Cantù. Una città di quarantamila abitanti. Una squadra capace, negli anni, di tenere testa alle maggiori metropoli italiane ed europee. Sul rapporto fra la vecchia “regina d’Europa” e la sua gente si potrebbero riempire mari di inchiostro.
Col tempo, la formazione canturina ha saputo allargare il proprio bacino d’utenza polarizzando le simpatie di larga parte della Brianza: basti pensare che, oltre all’alta Brianza e al Lario, la passione per le tinte biancoblù ha contagiato finanche quella fetta di Brianza monzese che, pur di non strizzare l’occhio a Milano, ha preferito rivolgere le proprie simpatie cestistiche a Cantù, mandando giù a malincuore il rapporto più che amichevole fra comaschi, rivali di sempre, e canturini.

Cantù e la sua gente, dicevo. Costretta da quattro anni ad un esilio forzato in quel di Desio, in attesa di una dimora definitiva; da anni, a riguardo, si susseguono progetti, ipotesi, documenti. Solite storie all’italiana. Naufragata, a cantiere in corso, la costruzione di ben due palazzetti (prima il “Palababele” – così fu eloquentemente soprannominato -, poi il “Palaturra”), di recente sembrava essere tornata in auge l’ipotesi di ristrutturare il caro e vecchio Pianella di Cucciago. A lavori in corso, l’ennesimo cambio di programma: col disimpegno del magnate ucraino Gerasimenko, fino all’anno scorso presidente della squadra, pare aver ripreso piede il progetto di mandare in pensione il Pianella e di costruire un palasport in città. Nel mentre, anche per questa stagione i biancoblù saranno ospiti in quella cattedrale nel deserto che è il PalaBanco di Desio.

Ugualmente travagliate, per i tifosi canturini, sono state le vicende societarie. Dopo aver sfiorato il baratro grazie al già citato presidente ucraino, a febbraio di quest’anno la società di azionariato popolare Tutti Insieme Cantù S.r.l. si è aggiudicata, caso unico in Italia, il 100% delle quote. Nel novero degli attuali trecento soci della società, attiva invero già dal 2014, vi sono parecchi personaggi di spicco dell’imprenditoria locale. Insomma, una volta tanto si è arrivati ad un lieto fine.

L’augurio è che la vicenda faccia da esempio, in un periodo in cui la sparizione di marchi storici, specie nel mondo del calcio e del basket, è affare quotidiano.

Per quest’anno l’obiettivo dichiarato è la salvezza, pertanto onesto bottino sono i sei punti racimolati in sette partite; oggi, a far visita ai locali, la neopromossa Virtus Roma, altro caposaldo del basket italiano.
Discreta, al mio arrivo nei pressi del palasport, è la folla di sciarpe e cappelli biancoblù d’ordinanza che, assiepata davanti agli ingressi, rompe la monotonia cromatica di una domenica invero grigia e fredda.

Guadagno in tranquillità l’ingresso e attendo l’inizio delle ostilità vagabondando per i gradoni del palazzetto – struttura a dir poco dispersiva, con 8.500 posti divisi su due anelli e un parterre.
Con il passare dei minuti, l’ingresso delle squadre sul parquet, i tamburi che iniziano a rullare, lentamente si sgretola il bagaglio di pregiudizi che da buon calciofilo (sic!) mi portavo dietro nei riguardi della palla a spicchi. Ho sempre mal digerito la tendenza della nostra pallacanestro a scimmiottare il modello NBA, con annesse pagliacciate da festival hip-hop. Bene, mi si lasci dire che il calcio, in quanto a spettacolarizzazione dell’ambiente stadio con speakers, dj, luci e affini, ha raggiunto livelli di feticismo da cui quantomeno un Cantù-Virtus Roma, quale quello di oggi, è distante anni luce. Si aggiunga a ciò la piacevole scoperta dell’assenza di biglietti nominativi ed ecco la discreta invidia che il sottoscritto inizia a nutrire per questo sport.

Venendo al tifo, i locali, che in mattinata si sono ritrovati per omaggiare chi segue dal cielo le sorti dei biancoblù, si compattano dietro lo striscione giusto in concomitanza con l’inno nazionale.

Difficile non provare un certo fremito nel gettare un occhio alla balaustra. Insomma, volente o nolente gli Eagles Cantù sono una vera e propria pietra miliare del movimento ultras. Pochi loghi sono entrati nell’immaginario collettivo, perlomeno a queste latitudini, come la loro aquila.

Nonostante un inizio di campionato che, seppur in linea con gli obiettivi, non si può certo definire esaltante, il loro sostegno si dimostra più che buono nel corso della gara.
All’esposizione di uno striscione per omaggiare i vigili del fuoco, fa seguito un tifo che si distingue in positivo per cori lunghi e ritmati; ridotti all’osso, invece, i cori a ripetere. Nei momenti di stanca, la scena è rubata in modo forse eccessivo dai due tamburi che vanno a coprire pressoché totalmente il sostegno vocale. Per il resto, grazie a due bandieroni e ad un due aste, il tifo è convincente anche sotto l’aspetto coreografico.

Dalla capitale si presentano in una quindicina: assisteranno in silenzio alla gara, fatta eccezione per un “alè alè Cantù”, alzatosi allorché i dirimpettai esporranno uno striscione per onorare il rapporto di amicizia fra le due tifoserie e per esprimere solidarietà ai ragazzi di Roma, evidentemente in una fase burrascosa in termini di diffide.
Nell’ultimo quarto di gara, il palazzetto si sveglia dal torpore che, curva esclusa, lo aveva avvolto per larghi tratti dell’incontro: i ragazzi sul parquet stanno sfiorando un’improbabile rimonta, la tensione aumenta palpabilmente e gli Eagles invitano senza mezzi termini il resto degli spettatori ad alzarsi e a tirar fuori la voce. L’effetto è travolgente. Gli ultimi cinque minuti di gara vedono buona parte dei 4.000 del palasport in piedi a cantare, l’ambiente cambia radicalmente fisionomia, i decibel salgono a dismisura.

A pochi secondi dal termine, dopo aver raggiunto il pari con un tiro libero, Cantù si fa nuovamente superare in contropiede: nonostante la bolgia in stile palazzetto greco degli ultimi istanti, il suono della sirena decreta come verdetto un 74-76 per gli ospiti.
Rabbia per una partita che si poteva portare a casa, applausi per i ragazzi in campo che non hanno lesinato sforzi.

Sul piano ultras, interessanti saranno i prossimi incontri in calendario: dopo Pistoia, i Canturini fronteggeranno in sequenza Fortitudo e Virtus Bologna, prima del derby di domenica otto con Varese.
Prima di abbandonarmi alle morse del gelo, mi concedo un ultimo giro per il palazzetto, da cui esco con una buona manciata di pregiudizi in meno nei riguardi di un ambiente che, per quanto visto oggi, rimane incommensurabilmente più vivibile rispetto ad un qualsiasi stadio di calcio dalla serie C a salire.

Ivan Pezzuto