Il ritorno nelle competizioni europee dell’Atalanta, grazie allo sfavillante campionato scorso, aveva portato grande entusiasmo nel popolo neroazzurro, non da ultimo per la possibilità di viaggiare in trasferta senza tessere, restrizioni o divieti. Ma al di là di qualsiasi più irrazionale passione, diciamocelo francamente, in pochi avrebbero pensato di giocarsi alla pari il passaggio agli ottavi di Europa League con una squadra che negli ultimi sette anni ha vinto 2 campionati nazionali, 2 Supercoppe e 2 Coppe di Germania ed è arrivata a disputare una finale di Champions.

Certo, dopo che la Maginot nerazzurra era riuscita a respingere, più o meno lucidamente, le incursioni dei panzer teutonici, essere eliminati ad un passo, pardon ad una manciata di minuti dal traguardo, è crudele: ci sta l’amaro in bocca, ci stanno le lacrime che rigano i volti di tifosi e calciatori, ma ci stanno soprattutto gli applausi a fine partita ed il “Siamo sempre con voi non vi lasciamo mai” che sento alzarsi forte mentre, con passo veloce, guadagno la via del parcheggio.

Passata la delusione per il sogno infranto, non c’è dubbio che il bilancio di questa avventura europea sia largamente positivo, a cominciare proprio da quanto ha fatto vedere la tifoseria orobica. Se spostare migliaia di persone per le partite a Reggio Emilia, nonostante i 200 chilometri che la separano da Bergamo e nonostante il giorno infrasettimanale, può essere considerato da qualcuno il “minimo sindacale” , la presenza nelle trasferte conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, lo spessore e l’attaccamento ai colori di Curva Nord e compagnia. In tutte le trasferte il seguito è stato numericamente importante e, per parere unanime di chi li ha visti all’opera, qualitativamente di livello, tanto in fatto di tifo quanto in fatto di portamento. Mi piace pensare che l’avventura europea di quest’anno non sia un punto di arrivo, ma un punto di partenza per nuove partite oltreconfine, con una squadra cresciuta in esperienza ed una tifoseria pronta a raccogliere nuove sfide, magari in turbolenti campi dell’est europeo…

Si parte quindi alla volta del Mapei Stadium nel primo pomeriggio, anche per evitare problemi meteo, che annuncia possibili nevicate. Il viaggio è invece spedito, arrivando in tempo per deviare il percorso fino alla stazione ferroviaria, dove con piacere ritrovo l’amico Sauro. Quando arriviamo a destinazione mancano tre ore all’inizio del match e di gente in giro ce n’è già parecchia, affollata intorno alle bancarelle nonostante una pioggia sottile ma che col tempo diventa fastidiosa. Troviamo riparo nel vicino circolo Arci, fendendo con pazienza una folla dal tasso alcolico in rapida ascesa: gente di tutte le età, molti che forse sono tornati “all’Atalanta” per l’occasione (ma che non sono da considerare gli “occasionali” in senso stretto) e di cui, a seconda della sciarpa o della felpa che indossano, provi ad immaginare in quali anni hanno vissuto intensamente la Curva Nord. Capita anche di imbattersi in ragazzi che abitano ad un tiro di schioppo da casa ma che, dopo mesi se non anni, rivedi oggi qui, anche loro presenti alla chiamata.

Si fa già l’ora di entrare, sosta veloce in sala stampa e quando manca un’ora dal fischio iniziale prendo posto in tribuna. La curva di casa si va riempiendo poco alla volta, mentre gli ospiti sono già tutti al loro posto, posizionati nella parte alta della gradinata, precisi ed inquadrati come un reggimento.

Sono curioso di vedere se al di là del “muro giallo” e del mito che gli è stato cucito addosso, si vedrà qualcosa di buono, anche se i racconti della performance nella partita di andata non sono stati particolarmente lusinghieri. Bene ha fatto però l’amico Simone Meloni a precisare nel suo articolo “almeno tra le mura di casa” , perché questa sera i gialloneri offriranno una prestazione a mio avviso molto molto buona. Ha ragione chi dice che una curva grande non equivale per forza ad una grande curva e questo spiega probabilmente il motivo per cui la settimana prima, almeno da un punto di vista vocale, i tedeschi non impressionarono. Riuscire a mobilitare un settore, quale è la curva del Borussia, con oltre 20.000 posti di capienza è impresa non impossibile (forse) da un punto di vista coreografico, decisamente più complicato coordinare cori e battimani, tanto più che è lecito attendersi che solo una parte di quei ventimila abbia un’impostazione ultras vera e propria.

