L’Atalanta ed il proprio pubblico salutano un 2019 da incorniciare con la più classica delle ciliegine sulla torta: cinque sberle ad una di quelle “grandi” da sempre tanto detestate, il Milan nella fattispecie.

Il “lunch match” vede la presenza di un corposo numero di sostenitori rossoneri, fiduciosi di vedere miglioramenti dell’undici affidato a mister Pioli. La distanza tra le due città agevola anche gli spostamenti “fuori gruppo” ma il grosso della tifoseria raggiunge il Comunale quaranta minuti prima del via: la carovana di otto pullman arancioni, interrotta da altrettanti blindati che si posizionano tra un bus e l’altro, anche se arriva a porte aperte non pare propensa a prendere iniziative particolari. Lo dimostra il fatto che l’ultimo mezzo non riesce ad entrare subito nel parcheggio e deve attendere che gli si faccia spazio ma, anche se i blu applichino una marcatura tutt’altro che asfissiante, tutti restano a bordo nonostante i volti travisati e le aste in bella mostra.

Vero è che i padroni di casa non sembrano particolarmente interessati dall’arrivo degli ospiti, anche considerate le recenti vicissitudini legate ai fatti di Firenze. A proposito di repressione ad orologeria, un lungo striscione esposto davanti al “baretto” esprime solidarietà ai rivali storici del Toro, vittime di quella che potremmo definire una trappola pianificata ma che Lorsignori hanno avuto l’ardire di chiamare pomposamente un “esperimento sociale”. Il lessico vuole la sua parte, ci mancherebbe altro, ma la sostanza non cambia ed è un bel mix di meschinità ed incoscienza. Se infatti è meschino creare intenzionalmente le condizioni perché due tifoserie possano entrare in contatto e poi falcidiarle di diffide, poco si è dato risalto ai potenziali “effetti collaterali” di questi metodi empirici. Lo stadio non è un laboratorio, non si maneggiano provette e microscopi e ci vuole un nulla perché un piccolo parapiglia possa degenerare in qualcosa di più esteso ed incontrollabile: il fatto è che questi moderni Macchiavelli in divisa e doppiopetto, hanno ritenuto che il fine supremo di colpire gli ultras giustificasse il ricorso ad ogni mezzo, pur consapevoli del rischio di provocare feriti gravi, magari tra il pubblico più tranquillo dove il panico poteva avere il sopravvento e causare danni ingenti. A quel punto sappiamo già cosa come sarebbero andate le cose: colpa dei mostri, colpa degli ultras…

Torniamo alla 17ma di Campionato, con uno stadio bello pieno e che alla fine registrerà un numero di presenze (20.940) superiori a quelle della partita contro la Juventus. Il contingente meneghino si compatta sui gradoni in cemento ed offre un buon colpo d’occhio dietro gli striscioni “Curva Sud” e “Nativi”: quando mancano una decina di minuti al fischio iniziale si alzano bandiere e stendardi, ai quali farà seguito una sciarpata all’ingresso delle squadre.

La Nord non ha in agenda particolari coreografie: al centro della curva spicca quel “Lunga vita agli ultras” che, quando è esposto in solitudine, è il barometro di tempi difficili. Da un punto di vista vocale gli orobici partono con la quinta marcia ingranata, lasciando pochi decibel ai loro dirimpettai, che pure si danno da fare a giudicare dai frequenti battimani. Del resto non potrebbe essere altrimenti visto che subito appare chiaro che in campo si gioca ad una porta sola. Dopo le prime schermaglie, tocca al Papu rompere gli equilibri: riceve palla sulla tre-quarti e, smessi i panni di suggeritore, si invola verso la porta difesa da Donnarumma, che trafigge dopo avere superato con un tunnel l’ex Conte (più volte beccato dai tifosi neroazzurri).

Gli uomini di Gasperini provano, senza riuscirci, a mettere in ghiaccio il risultato, mentre la reazione del Diavolo è flebile, quasi impalpabile: tengono molto meglio la posizione i rossoneri sugli spalti, capaci di farsi sentire bene con un “Forza Milan – Milan Campione” a ripetere. Mentre il match cala di intensità, verso la mezz’ora la Nord cattura l’attenzione dei più distratti con un “Bergamo-Bergamo” intervallato da scroscianti battimani che coinvolge ampi settori dello stadio. Si arriva alla fine del tempo con la Dea ancora in avanti ma senza incrementare il bottino.

La seconda frazione riprende con l’esposizione di un lungo striscione che ricorda l’impresa dell’Atalanta contro lo Shaktar, valsa un incredibile passaggio alla fase finale della Champions League; poco prima scroscianti applausi per Duvan Zapata che, ancora convalescente, si affaccia a bordocampo.

I ritmi di gioco sono moderatamente vivaci, ti aspetteresti un Diavolo all’assalto ma nulla di tutto questo: manca uno straccio di gioco, manca un minimo di furore agonistico, non manca il sostegno dei propri tifosi ma anche quello è sceso di tono rispetto ai primi 45 minuti.

Tempo di salutare i diffidati prima e le FdO poi, e la Curva esplode per il doppio colpo inferto ai rossoneri: prima Pasalic e poi Ilicic mettono KO gli avversari, da tempo già costretti nell’angolo ed incapaci di replicare. Esultare è un obbligo, infierire un dovere, questa è la legge del tifo: il coro “Serie B-Serie B” rimbomba sotto la copertura della terrace orobica e, a stretto giro, si alzano gli “olè” da corrida a salutare il lungo fraseggio dei propri beniamini. Non manca un pensierino ai cugini bresciani, oltretutto gemellati storici con i rossoneri, con tutta la curva che “… butta in aria le mani…”.

Sul manto erboso c’è una squadra sola ed il risultato di lì a poco assume dimensioni imbarazzanti, grazie al raddoppio di Ilicic ed alla marcatura di Muriel, da poco subentrato allo stesso sloveno. Più combattuta la sfida del tifo, con i padroni di casa che danzano sulle note di “Don’t worry be happy” ed i tifosi meneghini che nel frattempo hanno riacquistato smalto. Negli ultimi venti minuti di gioco gli ospiti offrono un tifo inversamente proporzionale all’andamento del match, mentre alle loro spalle incombe sul tabellone il “5-0” rimediato: onorano i colori e salvano l’orgoglio con le loro bandiere al vento, i battimani, i lunghi cori… Non manca nulla per guadagnarsi un buon voto in pagella se non, forse, una bella lavata di capo nei confronti degli undici fantasmi rossoneri visti in campo…

Lele Viganò