L’Ungheria non è un paese facile da interpretare per chi non lo conosce.
È nell’Unione Europea ma non ha adottato l’Euro. La sua lingua appartiene a un ceppo assai raro, presente altrove solamente in Lapponia tra la gente Sami e in diverse regioni della Russia.
Il suo popolo può apparire schivo ai più. Tranquillo finché lo lasci in pace, piuttosto coriaceo quando gli metti i bastoni tra le ruote, e la storia ne è testimone.
Calcisticamente, la vera epopea magiara si è fermata alle gesta di Puskas e compagni, negli anni ’50 del secolo scorso. Poi un continuo calo di risultati e popolarità, evidente ancora oggi.
Per me è la seconda volta in questo Paese, ad otto anni di distanza.
La mia prima esperienza col massimo campionato ungherese fu un Siofok-Videoton alla seconda giornata, con un’unica mega tribuna in legno, due piccole curve (di cui una per gli ospiti) e un biglietto di accesso per tutti i settori all’equivalente di 5 Euro.
Di quella partita ricordo lo scarso pubblico presente, la pochezza degli ultras di casa (pochi, silenziosi) e la discreta prova degli ospiti, in circa 200 unità.
Ma Siofok, considerata la Rimini d’Ungheria per essere la città più grande del lago di Balaton (a sua volta considerato il mare degli ungheresi) non è Budapest, e stavolta decido di approfittare del primo turno di campionato, nel bel mezzo delle mie vacanze, per vedere da vicino la realtà calcistica e ultras più importante del paese, quella del Ferencvaros.
La partita della domenica, alle 17.30 contro il Diosgyor, capita proprio a pennello, con qualche mugugno per la partita dell’Ujpest fissata alle 19:30 e che si gioca a pochi chilometri di distanza.
Parto dalla mia località termale per affrontare due ore di viaggio, prolungate da un improbabile incidente in autostrada che dilata pericolosamente il mio tragitto un po’ troppo a ridosso del calcio di inizio.
Alla mia richiesta di accredito online non ho avuto risposta, e l’ambiente estraneo non mi lascia buoni presagi.
In ogni caso, approdo a Budapest nel quartiere di Ferencvaros con un’ora di anticipo che, a causa della ricerca di parcheggio, diventa ancora meno.
Passando davanti alla nuova Groupama Arena, stadio del Ferencvaros nato nel 2014 dalle rovine del demolito stadio Albert Florian, noto che comunque l’afflusso non sembra importante, benché di solito una prima giornata di campionato attiri curiosità ed entusiasmo un po’ a tutte le latitudini.
Arrivo già preparato rispetto alle vicende del tifo organizzato, avendo tradotto, ormai 4 anni fa, questo articolo: http://www.sportpeople.net/calcio-e-tifo-in-ungheria-tra-repressione-sistemi-di-sicurezza-mai-visti-e-sporchi-giochi-di-potere-titolo-originale-supporters-without-privacy/
Vi invito a leggerlo, se ne avete voglia, per capire meglio lo scenario in cui questo Paese si muove ancora oggi tra tessere del tifoso, riconoscimento palmare agli accessi, sistemi di sicurezza al limite della legalità, situazioni ambigue tra sport, politica e malaffare.
La contestazione degli Ultras del Ferencvaros contro tutto questo è durata fino all’inizio della scorsa stagione, quando, grazie ad un compromesso tra la dirigenza biancoverde, la curva della Groupama Arena ha ripreso colore.
Certo, anche il compromesso siglato lascia qualche perplessità: il Ferencvaros ha concesso ai suoi ultras di avere una “Tessera del tifoso B” senza obbligo di rilasciare l’impronta del palmo delle mani, con la condizione che tutti i capi della curva accettino, invece, il riconoscimento, assieme ad almeno altri 500 elementi dello stesso settore, su base volontaria.
Francamente, e scusate se qua abbandono il consueto tono giornalistico, faccio fatica a capire come possa essere accettato un accordo su queste basi. Il classico “O tutti o nessuno” cade dall’albero come una mela andata a male. Una scelta ambigua, probabilmente figlia di situazioni che non conosciamo e che non potremmo capire.
Sta di fatto che molti elementi hanno deciso in ogni caso di abbandonare la vita di curva, mentre la prima giornata del campionato 2017/18, più che per il ritorno degli ultras, è passata agli annali per una megarissa interna tra sostenitori del presidente Kubatov e l’ala più intransigente.
In questi anni di protesta, in molti hanno cominciato a disertare lo stadio, e l’atmosfera della Groupama Arena non è tra le più leggere, anche grazie alla sinistra fama della “Fradi Security” (riferimento sempre all’articolo tradotto di cui qualche riga più su. “Fradi” è il soprannome dato dai tifosi biancoverdi alla loro squadra).
Trovo il parcheggio non lontano dall’impianto, e mi incammino con pochi tifosi.
