Prima di questa partita con l’Udinese, la Curva Fiesole scorta il pullman della squadra dall’hotel allo stadio con un corteo di moto e scooter, accompagnadolo con bandiere, fumogeni, striscioni e cori. Prima della partenza del convoglio, come riportano gli organi di stampa, alcuni esponenti della tifoseria hanno tenuto un discorso alla squadra e in particolare ai nuovi arrivati. Il succo di questo discorso è che squadra e tifosi devono camminare insieme, nella memoria di Davide Astori e per il conseguimento del miglior risultato sportivo possibile in virtù di un gruppo al quale, nonostante l’età media tra le più basse della Serie A, viene riconosciuto grandissimi attributi e possibilità.

Probabilmente il contatto diretto con la squadra, bypassando le vie “istituzionali”, è l’ultima speranza per contrastare il muro di sempre più crescente disinteresse umano venutosi a creare fra gli ultras e i propri giocatori, specie nelle massime serie: divismo dilagante, stipendi oltre ogni logica e regole assurde (non poter comunicare con i tesserati senza autorizzazione) sono elementi che certo non aiutano a umanizzare i rapporti. Parlarci “viso a viso”, “da uomo a uomo” alimenta quell’alchimia, quel senso di reciproca appartenenza che agli albori del movimento ultras contraddistingueva il calcio italiano e lo rendeva così unico ed appassionante, prima che fosse ridotto al rango di mera e sciatta merce.

Mani al cielo per gli udinesi

Iniziative di questo genere diventano indispensabili per tenere compatte piazze come Firenze, notoriamente con il morale sotto i tacchi. La tifoseria infatti, da tempo si trova in contrasto con la propria società: nonostante i piazzamenti di classifica siano in linea con la storia sportiva della Viola, trofei alzati non se ne vedono dall’ormai lontano 2001. Ma non sono solo i risultati in sé a far arrabbiare la Curva, la critica di fondo è per la mancanza di passione e per l’assenza di un progetto sportivo chiaro. I proprietari materiali dell’ACF Fiorentina Spa sono imprenditori e persone lontane dalla realtà di Firenze, sempre molto riluttanti a cogliere e far tesoro della critica allorquando i tifosi mostrano dissenso, oltretutto posto anche in maniera più che civile rispetto al burrascoso passato.

Critiche all’ordine del giorno nel rapporto curve-società in tantissime realtà quali Roma o Napoli (che comunque le loro coppe e Supercoppe le hanno alzate). Piazze diverse e persino contrapposte tra loro, ma critiche sempre molto simili nei confronti delle rispettive dirigenze e questa cosa dovrebbe far riflettere. A questo punto le questioni sono due: o le tifoserie delle squadre mediamente blasonate sono in preda ad un’isteria collettiva, oppure più verosimilmente questo modo di fare calcio non funziona, per lo meno per chi vede la Serie A diversamente rispetto ad una NBA calcistica.

Firenze ricorda Duccio

Nonostante le luci stroboscopiche e la musica disco prima delle partite, tante persone vivono ancora il calcio come veicolo di passioni e sentimenti. Un modello di calcio in cui possano coesistere imprenditorialità e passione, può esistere fissando alcuni paletti di rispetto minimo per la tradizione. Senza scomodare paragoni esteri, vale l’esempio dell’Atalanta che nelle ultime stagioni vive un clima invidiabile. Ovviamente favorito dai risultati. Eppure a Bergamo i giocatori vengono ugualmente ceduti, la società fa ugualmente cassa, ma in maniera oculata, senza abbandonare i tifosi nell’assenza totale di identità e punti di riferimento. Semplicemente l’immagine e lo spirito rappresentativo di una città, vengono trasferiti sulla squadra in generale, sul collettivo, fortificando appunto il senso di comunità.

Quest’oggi – concludendo con una breve e specifica analisi del tifo propriamente detto – la Fiesole offre un buon sostegno ai propri ragazzi, che in campo sembrano divertirsi con loro e sulle ali di questo entusiasmo, la Fiorentina raggiunge la vittoria contro la squadra friulana, grazie alla rete di Benassi. Gli Udinesi si presentano con i loro ormai consueti numeri a Firenze, insieme a loro i gemellati dell’Arezzo e di Vicenza: manca il pubblico delle grandi occasioni, quello che fiancheggiava gli ultras quando i bianconeri si giocavano la qualificazione alla Champions. Ma gli ultras ci sono, come sempre, e tanto basta.

Foto di Sauro Subbiani