“Contro il calcio moderno” è l’ultima fatica letteraria di Pierluigi Spagnolo, già autore del fortunatissimo “I ribelli degli stadi – Una storia del movimento ultras italiano”. Pubblicato nel 2019, sempre per i tipi della “Odoya” ne costituisce una sorta di prosecuzione ideale che – nomen omen – focalizza interamente la sua attenzione sul calcio moderno, sulla sua nascita, la sua evoluzione e soprattutto sulle ricadute che esso ha comportato per il tifoso. Di quello allo stadio principalmente, ma anche della sua mutazione di spettatore e consumatore, che non di meno viene di volta in volta penalizzato dalle scelte strategiche del marketing calcistico.
Prezzo di copertina 14 €, bella prefazione di Oskar degli Statuto, il libro si compone di 190 pagine ed è stato indicizzato con il codice ISBN 978-88-6288-645-1, che potete comunicare al vostro libraio di fiducia qualora non l’avesse disponibile e voleste ordinarlo.
Ancora una volta “Odoya” si distingue per la freschezza della propria impaginazione, per le scelte grafiche moderne, la presenza importante di immagini o tabelle ed una scelta di caratteri tipografici che rendono questo libro, al pari del suo predecessore, molto più vicino ad una rivista per impostazione. Stile ammiccante per i più giovani o per lettori meno forti se vogliamo, ma in genere è sempre piacevole alleggerire visivamente la lettura, e questo vale per chiunque.
“Contro il calcio moderno” non ha un taglio accademico ma discorsivo. Dal punto di vista della scrittura, Pierluigi Spagnolo dimostra uno stile asciutto ma comunicativamente efficace. Riesce ad arrivare al lettore e a coinvolgerlo costantemente. Con un buon ritmo narrativo e una saggia dose degli argomenti. Senza eccedere in tecnicismi, ma senza per questo risultare inconcludente nelle sue comunque circostanziate osservazioni.
Come per il precedente libro di Spagnolo, il mio augurio è che possa esondare dai meri confini del mondo del tifo e far comprendere all’esterno che tante di quelle istanze, sintetizzate in curva con slogan in rima baciata spesso effimeri, nascondono però problematiche reali ed anche piuttosto serie. A detrimento non solo di chi va allo stadio ma del calcio tutto: basta vedere l’involuzione del campionato italiano e la sua totale incapacità di imporsi a livello europeo per rendersene conto.
E come per il precedente libro, andrà poi a finire che saranno tantissimi anche gli ultras a leggerlo e trovarvi elementi di novità. Nonostante dovrebbero essere tematiche acclarate per tutti, parte del collettivo sapere necessario per farsi massa critica e smettere i panni del gregge facilmente orientabile. Il problema di quegli slogan in rima di cui sopra, è tutto qua: il messaggio embrionale si trasmette facilmente, ma poi la piena coscienza è sempre ben lungi dall’essere raggiunta.
La si potrebbe chiamare non a torto “retorica”, una retorica carica di enfasi attorno a temi in fondo anche importanti, ma che vengono banalizzati da un impotente parlarsi addosso, che non riesce mai a concretizzarsi in azione od opposizione efficace. Il mio problema, da “osservatore” del mondo ultras di lungo corso, è nella sovraesposizione a certi argomenti, cosa che comporta poi il rischio di liquidare frettolosamente anche ciò che non lo meriterebbe.
Devo essere onesto, per queste stesse ragioni, ho fatto fatica ad iniziare questo libro e trovare la forza di andare oltre quelle parti che per me suonavano già note. Credo però che alla fine ne sia valsa la pena, perché comunque l’autore ha saputo fornirmi spunti di riflessione importanti su alcuni aspetti ancora ampiamente esplorati, come la “gentrificazione” degli stadi, il turismo calcistico e il fenomeno di quelli che definisce flâneur o, infine, il tentativo di “normalizzare” il tifo, sterilizzarlo se vogliamo. Bonificato da tutti gli eccessi politicamente scorretti, dagli antagonismi al potere, infine utile come cornice coreografica e rumore di fondo dello spettacolo principale. Un pericolo questo, su cui forse i tifosi delle Curve non avranno nemmeno il tempo di pensare che sarà già attuale e attuato.
Nel perdurante paragone con il predecessore, ha il limite di essere un po’ più monotematico: il calcio moderno in fondo non ha tutte le declinazioni e le sfaccettature che ha il mondo ultras estensivamente detto, per cui in certi frangenti sembra un po’ ridondante. Però considerando organicamente le due opere, si può dire senza ombra di dubbio che l’assortimento alla fine è perfetto.
Matteo Falcone