Esordisco in questo articolo ringraziando innanzitutto colui il quale ha reso possibile il mio accesso all’Allianz Arena. In tempi di accrediti negati, tessere su tessere richieste per poter semplicemente esercitare la propria professione e, manco a dirlo, muri di cemento da parte di alcuni top club europei, poter contare sulla rete di contatti creata da Sport People negli anni è a dir poco sinonimo di sicurezza. Il nostro amico – di cui non faccio il nome per tutelarlo da qualsiasi eventuale problema – ne è la conferma e con un atto di generosità mi “spinge” tranquillamente sulle gradinate dell’avveniristico impianto bavarese. In una serata che, per una coppa d’élite come la Champions League, è un vero e proprio lusso dal punto di vista ultras.

Da principio: Monaco di Baviera rientra in una delle tappe del tour che il giorno dopo mi condurrà in quel di Ginevra, per il match tra il Servette e la Roma. La curiosità di vedere all’opera una realtà come quelle danese, ormai da qualche anno sulla cresta dell’onda, e un’altra se vogliamo storica del tifo teutonico, fa gola e, con un intricato incastro di treni e pullman, riesco ad organizzare il mio viaggio. Un paio di Flixbus mi scorrazzano da Milano fino alla meta, fungendo da veri e propri dormitori nelle freddi notti d’Oltralpe. Rispetto all’Italia, qua i torpedoni verdi assumono un non so che di civile e le ore scorrono serenamente, senza gente attaccata al telefono per tutto il tempo o impegnata a rumoreggiare con cellulari, tablet e computer. So che è un’osservazione da vecchio rompicoglioni, ma tra i cancri sociali contemporanei annovero proprio il non rispetto del silenzio in luoghi pubblico come i mezzi, utilissimi a leggere e pensare mentre si guarda il panorama scorrere dal finestrino. Tra l’altro, non so se qualcuno può rispondermi: com’è possibile che solo a me non prenda mai il telefono durante gli spostamenti? Vedo persone continuare a gracchiare barbaramente anche mentre attraversano il Traforo del Monte Bianco!

Un freddo a dir poco pungente spazza immediatamente via il mio sonno residuo una volta sceso dal pullman, facendo da contraltare a un cielo terso. Sarà in realtà il preludio a vaste e massicce nevicate, che arriveranno quando fortunatamente sarò già lontano (sic!). Per me si tratta della terza volta a Monaco, sebbene stavolta voglia viverla con uno spirito e una visione differente. Nelle due occasioni precedenti, infatti, la mia destinazione finale fu il settore ospiti dell’impianto bavarese (in due gare disputate dal Bayern contro la Roma, rispettivamente in Champions ed Europa League), luogo da dove è davvero molto difficile giudicare l’ambiente e capire l’anima del pubblico casalingo. Inoltre mettiamoci anche che ero più giovane e sicuramente davo molta meno importanza a dettagli e particolari. Una cosa però mi è rimasta impressa: lo zaino con soldi, documenti e souvenir lasciato sulla panchina di una stazione, attendendo il treno per l’aeroporto. Uno scherzetto che solo grazie a un colpo di fortuna non mi costò un rimpatrio difficoltoso. Strano a credersi, ma in quell’occasione la rigidità tedesca venne meno agli imbarchi del “granitico” aeroscalo di Memmingen, dove un tedesco dal cuore d’oro – ascoltata la mia storia – trovò il modo di farmi comunque salire sull’aereo per casa. Onore a lui, un vero deterrente a ogni stereotipo nei confronti del suo popolo.

Tornando a oggi, dicevo di quanto abbia voglia di vivere con più coscienza la giornata. Negli anni ho sicuramente meno entusiasmo nel visitare luoghi contigui all’Italia già visti in passato, ma è innegabile che Monaco – soprattutto rispetto alla media nazionale – sia una città quantomeno affascinante e interessante, sebbene davvero troppo “strozzata” dal turismo di massa. Le sciarpe biancorosse del Bayern circolano per le strade già dalle prime ore del mattino, così come quelle dei tifosi danesi, attesi in oltre cinquemila unità. Il gemellaggio dei bavaresi con la curva del St.Pauli e quello degli afniensi con i ragazzi dell’Amburgo aggiunge sale alla sfida e mi fa ben sperare per un ambiente ostile. Mi sono prefissato di tornare nella centralissima Marienplatz attorno alle 17, quando la concentrazione di tifosi ospiti in vista del tragitto verso lo stadio sarà corposa. Nel frattempo ho due obiettivi: visitare il vecchio e storico Olympiastadion e successivamente il Grünwalder Stadion, entrambe case delle due squadre locali in diversi periodi storici, come avrò modo di raccontare.

