Pochi giorni dopo l’eliminazione, per certi versi clamorosa, dai preliminari di Europa League, l’Atalanta ospita in notturna il Cagliari per la terza di campionato. L’uscita dal palcoscenico continentale brucia anche di più, se si considera che nelle due sfide contro il Copenaghen la partita l’hanno sempre fatta gli orobici: ma siccome il calcio non prevede, come invece la boxe, la vittoria ai punti, il passaggio del turno è stato decretato dagli undici metri, per quella che tanti commentatori definiscono “la lotteria di calci di rigori”. C’è sempre un pizzico di compiacimento nella voce del telecronista in questi frangenti, quasi avesse inventato lui stesso quella definizione oppure attinga alla sua vasta competenza calcistica per acculturare noi mezzi cafoni.

La Nord dopo l’uscita dall’Europa

Ora, in tutta verità io la sento e risento almeno dalla sciagurata finale di Coppa Campioni tra la Roma e il Liverpool (maggio 1984) ma non dubito che possa essere anche precedente. Di sicuro se il vero autore ci avesse messo il copyright oggi sarebbe ricchissimo, mentre è meno certo, a modesto avviso di chi scrive, che quella definizione sia poi così fondata: il tiro dagli undici metri, anzi, mette a dura prova le capacità tecniche e soprattutto mentali sia di chi calcia e sia di chi para, forse come in pochi altri momenti di questo sport. Equiparare tutto questo alla mera fortuna (o se preferite al “gran culo”) di chi vince una lotteria è quindi un po’ eccessivo, anche se è pur vero che poi contano anche certe sfumature: la zolla su cui inciampi, il palo che talvolta ti salva ed altre ti tradisce, i millimetri che mancano ai guanti del portiere che pure ha indovinato la traiettoria e, volendo finire nell’aneddotica di genere, ad esempio il mezzo limone che il neroazzurro “Veleno” Lorenzi riuscì a nascondere sotto il pallone in un derby milanese degli anni che furono. È tuttavia curioso notare, almeno da un punto di vista strettamente statistico, come spesso a sbagliare dagli undici metri siano i giocatori non solo più importanti, ma anche quelli tecnicamente più dotati: il parallelo tra l’errore di Gomez in Danimarca e quello di Baggio ai Mondiali del 1994 negli States è blasfemo ma serve a rendere il concetto.

Il contingente isolano

Così, in una bella sera di fine estate gli uomini di mister Gasperini sono attesi al riscatto, se non altro per evitare di entrare in un vortice di risultati negativi che guasterebbe l’ambiente e per evitare il nascere di polemiche pretestuose che certi ambienti giornalistici monterebbero ad arte. Salire sul carro dei vincitori o mettere i bastoni tra le ruote, a seconda delle contingenze, sono due discipline sportive che raccolgono sempre numerosi proseliti, mentre il pubblico bergamasco, in particolare la Curva Nord, hanno sempre preferito un’altra specialità, cioè quella di spingere quello stesso carro e farlo ripartire quando le cose non vanno nel modo sperato. È così anche stasera, come riassunto nello striscione appeso in alto alla “Pisani”: “GIRARE L’EUROPA HA RIEMPITO IL CUORE DI UN’INTERA CITTÀ, NON SMETTIAMO DI SOGNARE, INSIEME RICONQUISTIAMOLA” .

Gli avversari sono i rossoblù cagliaritani guidati da Rolando Maran, tecnico che, se non ricordo male, dimostrò una certa vicinanza alle tematiche ultras quando sedeva sulla panchina del Brescia. I sardi hanno messo insieme un solo punto in due partite e, nella partita casalinga dopo la sosta per gli impegni della Nazionale, affronteranno nientemeno che il Milan. È lecito attendersi che, fatte le debite differenze con i padroni di casa, anche loro, e soprattutto anche il mister, questa sera si giochino molto.

Al seguito degli ospiti un contingente che arriverà a contare complessivamente 100-120 unità, nettamente diviso tra ultras e non. La differenza la si noterà in modo chiaro all’interno del settore ma la si percepisce anche prima della partita: i ragazzi arrivati da Cagliari, o gli ultras che risiedono “nel continente” e che si sono aggregati a loro, fanno gruppo già nell’antistadio, dove non sfugge il bendidio che affolla il bagagliaio aperto di alcune auto. Formaggi, salumi sono gli ingredienti della loro cena frugale, abbondantemente innaffiata dalla nota birra dell’Isola.

Mani al cielo per i nero-blu

Si avvicina il fischio d’inizio e le squadre entrano per il riscaldamento. Nemmeno a dirlo ed il primo coro che si alza dalla nord è dedicato al Papu, eroe fragile della serata danese, a ruota segue un “Conquista la vittoria, conquistala per noi” molto partecipato. Dall’altoparlante lo speaker ringrazia, a nome della Società e dei giocatori, i propri tifosi per l’attaccamento ai colori, confermato anche dai circa 600 Berghem che pochi giorni prima erano sotto la pioggia a vedere la famosa “Sirenetta” con il pretesto della Dea.

L’impatto visivo ad inizio match ribadisce che c’è voglia di ripartire, subito e alla grande: le coreografie sono dunque servite sia in Nord che nella parte di Sud occupata dai Forever Atalanta. Se la storica curva bergamasca propone il bandierone che esordì lo scorso anno nella gara contro l’Apollon, i ragazzi (ed ex-ragazzi…) che hanno casa nella “Morosini” offrono uno spettacolo più articolato con cartoncini, bandierine e fogli argentati a contorno di un “You’ll never walk alone” riflettente, che rievoca uno dei primi murales che trent’anni fa colorarono i muri del Brumana.

