Le montagne coperte da una fitta boscaglia che sembra gettarsi a capofitto nel blu, denso ed immobile, del lago, appena dietro il cemento nudo dei gradoni, sormontati da un cielo plumbeo e fisso; ecco lo scenario desolatamente statico che, per tutti i primi 45’ minuti di gioco, avrò di fronte ogni qualvolta volgerò lo sguardo verso il settore ospiti riservato ai Lecchesi.
Como – Lecco di oggi si può infatti definire uno più dei compiuti capolavori da parte di chi dovrebbe gestire la sicurezza nei nostri stadi. Il tutto è iniziato quando, a fronte di una cospicua richiesta di tagliandi da parte dei Lecchesi, il questore locale ha dato il via libera alla vendita di 300 soli biglietti, causando evidenti malumori in seno a un tifo organizzato, quello bluceleste, che di piegarsi al cospetto di simile cervellotiche decisioni – tenendo soprattutto a mente che ai Mantovani, in febbraio, erano stati concessi 800 biglietti – non ne ha voluto sapere, optando per raggiungere la città lariana anche senza tagliando.
Per l’occasione, la curva ha scelto di muoversi in treno; al momento del cambio a Monza, i vagoni diretti a Como registrano un notevole ritardo. Verrebbe a tal proposito da riflettere riguardo quella che sembra ormai una prassi consolidata nei confronti di chi opta per organizzare trasferte in treno, visto che, pur volendo restare in buona fede, non è la prima volta che in nome di fantomatiche misure preventive, le tifoserie ospiti vengono bloccate oltre il dovuto in stazione, finendo con l’entrare, nella migliore delle ipotesi, a partita in corso.
In ogni caso, all’arrivo in quel di Como dei Lecchesi, scesi dal treno a pochi istanti dal fischio d’inizio, gli unici disordini si verificano, come prevedibile, a causa delle cervellotiche scelte di cui sopra: gli ultras ospiti, con e senza biglietto, stazionano davanti all’ingresso del settore loro riservato, chiedendo espressamente la vendita in loco di ulteriori tagliandi; a seguito dei primi dinieghi, si verificano malintesi e scaramucce con le Forze dell’Ordine, le quali frattanto pensano bene di paralizzare il traffico di una vasta area attorno allo stadio, causando enormi disagi. Quest’estenuante tira e molla andrà avanti sino alla fine del primo tempo, allorché prevarrà il buon senso e verranno concessi ulteriori biglietti per l’ottantina di tifosi che ne erano sprovvisti.
È proprio con l’ingresso sugli spalti del Sinigaglia degli ultras ospiti che penso di potere iniziare il racconto di un derby affascinante come quello del Lario, il quale alla stregua di molte rivalità dell’Italia pallonara, affonda le sue radici, ancor più che sui corsi e ricorsi del manto verde, su acredini storiche che l’incedere degli anni non è riuscito a sopire: riavvolgendo il filo della storia, spicca di sicuro l’assedio del 1125 portato alla città di Como dalle forze congiunte di Milano e Lecco, o altresì le continue vicissitudini per il predominio politico da un lato, e per il desiderio di assoluta indipendenza dall’altro; ultimi capitoli sono stati la scissione, nel 1992, della provincia di Como, che ha portato alla nascita della provincia di Lecco, e la crescente volontà da parte della città manzoniana di emergere nel settore del turismo, facendo spalla a spalla con una meta turistica affermata quale Como. In virtù di quanto detto, non bisogna dunque stupirsi che in tempi di magra come gli attuali, per una partita dallo scarso valore sportivo giocata alle 16.00 di un mercoledì feriale, gli spalti vedano la presenza di duemila e passa spettatori.
L’ambiente del Sinigaglia, per tutta la prima parte di gara testimone di un discreto tifo da parte dei Comaschi, i quali si fanno notare per una sciarpata all’ingresso in campo e per un’incursione nei distinti al fine di raggiungere i pochi tifosi già entrati nel settore ospiti, subisce una decisa scossa con l’ingresso dei Lecchesi; buona parte di essi, all’uno-due ravvicinato della propria squadra a dieci minuti dall’intervallo, in attesa che entri l’intero contingente esulta lanciando sugli spalti un paio di torce. L’ambiente si riscalda con rapidità; sia in curva che in tribuna – dove, inoltre, prende posto un altro centinaio di sostenitori lecchesi – iniziano ad aumentare vertiginosamente i decibel e, fra il rimbombare sordo di alcuni petardi, le due fazioni non se le mandano certo a dire; insomma, con quasi quarantacinque minuti di ritardo inizio anch’io a respirare a pieni polmoni quell’atmosfera tesa ed agguerrita che ha reso il calcio nostrano, con i suoi innumerevoli campanilismi, uno fra i più invidiati al mondo, e che, per la dilagante psicosi sicurezza, rischia irreversibilmente di scomparire, col tacito benestare ahimè non soltanto di dirigenti e politicanti, ma ormai anche di una buona fetta di sedicenti tifosi, inglobati dalle logiche che regolano il business calcistico; vuota retorica, concetti ormai scontati e stucchevoli, è vero, eppure una costante e caparbia denuncia è fra le poche armi a nostra disposizione.
Tornando alla gara odierna, ad inizio ripresa c’è spazio per un vasto ed originale campionario di sfottò: la curva di casa srotola un copricurva dal significato poco equivocabile, mentre in tribuna i Pesi Massimi ribadiscono a suon di striscioni la poca rilevanza degli ospiti di fronte alla città di Como; i blucelesti, dal canto loro, non tardano a rispondere: ad una piccola coreografia a base di bandierine coi colori sociali, fa seguito l’esposizione di un simpatico striscione di sfottò.
Il ritmo della gara è incalzante: dopo lo 0-3 di matrice lecchese che manda in visibilio gli ospiti, c’è spazio per due reti che, oltre a rimettere in gioco il Como riducendo ad una marcatura lo svantaggio, contribuiscono a far spiccare definitivamente il volo alla curva di casa, la quale anche sotto di tre reti era riuscita a tenere discretamente botta all’entusiasmo ospite. È a questo punto che si verifica forse il primo calo da parte dei quattrocento lecchesi, i quali fino ad ora avevano proposto un tifo da cineteca.
Dopo un rigore clamorosamente fallito da parte dei biancazzurri, che riaccende l’entusiasmo fra gli ospiti, curva e tribuna si lasciano andare in un immenso urlo liberatorio allorché il Como raggiunge al novantesimo un insperato pareggio, non sufficiente ad approdare alle fasi finali della Poule Scudetto ma, fuor di dubbio, galvanizzante per l’intero ambiente in vista della ventura serie C.
Al fischio finale dell’arbitro dunque, un’atmosfera pregna del tiepido ed acre respiro esalato dal lago accompagna la festa sia dei Lecchesi, che fronteggeranno ora una fra Cesena, Avellino o Pergolettese, sia dei Lariani, per i quali il punto odierno raccolto in extremis è un’ottima occasione per salutare la propria compagine, autrice di un campionato degno di lode.
È con la partenza dei Lecchesi sul convoglio loro destinato, senza il verificarsi di ulteriori disordini, che si chiude anche un derby vissuto a metà, il quale ha visto prevalere, per una buona volta, la caparbietà dei tifosi e la loro passione sulle solite malaccorte decisioni prese dai noti benpensanti.
Testo di Ivan Pezzuto.
Foto di Federico Roccio.