Pertanto dopo una leggera colazione e un giretto di “riscaldamento” attorno al sempre bello Neues Rathaus (il municipio) posso prendere la metro in direzione dell’Olympiapark, il complesso di impianti sportivi costruito in occasione delle Olimpiadi del 1972. L’insieme di strutture necessarie allo svolgimento delle attività risulta tutt’oggi moderno e funzionale, tanto che un po’ spinto dalla curiosità e un po’ dalla necessità di godere per qualche minuto del suo tepore, entro nella costruzione che occupa la piscina olimpionica, utilizzatissima anche dalla gente del posto. Visitare l’Olympiapark significa anche imbattersi nella targa che commemora il celeberrimo attacco terroristico operato durante le Olimpiadi dall’organizzazione palestinese Settembre Nero, che rapì undici atleti israeliani all’interno del Villaggio Olimpico, uccidendone immediatamente due e successivamente – durante le contrattazioni con la polizia tedesca – gli altri nove. Uno degli eventi più famosi e clamorosi della storia novecentesca, legato indissolubilmente alla ventesima edizione dei Giochi.

L’intenzione sarebbe quella di visitare anche l’Olympiastadion, ma siccome una tutt’altro che affabile signorina mi chiede 3.50 Euro per entrarvi – e siccome ove possibile resto del tutto contrario a pagare per entrare in un impianto sportivo, figuriamoci se vuoto – mi accontento della sua visione esterna. Resta comunque uno dei monumenti del football europeo, che oltre ad aver ospitato ben tre finali Coppa dei Campioni, dal 1972 al 2005 ha ospitato le gare interne del Bayern e del Monaco 1860. Nella stagione 2020/2021, invece, è stato teatro dei match casalinghi del Türkgücü München, squadra afferente alla comunità turca locale militante in quel momento nella 3.Liga. La struttura, dall’esterno, richiama per certi versi quella dell’Olimpico di Roma e rimane comunque fascinosa, anche perché legata a gran parte della storia calcistica di questa città. Al suo interno, peraltro, hanno mosso i primi passi i gruppi ultras delle due squadre monacensi. E da un punto di vista prettamente sportivo, a calcare il manto verde sono stati alcuni tra i giocatori più rappresentativi della Germania e non solo. Insomma, ci troviamo di fronte a un qualcosa di monumentale, ben incastonato in un complesso che rende onore allo sport e che – pensando alla finaccia che hanno fatto molte strutture erette in vista delle Olimpiadi del 1960 a Roma – merita un plauso sia per lo stato di conservazione che di attuale sfruttamento.

Il ghiaccio imperversa su alcune parti delle stradine che si districano tra palestre, palazzetti e stadi. Sebbene sia vestito di tutto punto, devo fare attenzione per non andare lungo e ricordarmi la mia sortita bavarese per motivi differenti da stadio, calcio e ultras. Voglio dirigermi verso il Grünwalder adesso, posto nella periferia sud della città, praticamente all’opposto rispetto a dove mi trovo ora. Monaco conta oltre un milione e mezzo di abitanti, attestandosi al terzo posto per grandezza e popolazione, dietro a Berlino e Amburgo. Di fatto una grande città, inserita in un contesto “ricco” come quello della Baviera e storicamente snodo cruciale per la sua posizione centrale. Non mi sorprende, dunque, impiegare oltre quaranta minuti per compiere la “traversata”, malgrado l’efficienza del trasporto pubblico. Quando risalgo completamente dalla stazione della U-Bahn Wettersteinplatz, mi ritrovo in una zona palesemente popolare e popolosa (più precisamente nel distretto di Untergiesing-Harlaching), con lo stadio che mi si palesa davanti. Ben incastonato tra un parco, la strada e i palazzi. Classico impianto vecchio stampo. Un “modello” che oggi tanto viene “combattuto” e denigrato, in favore delle Allianz Arena di turno, ma in sfavore di quell’empatia tra la città, il tifo e i club che hanno reso il pallone di cuoio il protagonista più amato e bramato dagli sportivi del Vecchio Continente.

