Sulla mia storia sportiva potrei scrivere un romanzo, se ne fossi capace.
Giocatore, allenatore, dirigente, tifoso, ultras.
Calcio, basket e, appunto, hockey.
C’è un posto preciso dove però mi sono sempre sentito a casa e quel posto è l’oratorio del mio paese, dove gioca la squadra nella quale sono cresciuto e che, più di tutte, sento mia. E credo sia necessario parlarvene.
Badate bene, credo anche che non esista squadra più comune di questa.
Unione Sportiva Pierino Ghezzi.
Campaccio ai limiti della regolarità, tribune in legno marcio, spogliatoi che non avrebbe senso ripulire perché ricoperti da scorie di sessant’anni di calcio mal giocato e di fango o polvere, senza alternativa.
Tutte cose che chi ha masticato un po’ di calcio di provincia conosce e che, passando per caso di lì, bollerebbe come già viste.
Ecco, chi invece ha avuto la fortuna, oltre che di passarci, anche di poterci rimanere un po’ più del dovuto può capire quello di cui sto parlando.
La Pierino Ghezzi è un piccolo mondo a sé, fatto di regole, abitudini, sogni, litigi, ma sopratutto di estremo attaccamento.
Una famiglia.
E credo sia per questo che nei suoi sessant’anni di storia ai margini del calcio non si sia mai fatta travolgere e sia sempre rimasta la stessa.
E ancora fatichi a staccarsi di dosso da chi l’ha conosciuta, anche solo per un attimo.
L’Hockey a Milano per storia, blasone, attaccamento, non ha eguali in Italia.
E mi scuso se sono partito da così in basso per parlare di qualcosa di così grande.
Ma a Milano l’hockey è questo.
Regole, abitudini, sogni, litigi. Estremo attaccamento.
Una famiglia.
Passata la grande sbornia degli anni ’90 e persa la possibilità di far diventare l’hockey sport nazionale, ciò che è rimasto è uno sport di nicchia con tutto ciò che ne comporta, che nel caso di Milano vuol dire lottare ogni anni contro il rischio di scomparire e contro l’immobilismo delle istituzioni.
Ne è conferma questa stagione che ha visto l’auto retrocessione in Serie B ed il totale ridimensionamento delle ambizioni rossoblu.
Ma se c’è una cosa che negli anni non è cambiata, dal Piranesi, passando per il Forum e arrivando in Via dei Ciclamini, è ciò che significa la Saima per chi la tifa.
E per me, soffocato e sfiancato dagli isterismi pallonari.
L’hockey a Milano somiglia ad una realtà di provincia ed ai miei occhi appare lontana dalle altre espressioni sportive meneghine. Più viscerale, più vera. Forse semplicemente perché riservata a pochi. Ma senza mai cadere nello snobismo.
Milano-Appiano è stata l’ennesima conferma.
Oltre 1700 spettatori con una percentuale incredibile di bambini. Sessanta minuti di tifo incessante e di divertimento.
Una CdM in gran spolvero nonostante gli aspri confronti tifoseria/società di inizio stagione e le legittime ambizioni della piazza tradite dopo un’annata ad alti livelli.
Milano vince facile e un po’ a sorpresa contro un Appiano distratto. La squadra si gode gli applausi di tutto il palazzo nel giro di campo, che qui è consuetudine anche in caso di sconfitta.
La festa in curva continua oltre la sirena ma l’impressione è che il risultato sia solo un contorno.
È sempre bello stare in famiglia, comunque vada.

Gianluca Pirovano.