Minuto 95. Brescianini calcia una punizione dal vertice dell’area di rigore, Meroni subentra in area deviando la traiettoria del pallone alle spalle di Andrenacci, ristabilendo il risultato di parità e regalando – di fatto – al Cosenza la salvezza proprio all’ultimo respiro. Un minuto più tardi il Brescia ricomincia il gioco da centrocampo e si getta in avanti alla ricerca disperata di un gol che varrebbe i tempi supplementari. Dalla Curva Nord cominciano a piovere in campo diverse torce, con l’arbitro che sospende la partita e, successivamente – non ritenendo più la stessa disputabile – decreta la fine con il triplice fischio. Dopo trentotto anni le Rondinelle retrocedono in Serie C.

Per raccontare la lunga serata del Rigamonti occorre giocoforza partire dall’ultimo frammento della stessa. Quando il manto verde viene dapprima occupato da qualche tifoso e poi sgomberato dalla polizia. Mentre nelle vie circostanti lo stadio si scatena una bagarre, un po’ per cercare il contatto con gli storici rivali, ma soprattutto con il fine ultimo di contestare il presidente Cellino, reo di aver trascinato la società nel baratro più profondo e vergognoso. Una figura, quella dell’ex numero uno del Cagliari, che da tempo immemore era in bilico ed invisa alla piazza e che in questo epilogo ha forse (si spera?) trovato la parola fine nella sua ormai ultra-trentennale storia all’interno del calcio italiano.

Troppo facile concentrarsi solo ed esclusivamente sui fatti visivamente più eclatanti. Troppo facile parlare di violenza, di inciviltà e di “follia ultrà”, come ama scrivere qualcuno. Alla fin fine è un atto d’amore. Sconsiderato? Forse. È un atto d’amore. Fuori luogo? Può darsi. Ma un atto d’amore nel momento più duro, nella delusione e nella disperazione di vedere i propri colori affondare in terza divisione. Questo è stato quello della Curva Nord. E se non avete tempo per leggere i sentimenti, se non si vogliono spostare le proprie critiche su un calcio malato, che ancora accetta determinate figure al proprio interno, e si preferisce cavalcare l’onda sensazionalistica dello sgomento ipocrita e borghese, fate pure. Ma senza voler giustificare nulla e nessuno, io mi limito a comprendere la reazione dei sentimenti. Quel voler dire: “Non la dovete neanche finire la partita, vergognosi e traditori della nostra ragione di vita”. Questo sport non sarà mai una semplice disciplina da seguire birra e popcorn in mano, stile NBA. Dietro di esso ci sono troppe ore di pullman, treno e transit. Troppe storie di vita. Troppe gioie e troppe amarezze.

E allora fa comodo. Fa comodo prendere a capro espiatorio i tifosi – che statene certi pagheranno ogni singola torcia caduta in campo e ogni singola intemperanza di questa serata – e tentare di utilizzarli per ampliare il clamore mediatico e sottacere gestioni folli e “padroni” che in realtà non riescono a gestire nemmeno il giardino di casa propria. Cellino il Brescia lo ha portato anche in Serie A, qualcuno potrò contestarmi. Ma a che prezzo? Da esterno dico che una Serie A con immediata retrocessione non vale la dignità e il calpestio della storia ultracentenaria di un club. Una Serie A, se è per questo, non giustifica neanche il restyling a dir poco pacchiano, antistorico e fuori luogo dello stemma sociale, volendo trovare il pelo nell’uovo. E allora io il gesto d’amore estremo, quello dell’innamorato tradito che urla la sua rabbia sotto il portone della propria amata lo capisco. Ne comprendo la sfumatura umana. E senza voler minimizzare: è meno dannosa qualche dozzina di torce in campo rispetto alla secchiata di sterco che talune figure riversano da decenni in società, progetti e Leghe!

Che poi, mi verrebbe da dire: se Atene piange Sparta non ride. Il rapporto tra tifosi e società, infatti, non è certo migliore su fronte cosentino. La contestazione nei confronti di Guarascio prosegue ormai da tempo e solo la salvezza di oggi ha posto una breve tregua, per festeggiare un traguardo comunque importante. Ma i rapporti conflittuali tra piazze e presidenti sono ormai una vera e propria costante che si espande a macchia d’olio e si amplia sempre di più su tutto il territorio nazionale. E se, a essere onesti, a volte si esagera da parte dei tifosi – andando a contestare figure che comunque garantiscono ai club una stabilità in categorie che storicamente gli sono appartenute -, credo anche che questo sia sintomatico di quanto grande sia la frattura tra chi governa il pallone e chi lo segue, rendendone ancora possibile l’esistenza.

Riavvolgendo il nastro va detto che questa serata era iniziata in maniera molto importante da un punto di vista prettamente curvaiolo. Con il Rigamonti quasi sold out e il settore ospiti riempito fino all’ultimo posto, le due tifoserie hanno dato sin da subito vita a un confronto divertente e intenso. Il valore della piazza bresciana non lo scopro certo io, ma fa sempre piacere approdare nella provincia italiana e tastare con mano la veracità e l’attaccamento verso la squadra cittadina. Dopo un breve giro tra il centro storico e il Castello, raggiungo lo stadio con la comodissima metropolitana. Un paio d’ore prima del fischio d’inizio una masnada di gente affolla le strade prospicienti l’impianto. Tutti regolarmente muniti di sciarpa e maglia del Brescia, per voler portare l’ultimo, decisivo, contributo a un club che si trova nel punto più difficile della sua storia recente. Ci sono tifosi di ogni età e genere. C’è una città che vuol salvare una delle proprie icone. Esattamente come se stesse difendendo Piazza della Loggia da qualche catastrofe.