Attraversato lo stradone che mi separa dalla zona stadio, sbaglio direzione e finisco davanti agli ospiti; poco male, visto che posso osservare l’ingente servizio di sicurezza e un po’ di tifosi biancorossi intenti a fare il loro ingresso.
Il Diosgyor, un po’ come il Ferencvaros, deriva dal nome di un quartiere, finendo poi per rappresentare tutta la città. Parliamo di Miskolc, 160.000 abitanti e 200 km di distanza da Budapest.
Nonostante il palmares piuttosto misero (appena due coppe nazionali), la tifoseria risulta tra le più calorose d’Ungheria, e per questo il match di oggi assume un più alto interesse.
Prendendo la giusta direzione, mi accorgo di come ci siano effettivamente troppi pochi tifosi e nessun ultras. Qualcosa non va, e mi appaiono gli spettri del mio primo Partizan Belgrado-Stella Rossa, quando gli ospiti disertarono clamorosamente per protestare contro il turno di calcio giocato in concomitanza col “Grande Sabato” (il Sabato prima della Pasqua ortodossa, che in Serbia è una festa molto sentita).
Intanto noto come lo stadio, incastonato in un quartiere ormai tutto rifatto, dove stanno nascendo palazzi di vetro e un nuovo polo d’affari, rifletta la grandezza del club più titolato d’Ungheria, oltre che il più amato.
Il palmares è di quelli importanti: il Fradi vanta 29 campionati vinti, svariate Coppe e persino una Coppa delle Fiere (antesignana dell’attuale Europa League).
La grande aquila di metallo dà il benvenuto alla Groupama Arena. Museo, shop e aree VIP fanno diventare la partita un’esperienza commercialmente più completa per club e tifosi.
Intanto la mia impresa è capire dov’è l’ingresso stampa. Credetemi, quando vi dicono che siamo il peggior popolo nel parlare inglese, non è vero: in Ungheria sono messi molto peggio. Quando non riesci a comunicare neanche concetti come “Press”, “Media” e “Photo” arrivi a momenti di smarrimento completo.
Il settore stampa in pratica si chiama “Sajto”, e ci sono arrivato sia perché mi è venuta in mente la mail di richiesta accredito, sia perché, sotto l’insegna del gate, più piccolo, in inglese, ho trovato la parola “Press”.
Ovviamente il mio accredito non c’è, ma almeno con l’addetto riesco a comunicare e l’equivoco è risolto: ho la mia pettorina e posso entrare in campo.
Da dentro, bene ammetterlo, la Groupama Arena fa un bell’effetto: i 23.500 posti sono tutti vicini al campo, e la totale copertura garantisce un’ottima acustica.
Il cazzotto all’occhio mi arriva guardando la curva del Ferencvaros: vuota! Dentro di me si susseguono tantissime ipotesi possibili, dalla chiusura del settore a una nuova protesta.
Scoprirò solo dopo che la curva di casa ha subito un turno di chiusura per un po’ di pirotecnica lanciata in campo nell’ultima giornata dello scorso campionato, ironia della sorte proprio contro il Diosgyor.
Da subito capisco che non posso aspettarmi miracoli. Anche il resto dello stadio non ha numeri da urlo, quindi mi concentro sugli ospiti.
I biancorossi sono, in totale, circa 200, di cui un’ottantina (forse qualcosa meno) ultras. Accompagnati da megafono e tamburo, sono in larga parte giovani.
Da subito si intuisce l’ostilità contro i padroni di casa, tanto che il pubblico biancoverde darà segni di insofferenza. Il nucleo attivo si compatta al centro del settore, mentre gli altri tifosi si posizionano intorno a loro.
Il Ferencvaros ormai proietta su di sé l’immagine di un club vincente e moderno. L’Aquila Reale che sfila in stile Olimpia della Lazio, presentazioni video con musica a palla, mascotte, steward che controllano ogni passo che fai: sembra la nostra Serie A senza esserlo, e i numeri sugli spalti confermano questa suggestione.
Cominciata la partita, non posso che mettermi sotto la curva, vuota, degli ultras biancorossi.
Guardo gli ospiti seguire fedelmente la parabola della loro squadra: buon tifo iniziale, con tutto il settore che partecipa. Bei battimani, cori che si impongono nel silenzio quasi totale. Scoramento e calo dopo l’1-0 del Ferencvaros. Abbattimento dopo il 2-0. Breve risurrezione per il 2-1 della loro squadra. Rigore del 3-1 per il Ferencvaros e colpo del KO.
Dico la verità: data la loro fama, la distanza non impossibile, la prima di campionato, il giorno domenicale, mi aspettavo di vedere ben altra roba.
Siamo in Serie A, credevo in numeri maggiori e anche in una partecipazione migliore. Non per niente, man mano che i minuti scorrono, una certezza si alimenta: Ujpest non è lontana.
Col fischio di fine primo tempo, sono già fuori per affrettarmi verso la macchina. Sono le 18.15.
Un ultimo incontro, con alcuni elementi della Fradi Security. Un solo sguardo mi basta per capire la fama più che meritata.
Stefano Severi