Costruito e inaugurato nel 1911, il Grünwalder è stato completamente raso al suolo dai bombardamenti che interessarono la città durante la Seconda Guerra Mondiale, venendo poi ricostruito nel 1948. Purtroppo non riesco a trovare un pertugio per entrarci e vederlo meglio, ma da ciò che si intuisce da fuori, le tribune sono quelle “classiche” tedesche: senza seggiolini, in cemento armato e a ridosso del campo. Oggi può ospitare 15.000 spettatori, ma in passato la capienza si aggirava addirittura sulle 60.000 unità (record raggiungo in un Monaco 1860-Norimberga del 1948), il che la dice davvero lunga su quanto negli ultimi ottant’anni siano cambiate le norme di sicurezza attorno e all’interno degli stadi. Le due squadre locali hanno giocato qui fino al 1972, con il Monaco 1860 che vi è poi tornato nella stagione 2017/2018, quando le spese per continuare a giocare nella Allianz Arena sono divenute insostenibili al cospetto del tracollo finanziario del club biancazzurro (nel frattempo caduto in disgrazio e retrocesso in terza divisione). Ciò che non manca, invece, sono gli adesivi che fanno riferimento alla presenza degli ultras del 1860. Mania per gli sticker che, se vogliamo, è un vero e proprio “cavallo di battaglia” degli ultras tedeschi (e del nord Europa più in generale).

Nel frattempo il cielo comincia a farsi più plumbeo, con il pomeriggio che incalza e la mia volontà di fare un ultime giretto per il centro, con destinazione finale la celebre birreria Hofbräuhaus, dove dalle 17 in poi gli ultras del København si raduneranno, prima di partire alla volta dello stadio. Quindi piccola sosta per un paio di bretzel accompagnata da birretta e poi via verso le strade iper agghindate del centro storico, dove non posso non notare le numerose bandiere ucraine e israeliane che campeggiano su monumenti e palazzi istituzionali. Del resto anche buona parte delle curve tedesche ha espresso la propria opinione in tal senso, aspetto che ci fa capire come contorto – quanto radicato – sia il punto di vista su certe tematiche a queste latitudini. Ma non mi inoltrerò in discorsi che strabordano dall’aspetto curvaiolo, anche perché si aprirebbe una finestra davvero troppo lunga, complessa e controversa. Di certo, nessuno me ne voglia, l’impressione è che talvolta la società tedesca tenda ad avere una sorta di “peccato originale” con il quale fare i conti, cosa che probabilmente non aiuta ad affrontare con la giusta lucidità determinate situazioni e porta a prese di posizione più visive che altro, legate spesso ad una visione del mondo come spezzato in due, bene e male, buoni e cattivi. Una regione come la Baviera, tradizionalmente conservatrice (ma che a fine della I guerra mondiale vide anche nascere la repubblica dei Consigli, gestita una serie di soviet operai), ad esempio, non trova forse la giusta cartina al tornasole in una curva – quella del Bayern – da anni impegnata in determinate battaglie, spesso circoscritte in un’ottica politica ben definita. Ma questo è un po’ il carattere generale del mondo ultras tedesco, che in diverse città ha voluto rompere (o comunque convivere ma senza farne fuori uscire gli eccessi, almeno quelli visivi) con l’hooliganismo che ne aveva caratterizzato i settori popolari almeno fino alla metà degli anni novanta.

Tornando alla mia giornata: dopo esser riuscito a ricaricare il cellulare ed essermi inebriato con l’onnipresente odoro di vin brulè, che personalmente poco mi garba, mi porto a ridosso della Hofbräuhaus, dove già diverse centinaia di tifosi danesi stanno bivaccando con boccali e bicchieri di birra in mano. La cosa che immediatamente mi sorprende è la totale tranquillità con cui la polizia tedesca li osserva attaccare adesivi in ogni dove e camminare con contenitori di vetro in mano. Mi vengono in mente funzionari italiani, sindaci, prefetti e questori: tutti timorati da Dio impegnati a vietare il vietabile in queste occasioni, cominciando proprio da alcol e vetro. Salvo poi portare un migliaio di tifosi olandesi ubriachi nell’angusto spazio di Piazza di Spagna e lamentarsi – frignare, diciamocela tutta – perché qualcuno ha sfregiato la Barcaccia! La quantità di boccali griffati HB e Augustiner che viene lasciata in terra e sui muretti è impressionante, soprattutto se si pensa agli esosi prezzi con cui questi gadget vengono venduti ai turisti.