Stasera i numeri sono quelli giusti per provare a farsi vedere e sentire e l’operazione riesce bene. Cominciano a cantare con abbondante anticipo, al ritmo di alcuni grossi tamburi, e saranno veramente pochi i momenti di silenzio per tutto l’arco della partita. Impossibile capirne le parole, ovviamente, il repertorio comunque è piuttosto diversificato e vede prevalere cori lunghi ed accompagnati da battimani, mentre sono più sporadici i cori secchi.

Dal punto di vista visivo offrono frequenti sbandierate e la coreografia di inizio partita: dietro lo striscione “Se lo credi o no, ma quello che facciamo lo facciamo solo per te!” (traduzione Remo Z.) colorano il settore di giallo e di nero e fanno scendere un bandierone con il simbolo sociale, aggiungendo alla fine torce in ordine sparso.

Sul fronte orobico, registrata la presenza dei drappi di Terni e Francoforte, i primi cori si alzano all’ingresso delle squadre per il riscaldamento. Non mancano cori contro Catania e Napoli, tifoserie amiche degli avversari tedeschi.

L’allestimento della curva di casa è lo stesso delle precedenti tre partite, con gli striscioni principali appesi in basso ed il comando delle operazioni di tifo collocato sulla transenna di metà curva. La coreografia proposta ad inizio gara è realizzata con riflettenti argentati a contornare un bandierone con l’effigie della Dea, mentre fuori dallo stadio si sparano fuochi artificiali.

Si aprono le ostilità in campo: l’Atalanta ha la giusta impostazione aggressiva e gli avversari sono veloci a ripartire. Il risultato si sblocca poco dopo il 10° quando Toloi, posizionato sul secondo palo, trova la zampata giusta sugli sviluppi di un calcio d’angolo.

Il vantaggio orobico non cambia di molto la partita degli spalti: il sostegno dei padroni di casa non decolla e quello dei tedeschi non precipita. Tra i primi la tensione legata al risultato gioca forse un brutto scherzo a molti dei presenti, non consentendo così, a parere di chi scrive, di raggiungere quei livelli di tifo visti nello scontro con il Lione, quando forse si è raggiunta la perfezione. I secondi danno prova di buona mentalità e, appunto, dimostrano che oltre alle apparenze, ai miti e, se vogliamo dirla tutta, oltre alle bandiere ed agli striscioni fatti con il plotter c’è anche parecchio di quello spirito ultras che a noi piace.

Non manca un piccolo colpo di scena verso il 15°, quando nella curva degli ospiti fa capolino, esposto rigorosamente a testa in giù, il lungo striscione neroazzurro “CANNES”, sottratto in occasione della partita di andata (pare più con l’astuzia che con la forza). Brutto colpo comunque per gli eredi di quei “KAOS CANNES” frequentatori della Nord negli anni novanta.

Il match prosegue fino al duplice fischio con frequenti ribaltamenti di fronte ma il risultato non cambia.

Sarà così anche durante la ripresa, quando però il forcing degli ospiti si fa più soffocante: gli uomini di Gasperini si difendono in modo piuttosto ordinato e sono comunque pericolosi in contropiede in almeno tre occasioni, la più ghiotta delle quali è sprecata da Gomez pochi minuti prima del pari tedesco. Tutti, nessuno escluso, lottano con determinazione su ogni palla e, in un certo senso, a tratti sembra essere la squadra a trascinare la tifoseria.

I gialloneri sono ostinati nel continuare con i loro cori e quando forse le speranze cominciavano a vacillare arriva la gioia del pareggio. Su un tiro piuttosto inoffensivo Berisha, peraltro autore pochi minuti prima di una parata miracolosa, non trattiene il pallone, che rimbalza sul ginocchio ed arriva sui piedi di Schmelzer, implacabile nel tap-in.

Servono a poco le sostituzioni nei restanti sette minuti che restano da giocare, anche perché le energie ormai sono quelle che sono. Si arriva quindi al triplice fischio senza grosse occasioni per parte orobica: messi in archivio gli applausi per l’impresa sfiorata non resta ora che rimboccarsi le maniche in campionato per guadagnare un posto utile a potersi giocare, anche l’anno prossimo, l’Europa.

Testo di Lele Viganò.
Foto di Lele Viganò, Sauro Subbiani e Remo Zollinger.