Diverse camionette fuori dal Palageorge, tanti agenti schierati, prefiltraggi con documenti alla mano: se si vuole far assomigliare il basket al calcio, beh, allora qualcuno ci sta riuscendo benissimo. Ma nessuno osi lamentarsi se, prima o poi, la gente si disinnamorerà anche della palla a spicchi dopo essere letteralmente scappata dagli stadi.
Non si può giustificare un maremagnum di provvedimenti restrittivi e privarsi del gusto di godere di ogni bella cosa della vita, così come non può diventare motivo di un provvedimento restrittivo qualsiasi stronzata passi per la mente di chi decide le regole dell’ordine pubblico.
Ho affrontato questa gara 2 tra Brescia e Fortitudo con uno spirito molto negativo.
Dopo la corposa presenza di fortitudini in gara 1, invece di dire “OK ragazzi, è andato tutto bene, troviamo uno spiraglio per aprire agli ospiti in gara 2”, il patron della Leonessa Brescia e la presidentessa Bragaglio hanno tuonato contro presunti Bresciani traditori che hanno ceduto i tagliandi ai Bolognesi e contro le ordinanze non rispettate. C’è anche stato chi, come il Direttore Generale Christian Pavani, ha elogiato la tifoseria delle aquile, cercando di riportare il dibattito su binari più realistici e consoni.
Nessuno, tristemente, ha dato risalto alle centinaia di dispositivi mobili che immortalavano il tifo ospite in gara 1 o allo striscione “Trasferte libere” esposto dai Bresciani. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, ma resta l’amarezza di un momento di festa diventato un vespaio di polemiche, inserito nel più ampio quadro di una caccia alle streghe.
Congiunture malevoli e assiomi avvelenati smorzano la passione. Creano stanchezza.
Ogni tanto mi fermo, ripenso al perché sono ancora innamorato del mondo ultras e mi chiedo oggi che senso abbia tutto questo.
Mi chiedo chi e perché deve rischiare di rovinarsi la vita solo perché ha una passione sincera dentro; perché chi, almeno in un angolo remoto delle sue tasche, prova ancora ad essere difforme dal pensiero inscatolato comune, deve essere emarginato neanche avesse la lebbra; che senso ha percorrere chilometri anche in condizioni di maltempo, litigare a casa, spendere tempo e denaro senza voglia di nuocere a nessuno, se poi c’è chi dall’altra parte ha già pronta una sentenza di morte preparata a tavolino.
Troppo c’è da chiedersi, ma le risposte, per quanto lampanti, si perdono in una caduta libera senza fine.
Cosa resta da dire di questa gara 2? Di sicuro la cronaca spicciola del fatto sportivo e di quanto succede sugli spalti.
Brescia vince col punteggio sin troppo ingeneroso di 76 a 58 e si porta sul 2-0 nella serie. Ormai la serie A è veramente a un passo. Poco importa se la Fortitudo ha tenuto botta per almeno tre quarti; almeno in questa partita, la superiorità bresciana sul parquet è apparsa assai evidente.
Il pubblico della Leonessa ha risposto anche stavolta col tutto esaurito. Un bel vedere la macchia blu che tifa e alza le mani al cielo in quattro settori su quattro. Gli Irriducibili, per quanto distanti ideologicamente dal mio modo di vedere il tifo, hanno offerto veramente un sostegno da sesto uomo. Da segnalare anche la coreografia iniziale con un paio di bandieroni calati in curva e due striscioni a corredo.
Forse sulla presenza Fortitudina vale la pena soffermarsi un po’ di più: gli oltre 50 sostenitori arrivano da tutte le regioni possibili tranne dall’Emilia Romagna (mi sono stati segnalati ragazzi lombardi, veneti e marchigiani). Ce l’hanno messa veramente tutta per essere fedeli all’ideale della Fossa: tifo in piedi (benché qualcuno li voleva seduti a tutti i costi), intero settore trascinato, insomma, la Fortitudo non è mai stata sola durante la serie giocata a Montichiari. Lo “spirito Fortitudo” è riuscito a sopravvivere anche a restrizioni e clima mediatico ostile.
Provo a uscire un po’ prima a risultato acquisito. Diluvia, sono a maniche corte e senza ombrello. La macchina è distante. Cammino a piedi, inzuppandomi da capo a piedi e presto mi fa compagnia un tifoso della Fortitudo di Fano. Chiacchieriamo nonostante il diluvio e, quasi indifferenti all’acqua, ci scambiamo impressioni. Sotto una pioggia torrenziale, ci apprestiamo a fare rispettivamente 150 e 400 Km. Arrivo in macchina costretto a mettermi a petto nudo per asciugarmi e poi indossare una più comoda e calda felpa, consumando la distanza con l’asfalto bagnato e tutt’altro che drenante.
Torno a pensare a quant’è difficile per un inviato di Sport People, che potrei anche non essere io, portare avanti la sua passione, le sue convinzioni e le sue battaglie. Beccarsi a volte pareri negativi, se non insulti o peggio, da chi cerchi di difendere; essere messo all’indice come fossi la Di.gos. in persona; dover sempre rendere conto di ciò che fai mentre, dalla parte opposta, nessuno si rende conto che dietro quella macchina fotografica c’è qualcuno che la curva l’ha già vissuta prima e in contesti assai più belli. Eppure poi ti trovi, chissà come, ad affrontare condizioni né più né meno dissimili di chi in curva ci va ancora con abnegazione e sacrificio.
Si può dedicare l’acqua presa a qualcuno? Penso di sì, e nessuno si offenderà se dedico ogni mio colpo di tosse a chi c’è sempre e ancora sui campi, per raccontare quello che altri non racconterebbero mai.
Stefano Severi.