Come detto sono circa cinquemila i biglietti venduti ai supporter dell’FCK, che sono davvero curioso di vedere all’opera. La loro tifoseria è probabilmente tra quelle che più sono cresciute negli ultimi anni e, almeno a giudicare dalle immagini, lo stato di forma attuale è di quelli notevoli. Ormai da anni tendo a scindere le immagini dalla realtà, non avendo mai e poi mai grandi aspettative. L’era dei video, delle foto e dei messaggi whatsapp compulsivi, ci ha abituato a creare miti anche laddove non esistono (un esempio sempre valido è il famoso bluff del Muro Giallo di Dortmund), quindi meglio andarci cauti. Prima facevo menzione alla tranquillità degli agenti tedeschi, cosa che ovviamente non vuol dire lassismo. Lo schieramento è di quelli imponenti, così come la stazza dei celerini chiamati a scortare il corteo che condurrà i danesi alla metropolitana. Diverse telecamere si occupano di riprendere la Fanmarsch, posizionandosi esattamente nella viuzza d’uscita dalla piazza dove stazionano i tifosi. Non senza qualche difficoltà, ma aiutato dalla mia statura minuta, mi infilo tra polizia e ultras, studiando un po’ l’evolversi della situazione. Diverse bandierine con lo stemma dell’Amburgo (HSV) vengono brandite dai gemellati, unitamente a potenti cori che alternano offese al Bayern e al St. Pauli (“Scheiße Bayern”, “Scheiße St.Pauli”), mentre durante il cammino diverse torce e fumogeni vengono accesi illuminando le strade. Ovviamente i tentativi di alcuni turisti di riprendere il tutto con i propri cellulari vengono arginati dai ragazzi dei gruppi, che con modi più o meno “gentili” fanno capire che non è il caso.

Su questo voglio fare una considerazione: a volte non apprezzo la militarizzazione delle tifoserie nord europee, né la divisione fin troppo gerarchica o in base all’età. Ma ne riconosco una grande virtù: la comunicazione, la gestione della stessa e dei suoi effetti collaterali. Nonché, come in questo caso, una linea di pensiero comune sulla questione video/immagini realizzate a proprio scapito. Il voler instillare nella mente di chiunque frequenti il settore ultras il concetto – sacrosanto – che quell’auto delazione fatta con gli smartphone e corroborata talvolta da foto di tensioni o anche solo immagini della pirotecnica che aiutano e non poco chi si occupa di reprimere il movimento curvaiolo, sia uno dei primi mali che affliggono gli ultras “contemporanei”. Poi, e qui forse mi contraddico ma non posso far a meno di dirlo, neanche mi fa impazzire il fotografo “personale” che tutte queste tifoserie piazzano davanti ai loro cortei o in campo, quasi a voler chiudere il cerchio di quella macchina perfetta, pensata in modo piramidale. Ma mi rendo conto che al fine di perorare la causa di cui sopra, ci possa stare eccome. Sta di fatto, che da buon italiano, per evitare problemi, cammino dove “posso” e non mi metto in mostra fotografando. Di necessità, virtù!

Quando il corteo arriva nei pressi della metro, la polizia si preoccupa di far scendere i tifosi e bloccare gli accesi ai normali passeggeri. Un paio di convogli, pertanto, diventano dei veri e propri “treni speciali” diretti allo stadio. Un altro esempio di come si gestisce una tifoseria in trasferta, altro che divieti o abolizione dei viaggi organizzati. Qui, giustamente, si vuol far partire e arrivare tutti assieme, in modo da averne maggiore controllo e poter favorire le fasi di afflusso e deflusso. Certo, non saranno scelte figlie delle riunioni fiume dell’Osservatorio – foraggiate dagli espertissimi rappresentanti di Autogrill e Trenitalia, che manco i loro comparti generalmente sanno far funzionare -, non saranno le gestioni virtuose di quelle Questure italiane che fanno defluire assieme tifoserie storicamente rivali per poi lamentarsi degli incidenti, ma tutto sommato ‘sti tedeschi se la cavano! Ah, scusate, dimenticavo: per questa partita – come per tutte la altre della Bundesliga o del campionato danese – a nessun tifoso è stato richiesto il proprio nome per acquistare un biglietto. Il che, pure qua, non vuol dire che non ci sia controllo, non ci siano leggi severe per i reati da stadio o non ci siano rivoli di repressione. Semplicemente alla base viene contemplata una parola da noi sconosciuta: prevenzione. A cui in genere vengono uniti il dialogo con tutte le parti in causa e il trattamento civile del tifoso, che non è visto come una bestia da sbattere in prima pagina la domenica seguente a ogni minima tensione.

