Nel settembre 2015 iniziammo la stagione sportiva nell’impianto di San Donnino, estrema periferia nord di Firenze, schiacciata fra le Piagge, la piana e le prime case di Campi Bisenzio. Un quartiere lontano, nato attorno alla ciminiera di un vecchio inceneritore, dove il nostro progetto di calcio testimoniava aggregazione, protagonismo e solidarietà, accanto ai Comitati di chi quel territorio lo abitava o ci lavorava. Era una sfida ardua, contraddittoria, ma stimolante e necessaria. Di quelle che piacciono a noi.

L’esperienza è durata solo un anno, ma è stata una stagione di svolta: pur in mezzo alle difficoltà, ci ha permesso di capire che un progetto sportivo non può che essere un progetto di radicamento sul territorio.
Prima di arrivare lo sapevamo solo in teoria, poi siamo stati costretti a impararlo con la pratica: per fare “calcio” è stato necessario costruire e imparare a gestire una cucina, aiutare le scuole locali a raccogliere i fondi per le lavagne elettroniche, intervenire sugli sfratti. Esserci tutti i giorni.

Ad altri, invece, piace fare due volte l’anno parate in fila per tre, urlare che il problema dei quartieri sono gli immigrati e non un ambulatorio che chiude, i mezzi pubblici che non ci sono, un giardino abbandonato e perché no, la mancanza di un impianto sportivo, di un luogo di ritrovo per tutte e tutti (bianchi, gialli, neri, a pallini..), una scuola calcio per bambini e bambine.

Per volere bene a un quartiere, a un territorio, a una città, per volerla cambiare in meglio e renderla un po’ più all’altezza dei nostri bisogni; per combattere l’abbandono che crea il degrado, la solitudine che crea paura e insicurezza, il pregiudizio che crea la diffidenza; per mettere un freno alla speculazione che mette a profitto le nostre vite, ma anche le nostre case, i nostri spazi verdi, sino alle area adibite allo sport, ciascuno di noi può fare qualcosa, può dare qualcosa, può mettersi di traverso, può inventarsi un modo differente per fare comunità e respingere una prepotenza, un abuso, un imposizione.

Lo striscione nella foto racconta di questa storia. Pochi mesi prima che iniziasse la nostra avventura a San Donnino, dieci persone sono state condannate per essersi messi di mezzo a una parata di neofascisti. Il corteo doveva passare a poche centinaia di metri dall’impianto sportivo, nel quartiere popolare delle Piagge. Che tra i condannati ci siano alcuni di noi, giocatori, giocatrici, curvaioli, curvaiole, soci e socie del CS Lebowski non deve stupire.
Deve parlarci di orgoglio. Deve farci stare al fianco di chi oggi paga un prezzo per il coraggio delle sue scelte. Deve invogliarci a fare ancora di più, ancora meglio, perché ci dimostra di quanta strada ci sia da fare per cambiare questo mondo sempre più ingiusto.