Lo stuolo di sciarpe che si staglia sulla facciata dello stadio Franchi non cela il sentimento ancora cupo che da settimane pervade la Firenze calcistica. Quella notte di marzo in terra friulana ha segnato fortemente l’ambiente viola e tramutato Astori in simbolo di una sofferenza e un dolore che paradossalmente ha forgiato il clan gigliato.

Nella morte ci sono sempre reazioni contrastanti. Spesso opposte. In tutti i modi specchio di quello che si è e di come si interpreta la propria esistenza.

In questa tiepida domenica pomeriggio di aprile, con le nuvole che “tappano” il cielo fiorentino, ascolto con estremo interesse le parole “estorte” dall’amico Sebastien ad alcuni sostenitori toscani sulla vicenda Astori. Quasi nessuno sembra intenzionato ad eloqui conditi da una facile retorica, che in questi casi troppo spesso prende il sopravvento sull’analisi razionale dei fatti. Tutti sono concordi nell’onorarne la memoria ma più di qualcuno sottolinea come non occorra caricare troppo la sua figura. E con molta onestà ammette che i suoi capitani si chiamavano Antognoni o Passarella. Quasi un volersi astrarre da un’era che spesso, con le sue esagerazioni e i suoi romanticismi forzati, non solo non rispetta la morte ma la trasforma in un evento da avanspettacolo.

Al contempo è anche vero che le nuove generazioni – spesso cresciute all’ombra di giocatori inermi e dirigenti asettici – hanno bisogno di miti e icone a cui legarsi, quanto meno per fugare il grigio calcio contemporaneo. Se poi si prende ad esame la Fiorentina e il suo fedele popolo, non si può evitare di danzare sul filo della sua storia recente: poche soddisfazioni sportive, frequenti frizioni con la società e numerosi attriti proprio con calciatori che in maniera presunta hanno illuso la piazza per poi lasciarla. Spesso in luogo del peggiore dei nemici.

Insomma: volente o nolente la morte arriva sempre a sconvolgere la vita. Ed è per questo che tutte le reazioni spontanee vanno rispettate e comprese.

Un po’ meno comprensibile – a mio avviso – è vedere un paio di signore appostate davanti allo storico Bar Marisa con un libro sul “Capitano Astori” tra le mani. Proposto quasi a mo di Testimoni di Geova. Ecco, francamente questo lo trovo una schiaffo a tutto quello che di umano e spontaneo un evento tragico come la morte di un giovane calciatore può produrre. È una mia idea, sia chiaro. Ma purtroppo credo sia un fedele specchio di come in tanti (troppi) aspettino queste occasioni per far passare il lucro/la speculazione come commemorazione. Questione di punti di vista.

Fatta questa dovuta premessa, che avrei voluto stendere già precedentemente, posso passare al cuore della giornata: la sfida tra viola ed estensi. Una gara che personalmente arriva dopo un sabato speciale, passato tra Livorno (per il derby col Pisa) e Pontedera (per la partita contro la Carrarese). Immagini, canti e tifo che mi hanno restituito una bella impressione della Toscana curvaiola, facendomi tornare indietro di qualche anno.

Firenze è il degno punto esclamativo. Che peraltro farà da prologo al derby di Roma, qualche ora dopo.

Gigliati e spallini tornano ad affrontarsi dopo un’andata turbolenta, preceduta da alcune tensioni al di fuori del Mazza. Non c’è grande feeling pertanto, nel pieno rispetto di quell’assioma che vuole emiliani e toscani nemici giurati.

Salite le scalette della tribuna stampa lo sguardo cade subito sul settore ospiti, dove si registra un ottimo colpo d’occhio. Sono circa 2000 i supporter biancazzurri, che si fanno sentire sin da subito provocando i dirimpettai. Come spesso avviene al Franchi, anche a loro sono state sequestrate le aste dei bandieroni, ritenute pericolose. Credo sia inutile soffermarsi sulla stupidità di tale provvedimento (con le bandiere non è mai morto nessuno, come con tamburi e megafoni, visti per anni come primo nemico), quindi riporto la notizia solo come spiegazione alla mancanza della classica macchia sventolante della tifoseria spallina.

Fortunatamente non c’è stato alcun problema per il drappo di Federico Aldrovandi, che fiero viene appeso sulla vetrata centrale.

Sul tifo ospite: in trasferte come queste è inevitabile constatare la larga presenta di tifosi “occasionali”. Termine che non viene usato dal sottoscritto in maniera dispregiativa, ma solo per dar forza a un giudizio complessivamente positivo (gli spallini tifano, lo fanno costantemente, sono colorati e come sempre dimostrano di portare dietro una discreta tradizione calcistica e curvaiola) che però tiene ovviamente conto di una veloce crescita numerica dovuta al doppio balzo dalla C alla A, causa inevitabile di un maggiore impegno e costanza da parte del direttivo nel non disperdere un grande potenziale.

Per quanto riguarda i viola, la Fiesole si esibisce in una classica prestazione casalinga. Gruppone centrale a tirare le redini e buoni picchi supportati da un impegno canoro costante e colorato dalle tante bandiere, oltre che dai petti nudi nella ripresa. Se c’è un appunto che posso fargli è la frammentazione tra le diverse anime della curva che spesso si evidenzia in una mancanza di unione a livello visivo. Figlia anche di un’affluenza che ormai troppo spesso fa difficoltà a registrare sold out nel cuore del tifo gigliato.

In campo finisce 0-0. Un risultato che è la conseguenza di una gara tutt’altro che spettacolare, “movimentata” solo dal rigore prima concesso e poi tolto alla Spal. Momento in cui la Fiesole sbeffeggia gli arcirivali juventini dando ironicamente dell’insensibile all’arbitro nel momento del rigore concesso e del “sensibile” quando il penalty viene revocato. Il tutto ovviamente in scherno alle parole di Buffon dopo l’eliminazione in Champions League subita per mano del Real Madrid.

Testo di Simone Meloni

Foto di Simone Meloni e Valerio Poli

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