Quando il serpentone biancoblu è transitato in toto, finalmente anche io posso salire sulla metro per lo stadio. Il viaggio è a dir poco faticoso, a causa dell’ingente quantità di persone che finisce per creare un effetto soffocante. Ma è il bello della folla e del vivere in mezzo alle folle. Cosa sicuramente poco consigliata a chi soffre di agorafobia o claustrofobia. Quando arrivo alla stazione Fröttmaning trovo il mio amico ad aspettarmi e, appena usciti, subito l’Allianz Arena si staglia davanti a noi. Illuminata dalla classica luce rossa, fedele ai colori del Bayern. Curiosità: la proposta di costruire questo stadio e i primi finanziamenti vennero dal Monaco 1860, che successivamente coinvolse anche i cugini. Inaugurato nella stagione 2005/2006, andò totalmente a sostituire l’Olympiastadion, divenendo col passare del tempo – come detto – sempre più un peso per i Leoni di Baviera, che alla fine furono dapprima costretti a cederlo totalmente al Bayern pagandone un canone fisso, e poi ad abbandonarlo facendo ritorno al Grünwalder e sancendone così la definitiva presa di possesso da parte dei rivali cittadini, che negli ultimi anni hanno potuto “brandizzarlo” a proprio piacimento con il logo del club sulle tribune e tutta una serie di murales che, nel perimetro antistante le tribune, riproduce gran parte dei momento storici dei Roten (i rossi).

Parere personale: bella la struttura, bello l’impianto, bello tutto. Ma a me risuona come una cattedrale nel deserto. Lontano dal centro cittadino, senza un’anima ben definita, freddo (nel vero senso della parola) e in piena armonia con il calcio “intrattenimento”, anziché per quello sudore e bestemmie che personalmente amo. Capisco l’incedere della modernità, ma riesco difficilmente ad apprezzarne alcune sfaccettature. Inoltre mi viene sarcasticamente da ridere quando apprendo che non potrò entrare con il mio zaino di medie dimensioni e sarò costretto a lasciarlo al deposito bagagli (pagando). La cosa mi va pure bene, perché mi toglie il peso dalle spalle, ma se non l’avessi saputo e non avessi avuto soldi con me? Semplice, non sarei potuto entrare. Cosa che in più di un caso è avvenuta lo scorso anno a qualche sfortunato tifoso “occasionale”, rispedito indietro e costretto ad arrivare fino alla metro (solo da questa stagione si è posto un deposito bagagli a pochi metri dagli ingressi) per lasciare il proprio zaino.

Arriva il momento di entrare nell’impianto. Il nostro tagliando è per la Südkurve ma, come dirò a breve, il bello degli stadi tedeschi è che si può circolare liberamente al proprio interno. Il primo patema d’animo è tuttavia per la fotocamera, che – tutto il mondo è paese – anche qui non è ben vista e teoricamente sarebbe vietata nel suo formato professionale. Fortunatamente lo steward non batte ciglio ed entriamo tranquillamente, trovandoci proprio a ridosso del settore caldo del tifo bavarese. La mia curiosità è ovviamente quella di gettare un primo sguardo proprio al suo interno: numerosi ragazzi sono impegnati nel sistemare la coreografia con cui accoglieranno l’ingresso delle squadre. Per favorirne una perfetta riuscita hanno anche diffuso un volantino, mentre diversi giovani con i bussolotti vagano per raccogliere offerte e coprire le spese della stessa.

