapi in un periodo in cui ogni passo degli ultras viene sistematicamente demonizzato e strumentalizzato.
Infine, come tralasciare la poco simpatica presenza, sotto le due curve, di ben quattro “registi” professionali che si occupano di riprendere minuto per minuto le gesta dei tifosi? Sarebbero da portare come esempio a chi parla degli stadi come di luoghi franchi ed impuniti. A me, personalmente, sembra che, superati i cancelli, ormai, qualsiasi regola sulla privacy, la dignità umana e le libertà individuali vada a farsi benedire. Ma forse sarò esagerato io.
Le due squadre fanno il loro ingresso in campo. Gli ultras di casa si esibiscono in una bella fumogenata verde, accendendo qua e là anche qualche torcia, prudentemente lasciata a terra, mentre rimbomba potente un coro a rispondere seguito da una bella manata. Nel settore ospiti i Perugini fanno sfoggio delle loro bandiere e dei loro stendardi, accendendo anche qualche torcia ed un paio di bomboni, mentre sulla pista d’atletica qualcuno li riprende con maniacalità manco fossero stupratori seriali. Le due tribune dello stadio presentano una buona affluenza; va sempre ricordato che, almeno per l’Ascoli, con i play-off irraggiungibili e le retrocessioni bloccate, il campionato è come se fosse terminato da un pezzo. Eppure in campo non è proprio così, un po’ perché il Perugia rimane subito in 10, un po’ perché i bianconeri non vogliono sfigurare contro la seconda della classe. Il Picchio spinge sull’acceleratore ed impensierisce in più di un’occasione la difesa dirimpettaia.
Sugli Ascolani devo essere sincero, almeno fino alla scorsa stagione non ne avevo una grandissima considerazione. Mi sembravano una tifoseria giunta ormai al capolinea, anche a causa della pessima gestione societaria che, a lungo andare, aveva letteralmente logorato l’ambiente. Eppure, va dato atto ai ragazzi della Sud di aver saputo ricompattare l’ambiente, ridando verve a una tifoseria affossata da anni di anonimato. Il pienone odierno ne è una riprova, come l’entusiasmo nel seguire i cori e sventolare le bandiere. La loro prestazione sarà davvero di ottimo livello.
Mi aspettavo un buono spettacolo, ma sono rimasto sorpreso comunque. Anche perché vincere i miei pregiudizi nei confronti delle categorie professionistiche non è cosa facile. I Marchigiani oggi mi hanno impressionato, soprattutto dal punto di vista della costanza e dell’unità. Molto belli i battimani che coinvolgevano tutta la curva ed i cori a rispondere che rimbombavano potenti. Tante torce accese, anche se sempre ben nascoste per evitare problemi con fotografi e “registi” insolenti. Esposti anche due striscioni: il primo in riferimento ai fatti dell’andata, quando all’esterno del Curi ci furono scaramucce; il secondo per la manifestazione unitaria che si terrà a Roma l’11 Aprile.
L’appunto che mi sento di fare, in generale, è l’ormai omologazione che ha ricoperto quasi tutte le curve d’Italia per quanto riguarda il repertorio canoro. Ci pensavo ad inizio secondo tempo, quando sia Perugini che Ascolani cantavano lo stesso coro, quello dell’ormai celebre “…che fatica che ti chiedo” (che poi io ‘sta cosa non la concepisco, cioè gli ultras si sobbarcano chilometri, subiscono abusi e si sgolano per cantare, e la fatica la fanno i giocatori che spesso manco corrono? Bah, misteri della fede).
Detto questo, nel mio continuo peregrinare attorno al perimetro del campo, cerco di cogliere i migliori momenti da ambo le parti. I Perugini fanno il loro tifo, anche se con qualche pausa di troppo. Tuttavia molto belli i loro battimani, i numerosi bomboni esplosi e la sciarpata eseguita nel primo tempo.
In campo il nervosismo degenera; alla fine si conteranno ben due espulsioni per parte e, proprio quando il pubblico di casa comincia a pregustare lo sgambetto agli avversari, arriva la beffa. È il 94’, Sprocati insacca con una zampata da posizione ravvicinata. Il boato degli Umbri è incredibile, così come l’esultanza con i tifosi uno sopra l’altro mentre la squadra va a festeggiare sotto di loro. Sono tre punti fondamentali, anche perché il Frosinone verrà bloccato in casa dalla Salernitana, confermando che la lotta alla cadetteria è più aperta che mai.
Nonostante la delusione, gli ultras piceni ringraziano i loro giocatori, comunque autori di una prova gagliarda e d’orgoglio. Il ritrovato spirito d’unione sarà sicuramente fondamentale ai nastri di partenza del prossimo torneo.
Dato che la mia domenica è tutt’altro che finita, ed a Roma mi aspetta un interessante Virtus Roma-Mens Sana Siena, devo velocemente riporre macchinetta ed obiettivi, riconsegnare il fratino e correre verso la macchina per evitare ingorghi che mi farebbero perdere tempo prezioso sulla tabella di marcia. Abbandono il Del Duca con gli ultras umbri che fanno festa. Attraverso a passo veloce il ponte e, una volta arrivato alla macchina, scopro che almeno, nonostante la sua lontananza, il parcheggio è posto in maniera strategica per raggiungere la stazione, evitando il vialone trafficato.
Dopo aver “raccolto” la mia ragazza posso lasciare alle spalle Ascoli Piceno ed immettermi nuovamente sulla Salaria. Di traffico ne troverò davvero poco, riuscendo ad arrivare al Palazzetto quasi in orario. Termina così la mia due giorni nelle Marche, un’insieme di prime volte che hanno contribuito a regalarmi piccole soddisfazioni, comunque belle da vivere. Guardando l’Appennino che mi scorre ai lati, mentre la mia ragazza dorme e la strada corre baciata dal sole del primo giorno di ora legale, penso che il viaggio resta probabilmente il più bel momento che un uomo possa vivere durante la sua esistenza.
Testo e foto di Simone Meloni.