Cosa volete che vi dica? A me i reggini visti oggi al Manuzzi sono piaciuti. E non poco.
Certo, sembrano lontani i bei tempi della serie A e delle trasferte oceaniche al seguito degli amaranto, quando centinaia di sostenitori provenienti da Reggio Calabria si univano alle altre migliaia di reggini sparsi per tutto il Centro-Nord Italia per riempire in ogni ordine di posti i settori ospiti dei principali stadi della massima categoria, specie quando c’era da andare a giocare sui campi più blasonati, quelli delle cosiddette “grandi” (conosciute anche come “le strisciate”).
E proprio per questo, vedendo il settore ospiti di quest’oggi, popolato solo da una decina circa di sostenitori ospiti, verrebbe da chiedersi che fine hanno fatto tutti i sedicenti grandi tifosi, quelli che si dicevano pronti a tutto per la loro squadra, fin tanto che questa era nel paradiso del calcio italiano. Ci tengo a precisarlo, la mia non vuole essere una critica nei confronti dei supporters reggini, ci mancherebbe, bensì è rivolta a tutta la categoria dei “tifosi del buon tempo” italiani di cui erano pieni in passato i nostri stadi, da Nord a Sud, fatte salve poche eccezioni.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che oggigiorno c’è la Tessera del Tifoso, che ha frenato gli entusiasmi, oltre che la libertà di movimento dei tifosi di calcio, unitamente alla pay-tv, strumento mediatico amato-odiato che consente a chiunque e ovunque si trovi, di vedere la propria squadra del cuore giocare in diretta. “Vedere”, appunto. Soltanto “vedere”. Che è ben diverso da “seguire” e “sostenere”. La differenza più grande e sostanziale rispetto al passato, anche quello più recente.
Ma non è soltanto questo. E chi frequenta attivamente da anni le curve degli stadi italiani, lo sa molto bene. Si tratta piuttosto di un malcostume tipico dei nostri cosiddetti “appassionati” di calcio. Quel fare a gara per salire sul carro dei vincitori quando le cose vanno bene ed il bel gioco, assieme alle vittorie, abbonda. Affannarsi a proclamarsi grandi tifosi della maglia, piuttosto che di questo o quel calciatore, salvo poi abbandonare in un batter d’occhio la nave quando questa sta affondando (leggasi fallimenti sportivi o, peggio, economici) e poi avere la faccia tosta di chiederti con aria stupita, quando ti incontrano per strada (tu, naturalmente, con la tua sciarpa al collo e loro no!), come fai ad andare ancora allo stadio.
Ed è proprio per questo che, oggi, quel manipolo di ragazzi arrivato in Romagna dopo un lungo viaggio mi è piaciuto. Perché loro c’erano, al di là delle mode, dei successi e della categoria in cui milita oggi la loro squadra del cuore. Si sono compattati, hanno fatto quadrato ed hanno cominciato a tifare, a modo loro, a squarciagola e con le braccia levate verso il cielo, con pochi momenti di pausa, malgrado la consapevolezza che nessuno avrebbe mai sentito i loro cori a causa della solita bolgia di sottofondo proveniente dalla Curva Mare.
Eppure, malgrado tutto, non hanno quasi mai smesso.
Ecco perché, i reggini visti oggi al Manuzzi, mi sono piaciuti. E non poco.
Dalla parte opposta del campo, come ho già accennato, la solita Curva Mare che ha tifato costantemente su buoni livelli per tutto l’arco della partita, ancora una volta la cornice migliore che ci si possa aspettare di vedere a contorno di una partita del campionato di serie B. Per certi versi un lusso in questa categoria, visti i tempi che corrono.
Ma del resto si sa, l’A.C. Cesena è la squadra di calcio più rappresentativa della Romagna, e la Romagna ama la sua squadra di calcio. Nel bene e nel male.
Testo e foto di Giangiuseppe Gassi.