Spartana la presenza dei rossoblù: la sessantina che si compatta dietro il drappo “SC 1987” appeso alla balaustra, attacca con i cori solo a partita avviata e spesso fa uso di battimani. Va peraltro detto che, nonostante il divario numerico, gli Sconvolts si cimentano anche nell’ardua impresa di cori a ripetere e i risultati sono buoni.

Tra le due tifoserie non si segnalano cori ostili, conseguenza forse più di una stima reciproca su comuni valori ultras che non della vecchia amicizia, che negli anni novanta aveva visto particolarmente vicini Furiosi e Wild Kaos.

Bandiera cagliaritana

In campo l’Atalanta parte con una certa convinzione e già al 4° minuto si porta in zona tiro per la prima volta. Poco prima del 10° il forcing si ripete e il coro della Nord acquista crescente vigore, così come i Forever non risparmiano fiato e propongono un bel “Atalanta olè” inframezzato da battimani.

In campo è un monologo bergamasco quanto al possesso di palla, Zapata è il giocatore che più si propone e che più è cercato dai compagni di squadra, ma fatica a portarsi dalle parti di Cragno. Sul fronte opposto Berisha tocca il primo pallone al 15° per fermare con facilità un tiro centrale.

Bergamo-Bergamo” contornato da una selva di mani al cielo alza il livello intorno al 20°, mentre pochi minuti dopo un doppio corner conquistato dai rossoblù mette benzina nelle ugole dei sostenitori sardi.

La fede va bene, l’attaccamento anche ma i tre punti sono quanto mai importanti oggi: il “NOI VOGLIAMO QUESTA VITTORIA!” che si alza alla mezz’ora, suona un po’ come uno “stay tuned” della curva agli undici in campo. Non è un invito superfluo perché di lì a poco gli ospiti costruiscono una buona ripartenza e se solo Sau avesse cercato la porta, al posto di un compagno, sarebbero stati dolori. A prescindere dagli sviluppi in campo, “Diffidati sempre presenti” e “Ultras!” sono i cori proposti dagli ospiti quando la Nord tira un po’ il fiato.

Il Despacito che attacca al 40° nel tentativo di dare la spallata decisiva si conferma come il coro più bello da sentire e da vedere del repertorio neroblù, ma manca completamento nell’obiettivo sperato: non solo l’Atalanta non va a rete, ma sono gli avversari a trovare il vantaggio. Negli ultimi scampoli di primo tempo il Cagliari si guadagna infatti una punizione dal vertice sinistro dell’area di rigore, Barella fa partire un tiro-cross e sulla traiettoria trova la testa di Pasalic, che involontariamente devia quel tanto che basta per ingannare il compagno Berisha. Neanche il tempo di rimettere il pallone a centrocampo che, nell’ordine, Forever e Curva Nord riprendono nell’incitamento, ma il minuto di recupero annunciato dall’altoparlante non basta per riequilibrare il risultato.

I “Forever” ad inizio gara

Nella seconda frazione di partita Gasperini propone subito Gomez a dare vivacità all’attacco. Dopo alcuni minuti di rodaggio, dalla curva comincia il coro “senza permessi e senza tessere”: più che di incitamento, il contenuto è essenzialmente ultras ed è difficile pensare che possa trovare seguito in altri settori dello stadio, anche perché tutt’altro che intuitivo nel testo. Tuttavia quando si arriva al battimani finale, tribuna e distinti non si tirano indietro.

Sconvolts e compagnia, che nel frattempo sono tornati a fare uso di magliette e giubbetti, tengono i livelli più o meno del primo tempo. Attimi di preoccupazione quando, a seguito di un “pogo”, qualcuno si ammacca più del dovuto, tanto da fare arrivare gli addetti al Pronto Soccorso per sincerarsi che la situazione non sia troppo grave.

Anche in campo non manca qualche colpo proibito, il gioco risulta spesso interrotto e per i padroni di casa è difficile costruire una manovra capace di stringere in difesa gli avversari, che anzi hanno guadagnato in fiducia e non esitano a superare la propria metà campo.

I tifosi ospiti offrono un suggestivo coro sulla melodia del “valzer delle candele”, mentre sul fronte opposto si alza il “Forza Atalanta Vinci per Noi”. Gasperini mette in campo prima Gosens e poi Barrow ma le due sostituzioni non producono gli effetti sperati. Zapata è protagonista di un paio di episodi dubbi in area avversaria ma l’arbitro lascia correre.

Il risultato bloccato ha effetti anche sull’incitamento della Nord che, sebbene continuo, negli ultimi venti minuti cala in intensità e in partecipazione, salvo poi risollevarsi nel finale con un fragoroso “Devi sempre solo vincere” che coniuga perfettamente rabbia e amore.

Con l’avvicinarsi del triplice fischio il contingente ospite elogia gli “11 leoni” ed inneggia al “Casteddu”, assaporando una vittoria del tutto inattesa ma non per questo immeritata.

Da rivedere alla ripresa del campionato se per l’Atalanta si tratta di un passo falso, come spesso è capitato negli anni scorsi ad inizio stagione, oppure se qualcosa si sia incrinato nel gioco della formazione del Gasp.

Lele Vigano’

Gabriele Viganò