Avrò modo di appurare con i miei occhi la crescita vistosa della tifoseria bavarese rispetta all’ultima volta che l’ho vista all’opera, nel frattempo però è lapalissiano il balzo in avanti che hanno fatto nel rapporto con il tifoso “medio”. Aspetto che trovo cruciale a queste latitudini, considerata un retroterra storico, in fatto di attitudine da stadio, molto diverso rispetto a noi, dove bene o male sin dagli albori anche il tifosi di tribuna è stato abituato – e in un certo modo ha capito e avallato – turbolenze, momenti truci e confronto verbale e non con il dirimpettaio. Da queste parti fino a qualche anno fa si fischiava contro gli ultras in caso di spettacoli pirotecnici. Oggi c’è chi applaude e chi vede tutto ciò come parte integrante della magnificenza visiva ed esperienziale che le gradinate comportano. Del resto, come detto, il tifoso qui è al centro del progetto e oltre a esser proprietario al 50% + 1 del club, è assolutamente parte dell’ingranaggio. Questo, lo comprendo e in parte lo condivido, chiaramente va forse contro quella natura ribellistica e puritana delle nostre curve. Ma è altrettanto vero che proprio questa natura oggi è impossibile da attuare, pertanto o ci si “adatta” non diventando burattini ma rivendicando i propri spazi, oppure si dà vita a una guerra contro i mulini a vento. Che neanche Don Chisciotte spalleggerebbe probabilmente. Inoltre non crediate che stiamo parlando di curve “tranquille” e “pacifiche”. Le immagini di scontri e tumulti che domenicalmente colpiscono tutti i campionati teutonici sono la cartina al tornasole di quanto detto. E ovviamente sono oggetto di rappresaglie e di una repressione – seppur non paragonabile a quella attuata nello Stivale – comincia anche qui a scavare pericolosamente un solco, soprattutto nelle leggi di interdizione all’accesso negli stadi.

Ma andiamo nel cuore della partita, di un confronto che lascerà davvero tanti spunti di riflessione. Sfruttando la relativa libertà di movimento, ci posizioniamo nella parte alta della tribuna. In maniera da poter vedere entrambe le curve all’opera. Lo stadio farà registrare il sold out, con circa 75.000 spettatori presenti. Sul pubblico di casa c’è ovviamente da fare prima di tutto una riflessione generica: parliamo di uno dei club più titolati al Mondo, che attira dunque tifosi da tutta la Germania e non solo e che ha sede in una delle più ricche, conservatrici e borghesi città del Paese. Già questo fa capire quanto sia difficile per gli ultras mantenere in piedi determinati paletti come il prezzo dei biglietti, lo spazio da occupare inviolabile da altri supporter, la libertà nel fare tifo e l’avere diritti di prelazione e precedenza su biglietti e abbonamenti. Eppure i rapporti con il club, per quanto possano essere conflittuali sotto alcuni aspetti, restano nel limbo del dialogo. Il che vuol dire avere abbonamenti annuali che si aggirano sui 170 Euro (ditemi quale società italiana offre simili prezzi, al cospetto di un costo della vita più basso e di strutture fatiscenti per non dire spesso inutilizzabili. Ma anche al netto di divieti e chiusure di settori che sovente fanno buttare i soldi per il singolo evento) e fruire di un settore dove mai e poi mai viene messa in discussione la conformazione (senza seggiolini e ben spaziosa) per fare il tifo. Poi da italiano, cresciuto con un certo tipo di idea, posso dire che non amo vedere il palchetti dove si arrampicano i lanciacori – perché mi sanno di preconfezionato – ma innegabilmente sono sintomo di considerazione.

Rimango piacevolmente sorpreso, inoltre, nel sapere che la Südkurve da qualche tempo sta spingendo affinché la società, a fine stagione, ristampi un certo quantitativo di biglietti cartacei per ogni match giocato. Questo per far fronte alla digitalizzazione che ha tolto totalmente il gusto della collezione del tagliando, oltre a foraggiare quell’idea di calcio/industria ormai in mano a computer e codici QR. Una cosa che dice anche molto di come si ragioni da queste parti e di quanto, buon per loro, ci sia anche tempo per pensare a sfumature che giocoforza hanno sempre costituito quel pacchetto di “piccole gioia” che ci ha avvicinato al calcio e successivamente all’ala più calda dei suoi tifosi.