Del vecchio Rigamonti è visivamente rimasto poco. Dietro le curve erette a bordo campo si intravedono i vecchi settori, che per noi nati a meta anni ’80 ancora rimandano la mente al Brescia di Raducioiu, Baggio e Pirlo. Nonché a quella trasferta rognosa, mai facile. Che sin dal mercato ortofrutticolo ad andar bene significava pietre e oggetti sugli autobus con le grate di ferro al posto dei finestrini. Di sicuro, però, avvicinare il settore degli ultras al campo ha portato giovamento in fatto di sostegno. La cosa risulta palese sin dalla fase di riscaldamento, quando la Nord tenta di spronare la squadra a suon di cori, mentre lentamente si capisce che il “tema” della serata saranno le bandiere biancazzurre. Ne cominciano ad apparire moltissime e al momento dell’ingresso delle due squadre la sbandierata produrrà un effetto molto retrò, di quelli che generalmente vediamo sulle foto anni ’70, oltre alle tante sciarpe tese che colorano le note di “Madonnina dai riccioli d’oro”, storico inno degli ultras lombardi. Molto attiva anche la Gradinata, dove come sempre trovano spazio i ragazzi dei Brescia 1911, che salutano le squadre con un telone su cui è raffigurato Bud Spencer con la frase “Combattere! Vincere! Altrimenti ci arrabbiamo” e sotto cui vengono accese diverse torce.

Nel settore ospiti invece i cosentini sfoggiano una coreografia fatta di bandierine rossoblù e ultimata dalla frase “Conquistala per noi”. Anche in questo caso semplice ma ben riuscita. Giudizio personale: il nuovo settore ospiti di Brescia non mi fa impazzire a causa della sua conformazione che dispone i tifosi per lungo anziché per largo. Tuttavia i circa mille supporter bruzi si mettono in mostra con una bella prova fatta di canti tenuti per lungo tempo, cori a rispondere, battimani e bandiere tenute sempre in alto. Classico repertorio cosentino ben impostato, che cala leggermente – ma anche comprensibilmente – quando il Brescia trova il provvisorio vantaggio nel secondo tempo e riprende in pompa magna negli ultimi minuti, con l’apoteosi al gol del pareggio. Da segnalare la presenza di genoani, veneziani e atalantini.

Il pubblico di casa sbraita, urla, si lamenta ma trova nei suoi due “spazi ultras” (Nord e Gradinata) l’anima instancabile del tifo. Una prova ineccepibile, condita dalla sempreverde e sempre affascinante pirotecnica, nonché dal colore apportato da bandiere e bandieroni. In Nord da segnalare la presenza dei milanisti, mentre di tanto in tanto si alzano cori in favore dei gemellati catanzaresi, per stuzzicare i dirimpettai rossoblù. L’esultanza alla rete di Bisoli è notevole, migliaia di ragazzi e ragazze ammassate gli uni sopra le altre, con torce e fumogeni che celebrano quello che molti credono essere l’inizio del riscatto. Anche perché i biancazzurri premono sull’acceleratore e sembrano poter far male agli avversari, spinti ancor più da una tifoserie che adesso cerca di essere ancor più il dodicesimo. Ma la storia, ormai archiviata, ci dice che le cose andranno diversamente. E sarà un boccone troppo amaro da mandar giù. Mentre nello spicchio aperto ai calabresi ovviamente le scene di giubilo si sprecano. Durante l’interruzione si apre anche uno striscione che ironizza sul gemellaggio tra i bresciani e i rivali di sempre.

Quando arriva il triplice fischio, gran parte del pubblico ha ormai abbandonato gli spalti. I cosentini, giustamente, fanno festa. Mentre tra i tifosi di casa si consuma il dramma sportivo, nella maniera più spietata. Come solo il calcio sa fare. La delusione è grande, immensa. Ma, che nessuno me ne voglia, io al Brescia non auguro di esser ripescato, perché ciò vorrebbe dire continuare con Cellino e con il suo modo di fare calcio, nonché protrarre per un altro anno tutte le magagne di questa stagione. Talvolta è meglio cadere, raschiare il fondo e ripartire da zero. Magari anche in maniera umiliante, ma sicuramente più nitida e lungimirante.

Sul Cosenza cosa dire? Parliamo di una società che dal suo ritorno in B non è mai riuscita ad andare oltre la zona playout. Una piazza che sicuramente meriterebbe almeno un anno di alta classifica, anche solo per vederle disputare i playoff e far tornare la propria gente a sognare traguardi che vadano oltre una semplice salvezza. L’anno prossimo, dopo trentatré, Cosenza, Reggina e Catanzaro torneranno a disputare contemporaneamente un campionato cadetto. Uno spot per la Calabria, nonché un modo di assistere a confronti importanti e sentiti sugli spalti (Osservatorio permettendo). I tifosi lo sanno e sicuramente provano stimoli e pathos per ciò.

Ultima nota di giornata: in seguito alle turbolenze registrate i supporter rossoblù verranno fatti uscire dallo stadio a notte fondo. L’orologio segna infatti l’1:30 quando le porte del settore ospiti si aprono e gli autobus contenenti i tifosi escono alla volta del Mercato Ortofrutticolo. Ultima appendice di una serata lunga, piena di significati e ricca di spunti. Una di quelle sere in cui la morale da quattro soldi di alcuni scribacchini non dovrebbe essere consentita, ad appannaggio di riflessioni più profonde e conoscenza del fenomeno sociale che attornia da oltre cent’anni il calcio. Tutto il resto sono chiacchiere da bar. Che come sempre finiranno sui giornali mainstream distraendo dal resto, dal nocciolo delle problematiche che affliggono il calcio.

Simone Meloni