Ci sarebbero molteplici chiavi di lettura e di narrazione di Atalanta-Chievo, partita con cui si chiude, davanti al pubblico amico, una stagione straordinaria per i bergamaschi. Si potrebbe dire dello storico piazzamento ottenuto che, dopo 26 anni, riporta gli orobici in una competizione europea. Oppure raccontare della standing ovation collettiva che è stata organizzata al termine dei novanta minuti. Oppure ancora parlare dell’addio al calcio di Raimondi e Migliaccio, molto amati dai sostenitori neroazzurri perché rientrano in quella particolare categoria di calciatori, tutt’altro che diffusa oggidì, ai quali non bisogna di chiedere la “maglia sudata”, perché l’impegno e l’agonismo ce l’hanno nel DNA.

Ma noi ricorderemo questo sabato sera di inizio estate soprattutto per il “terzo tempo” giocato in splendida solitudine dalla Nord. Sono le 22.00 suonate quando mi congedo dal “Brumana”, la partita è terminata da un’ora e un quarto ed il giro di campo della Banda Gasperini da oltre quaranta minuti, ma sui gradoni ruvidi della curva, indifferente anche allo spegnersi dei riflettori, lo zoccolo duro degli ultras atalantini sembra intenzionato ad infrangere un proprio record, facendo notte ripetendo all’infinito lo stesso coro. “Il nostro è un folle amore senza fine, se facciam danni tu lo capirai… siam bergamaschi e non conosciam confine, ti sosterremo ovunque giocherai… Forza! Atalanta non mollare… segna! Questo stadio fai esultare… lotta! Per la curva e per la tua città… ” queste le parole (credits to Matteo C.) che ormai da decine e decine di minuti risuonano nello stadio, ormai popolato solo dagli addetti ai lavori. Proposto chissà come e chissà da chi, prima timidamente e poi con dilagante entusiasmo contagia la truppa, che salta ed ondeggia incalzata da un tamburo che dopo il triplice fischio è magicamente apparso nel posto che gli compete, cioè al centro della balconata. E se anche il prossimo anno i bergamaschi potrebbero calcare le terrace d’oltremanica oppure i moderni stadi dell’Europa continentale, questo pogo imprevisto ed incessante regala un colpo d’occhio vagamente sudamericano, con quell’ondeggiare tipico delle barras d’oltreoceano. Sarà il tempo a dirci se sono le prove generali del prossimo cavallo di battaglia vocale, ma i presupposti perché possa diventare la colonna sonora dell’avventura europea 2017-2018 ci sono tutti, ed il solo pensare che possa coinvolgere un’intera curva, abbracciata ed ondeggiante, fa venire i brividi.

Riavvolgiamo il nastro, ora, e cominciamo il racconto dal tardo pomeriggio. Gli ospiti di turno sono i Veronesi del Chievo, dunque una partita perfetta per poter pensare solo a fare festa, senza l’obbligo di dover badare a questa o quella rivalità tifosa. I neroazzurri hanno già guadagnato matematicamente un posto in Europa League ma la vittoria odierna, a seconda del risultato dell’indomani della Lazio a Crotone, potrebbe spingere la Dea addirittura al 4° posto assoluto, la classica ciliegina sulla torta.

Dopo due accrediti consecutivi rimbalzati per le partite con Milan e Juve, quest’oggi non ci sono ostacoli a trovare il solito posticino in tribuna stampa, mentre è decisamente più ardua l’impresa di trovare parcheggio. Risolto con un po’ di fortuna il problema, passo veloce al botteghino e poi dritto sugli spalti. All’ingresso viene distribuito un pieghevole con le parole di un nuovo inno atalantino, presentato poi al pubblico ad una manciata di minuti dal fischio iniziale. Ad onor del vero l’incipit sembra quello di una ninna nanna e per potere azzeccare i successivi acuti occorrerebbe la voce di Nina Zilli, o di Nilla Pizzi se preferite: si vedrà se in futuro verrà adottato dalla gente, oltre che dalla Società, intanto la curva pare non esserne granché coinvolta e prima ancora che si giunga alla strofa finale, lo sovrasta con il coro “Claudio Libero”.

I sostenitori veneti vengono fatti accomodare nella vecchia “gabbia” vicina alla Tribuna Centrale, mentre il settore normalmente riservato agli ospiti viene aperto agli aficionados orobici, ma in realtà risulterà piuttosto vuoto. Il “tutto esaurito” di cui si parla e si scrive da giorni, quindi, pare essere un dato puramente tecnico-buracratico: i posti per cui è omologato lo stadio probabilmente sono stati venduti tutti, ma da qui a vedere quelle gradinate in cui non riuscivi nemmeno a far entrare uno spillo ce ne passa. Ma erano tempi diversi, quando riuscivi ancora a scavalcare o sfondare, oppure entravi in due con un biglietto, oppure ancora, per dirla alla Cass Pennant, “allungavi due sterle ai tizi agli ingressi”: oggi invece, tra videocamere, tornelli, filtraggi e prefiltraggi la vita del portoghese si è fatta praticamente impossibile nelle serie professionistiche. Servirebbe un carro armato… e forse da queste parti potrebbero anche dare qualche buona dritta in tal senso, visto l’exploit alla Festa della Dea di qualche anno addietro.