Ma bando alle ciance, adesso è l’ora della partita! I tifosi danesi si cominciano a far sentire con diversi battimani e provocazioni nei confronti dei tedeschi, mentre si nota come anche i responsabili della Sektion 12 siano impegnati a sistemare la coreografia. Ma chi sono esattamente gli ultras dell’FC København? Il sempiterno Sebastian Louis ebbe modo di parlarne approfonditamente tempo fa, tramite le nostre colonne, descrivendo accuratamente la struttura dei suoi ultras ma anche l’ambiente che generalmente si respira al Parken. Parliamo di un club relativamente giovane, fondato nel 1992 dalla fusione di due sodalizi esistenti dall’inizio del secolo scorso, e in grado di convogliare un gran numero di tifosi. Andando, di fatto, a creare un granitico contraltare al Brøndby, fino ad allora indubbiamente il più celebre club di Danimarca e della sua Capitale. Un po’ come in tutto l’universo nord europeo, anche qui la formazione degli ultras è abbastanza giovane. Dopo una fase contraddistinta dall’hooliganismo di stampo britannico, a inizio degli anni duemila sugli spalti del Parken si volle dare un’impronta più organizzata, in grado di sostenere la squadra rifacendosi al modello italiano. Con queste credenziali nacquero gli Urban Crew, tutt’ora attivi e bravi a lavorare sodo per far crescere una tifoseria che si identificata nella sigla omnicomprensiva di Sektion 12 (nome che quindi non rappresenta un gruppo ultras, ma una sorta di insegna che raggruppa chiunque voglia sostenere i Løverne (leoni) in maniera più calorosa. Per un maggiore approfondimento su come si entra a far parte degli UC e su come al loro interno esista una suddivisione gerarchica, invito a leggere l’articolo sopra linkato. Di certo è sempre molto curioso assistere al modo schematico e anche un po’ paramilitare con cui, anche in Germania, si portano avanti i gruppi. Personalmente posso non condividerne troppo questi aspetti, ma francamente va anche detto che di concerto con le rispettive culture, producono risultati incontestabili. E stasera ne avrò l’ennesima conferma.

Non da meno, infatti, è lo scenario offerto dalla curva di casa. Cominciamo con il dire che le principali sigle della Curva Sud sono Schickeria MünchenInferno Bavaria, Red Munichs ’89Südkurve ’73, Munichmaniacs 1996Red Angels e Red Sharks. Chiaramente è Schickeria a fungere da vero e proprio gruppo trainante, sebbene ogni elemento elencato abbia una sua identità e goda di una sua importante voce in capitolo (guai a metterlo in dubbio). Nati nel 2002 con l’idea di unire tutte le forze dell’allora nascente movimento ultras monacense, i ragazzi di questo gruppo hanno senza dubbio guardato con più di un’occhio all’Italia. Basti pensare sia alle amicizie ancora esistenti con la Nord di San Benedetto del Tronto, la Est di Rimini, i ragazzi di Civitanova Marche e la Maratona di Empoli, ma anche ai tanti (forse a volte anche troppi) messaggi in italiano per commentare situazioni riguardando il nostro panorama ultras. Tra le tante, comunque, ho piacere di ricordare la coreografia contro la tessera del tifoso realizzata nel match contro la Roma nel 2010, tanto per spiattellare in eurovisione uno dei tanti abomini partoriti dalle nostre autorità in fatto di ordine pubblico applicato ai sostenitori di calcio.

A proposito di gemellaggi: se tra le fila ospiti spiccano i ragazzi di Amburgo, nella curva di casa sono presenti le pezze di quelli del Bochum, del Bordeaux e, ovviamente, del St. Pauli. Quando le due squadre fanno capolino dagli spogliatoi, le tifoserie mostrano le rispettive coreografie. La Südkurve celebra i dieci anni dalla vittoria della finale di Wembley, contro il Borussia Dortmund. Tre gagliardetti in gigantografia, con i volti dei protagonisti di quel trionfo, coprono il settore e vengono colorati da cartoncini bianchi e rossi disposti nella parte bassa. Mentre in vetrata campeggia lo striscione Europa Pokal Sieger. Cosa dire? Non complessa e tutto sommato ben riuscita. Anche da non amante delle coreografie devo dire che ho apprezzato. Così come – forse ancor più – ho gradito quella realizzata dai ragazzi di Copenaghen: cartoncini con i colori social, striscione Copenaghen Dream (in stile murales, davvero molto bello) e una miriade di flash accompagnati da qualche torcia. Anche qua premio appieno la semplicità. Alla faccia delle coreografie in 3D!

La pirotecnica, inoltre, sarà il vero e proprio cavallo di battaglia dei danesi in questa serata. Come ha appurato qualcuno, con tutta probabilità nessuno ha mai acceso un così alto quantitativo di torce all’Allianza Arena. E sarà che l’unione fa la forza, sarà che questi oggetti tanto combattuti hanno fatto talmente breccia nel cuore delle tifoserie nordiche da divenire, forse, lo strumento più difeso e tante volte addirittura “abusato”, ma è davvero un bel vedere per tutti i novanta minuti. Unico appunto, ma qua entra in scena proprio il modo di vivere lo stadio “schematico”, mi duole sempre notare la mancanza di spontaneità. Mi spiego meglio: in Italia spesso e volentieri torce e fumogeni sono accesi, sì, dai gruppi, ma anche da semplici tifosi disseminati in altre zone del settore. A riprova di quanto questo aspetto folkloristico sia radicato anche in chi non è propriamente ultras. A queste latitudini, invece, è solo ed esclusivamente circoscritto al tifo organizzato. Dettagli e sfumature, che comunque non cancellano la grande prova canora e visiva della Sektion 12. Tanta voce, mani e una bella sciarpata finale a suggellare una serata davvero magica, che viene premiata con lo 0-0 ottenuto al cospetto di una delle squadre più temute del Continente.

E sebbene di pirotecnica non se ne veda nella Südkurve (ma sappiamo tutti quanto sia sempre più complicato tra le mura amiche) posso soltanto dire che rispetto a tredici anni fa gli ultras del Bayern hanno letteralmente cambiato marcia. Allora era un blocco centrale a fare il tifo, difficilmente seguito dal resto del settore. Oggi è tutto il settore a seguire le direttive dei lanciacori e a dar vita a una performance davvero maiuscola. Coloratissimi – tra bandieroni e due sciarpate – i bavaresi si mettono in mostra con battimani davvero di pregevole fattura e un movimento praticamente perpetuo. Beh, io ho criticato tante volte alcune curve teutoniche, “accusandole” di essere più preparate davanti all’obiettivo che nella sostanza. Ma oggi davvero posso dir poco a questi ragazzi, autori di un gran bel tifo e visivamente in crescita costante. E devo dire che da loro non ho neanche avuto troppo quell’impressione di “automi” che spesso mi lasciano alcune tifoserie di queste latitudini. Chissà, forse in parte è legato alla loro lunga frequentazione di determinate realtà italiane (tutt’altro che robotiche o impostate, sic!).

Come detto in campo le due squadre impattano sullo 0-0, malgrado nel finale venga concesso un rigore ai padroni di casa, poi revocato dal Var. Non mi resta che godermi l’ultimo giro in un’Allianz Arena che va man mano svuotandosi. Fa freddo, davvero tanto, ma la voglia di godermi gli ultimi scampoli di questa bella serata è tanta. Rimiro nuovamente i murales e mi imbatto in quello che rappresenta il tabellone dello stadio Grünwalder in cui è impresso un risultato: 11-1. Avversario di turno il Borussia Dortmund. Si tratta dell’omaggio a una celebre vittoria della Stern des Südens (stella del sud) ottenuta il 27 novembre 1971. Un record che ovviamente è rimasto scolpito nella storia del club, ma anche un gioco del destino, che me lo ha mostrato proprio nella serata in cui la curva ha realizzato una coreografia che celebrava un’altra storica vittoria contro il Dortmund.

Il mio treno per Ginevra partirà alle tre di notte. Così dopo aver ripreso la metro in direzione centro, decido di passare un paio d’ore dentro l’unico McDonald’s aperto. Con me anche alcune decine di tifosi danesi, in attesa probabilmente dell’aereo o convoglio (sono 980 km) per tornare a casa. Il mio viaggio verso il cantone francese della Svizzera sarà contraddistinto da ben tre cambi di treno e dunque da un sonno a dir poco frastagliato. Ma questo è un qualcosa che avrò modo di dire nel prossimo racconto. Ritiro il mio bagaglio più grande dai sempre efficientissimi ed economici depositi della stazione, per poi posizionarmi sulla banchina e attendere il mio ICE, con prima destinazione Stoccarda. La giornata è stata lunga e ricca di spunti. Come sempre un modo per conoscere storie nuove e vedere luoghi che di tradizione e di aneddoti ne hanno una valanga, spesso permeati attraverso gli spalti o incastonati nel cemento armato delle mura perimetrali. Rimane la gran bella impressione destatami da due tifoserie che, nel loro piccolo, rappresentano l’evoluzione di un modo di essere ultras. Diversi da noi, è vero, ma non privi di un’anima, di un cuore e di un cervello. Tre elementi con cui difficilmente si fallisce.

Simone Meloni