Il colpo d’occhio è senza dubbio ottimo, e quel mix di bandiere, torsi nudi e qualche fumogeno acceso di sguincio mi fa venire in mente Atalanta-Sambenedettese del campionato ’83-84, giornata che celebrò la promozione in serie A: non che fossi presente, beninteso, ma è flashback delle tante e tante fototifo che girano di quella partita a suo modo storica.

Il tabù durato quasi un intero campionato può essere finalmente infranto e la parola “EUROPA” appare a caratteri cubitali quando le squadre entrano in campo, grazie ad un gioco di cartoncini double-face che i coreografi della nord hanno saputo preparare alla perfezione.

Il tifo vocale è molto buono, ma citare uno per uno i cori risulterebbe forse alla fine tedioso. Basti quindi dire che il tema predominante è quello dell’Europa e non solo dal punto di vista strettamente sportivo: se i supporters orobici gridano “Europa League eccoci qui” capisci bene che c’è soprattutto tanta voglia di trasferte e di sfide ultras.

Si valicano i confini patri anche per inneggiare agli amici tedeschi del Francoforte, impegnati quella stessa sera nella finale di Coppa nazionale contro il Borussia Dortmund: per loro lo striscione “Eintracht conquista la Germania” ed il coro “Francoforte e Atalanta olè!”.

La partita non decolla, complice anche un Chievo molto coperto e tutt’altro che disposto a fare da sparring-partner, ma oggi nulla potrebbe guastare la festa neroazzurra.

Finito il primo tempo, il match riprende con una coreografia preparata dai Forever ed un’Atalanta più pimpante. Gasperini concede a Raimondi, autore di una prestazione generosa ma onestamente poco incisiva, un assaggio di standing ovation , sostituendolo con Spinazzola. Tempo zero ed i padroni di casa trovano il vantaggio con il solito Gomez, per il quale si alza poi un accoratissimo “Resta a Bergamo” che coinvolge tutto lo stadio. Detto anche dell’ingresso in campo di Migliaccio, sul taccuino restano da segnalare solo le performance dei tifosi. Prima la Curva Morosini e poi la Nord propongono una sciarpata sulle note, rivedute e corrette in salsa neroazzurra, di “Romagna mia” e poi c’è tempo e modo per acclamare a gran voce il Presidentissimo Antonio Percassi. Nel clima di giubilo non possono mancare dediche a questi e quei rivali, ed il pensiero ai cugini d’oltre-Oglio è quello che sfonda in termini di decibel e di impatto visivo, con le mani al cielo sulle note celebri del “Ballo di Simone”.

Si arriva veloci al novantesimo con il risultato che non cambia, nonostante la gran voglia di goal di Petagna.

Scongiurato il pericolo di qualche invasore di campo più o meno solitario, il tempo necessario per allestire un grande palco a centrocampo e poi hanno inizio gli annunciati festeggiamenti. Lo speaker chiama uno ad uno gli uomini della rosa, che sbucano dal tunnel degli spogliatoi e percorrono il tappeto azzurro che li porta a destinazione: per tutti sono applausi su applausi, e chi ha già un proprio coro dedicato si gode anche quello. Chiudono la passerella lo staff, Mister Gasperini ed il Presidente Percassi.

Con la squadra radunata sulla pedana ed una copiosa coriandolata di rito, la parola passa poi ai principali protagonisti della giornata. Non basta lo storico risultato raggiunto a cambiare il carattere pragmatico del bergamasco, poco incline agli sproloqui ed attento ai fatti, ai risultati e non alle ciance: non è un caso, quindi, se lo stesso Percassi si dilunga per poco più di un minuto quando gli passano il microfono. Più dinamico il Mister, che sprizza entusiasmo da tutti i pori e non fa nulla per nascondere la gioia e la soddisfazione che ha dentro, lui che i soliti “intenditori” di qualche testata locale davano quasi per spacciato dopo le prime tre disastrose gare di campionato.

Infine, il palcoscenico è riservato a Migliaccio e Raimondi, che nel dì di festa si congedano dal calcio giocato per iniziare anch’essi, si dice, una nuova avventura da dirigenti. Tra un ringraziamento ai tifosi ed uno alla Società, senza dimenticare le rispettive famiglie, spiccano in particolare due passaggi dell’intervento di Raimondi: prima il pensiero rivolto a quei tifosi che oggi non possono godere questi momenti (sulla vetrata in nord spicca uno striscione che ricorda Ivan e Giorgio, due elementi di spicco della tifoseria, ma l’elenco ahinoi sarebbe molto lungo) e poi l’invito a non smettere mai di sognare. Diversamente da quanto avverrà il giorno dopo all’Olimpico di Roma, in occasione del saluto di Francesco Totti, non è qui un fuoriclasse a parlare, ma un giocatore che, come lui stesso dice, è arrivato a certi livelli non tanto per innate doti tecniche ma per avere sempre creduto e lavorato per realizzare un sogno, quello di fare il calciatore e, soprattutto, di indossare i colori che amava sin da bambino.

Sono infine i due atleti a percorrere abbracciati la passerella azzurra ed a tornare verso la curva per il tributo speciale, prima che la squadra chiuda la serata con il meritato giro di campo: migliaia di cartoncini sagomati a forma di maglia formano un muro da cui fanno capolino due bandieroni che riproducono le loro casacche. Il tributo alla coppia avviene anche per opera della curva Morosini che, non a caso, elogia gli uomini e i campioni.

Pel de poia”, appunto, in attesa dei brividi europei…

Lele Viganò.