Ho lasciato Frosinone in una calda sera di fine primavera. Al termine della disastrosa semifinale playoff persa con il Carpi. Il gol di Letizia, la fine di un sogno per il popolo giallazzurro e l’addio più duro e doloroso: quello al vecchio stadio Matusa. Era il 29 maggio. “Che fine ingloriosa” gridò la persona a me più vicina. Da quel dì non ho più rimesso piede nel capoluogo ciociaro.

Lo faccio oggi. Con il pullman, come quasi sempre in questi anni. Non scendere più al solito posto per imboccare Viale Aldo Moro e vedere la rotatoria di fronte alla Curva Nord farsi sempre più grande mi fa uno strano effetto. Così come spaesato mi sento nel venir scaricato in mezzo della caotica Strada dei Monti Lepini, a quell’ora intasata di persone che tornano a casa dal lavoro.

Non sarà questo il luogo dove mi inerpicherò in racconti e ricostruzioni storiche sull’impianto di Via Mola Vecchia. Ci sarà modo e tempo di farlo. Ma non voglio far diventare la mia prima volta al Benito Stirpe un necrologio di un altro stadio (dello stadio con la “S” maiuscola a queste latitudini, per dirla tutta). Innanzitutto per un mero dovere di cronaca. Dovere che implica un’analisi onesta sia nei lati positivi che in quelli negativi.

Chi si è imbattuto in un mio testo almeno per una volta forse sa quanto non ami particolarmente gli stadi nuovi, in generale. Non è tanto un discorso di becero nostalgismo, quanto un sentimento donato da una reale – e credo inconfutabile – perdita di luoghi simbolo che troppo spesso viene sottaciuta e non celebrata a dovere. Non scordiamoci mai, e qui vado ben oltre Frosinone, che molti dei nostri impianti (potrà piacere o meno) sono delle vere e proprie opere architettoniche, sovente tutelate da vincoli dei Beni Culturali.

La fretta e l’omologazione latente dei nostri giorni ci portano a considerare “gioiellini” impianti sullo stile Juventus Stadium. Ma se questo è sacrosanto dal punto di vista della funzionalità diciamo che lo è un po’ meno sotto l’aspetto dell’unicità. I nuovi stadi sembrano infatti uscire in serie dalla stessa fabbrica, senza mostrare alcun segno caratteristico. Perdendo – di fatto – quei particolarismi che un tempo rendevano i club riconoscibili anche in base alle proprie case.

Ora, sia chiaro, nel caso di Frosinone bisogna anche essere realisti e andare al di là dei sentimenti: è ovvio che il Matusa andasse quantomeno ricostruito dalla base se si voleva tenere in vita. Per una società forte e ambiziosa, che punta senza mezzi termini al ritorno in A, non era ammissibile avere un impianto fatto in tubi su tre dei quattro settori. Tuttavia sostengo fortemente che la conservazione della memoria sia un qualcosa di importante, soprattutto in un calcio italiano che a tal proposito offrirebbe innumerevoli spunti. Mi auguro sempre che quella tribuna centrale (rimasta in piedi e utilizzata per realizzare spettacoli all’interno del nuovo Parco Matusa che verrà) possa ospitare ad esempio un museo del calcio locale nella propria pancia. Perché se la rivalutazione del nostro sport nazionale passa senz’altro dal rinnovamento degli impianti, il trasmettere alle nuove generazioni ciò che “siamo stati” contribuirà a rendere il pallone ancora magico e fascinoso.

Fatta questa dovuta – e lunga – premessa, posso tornare al racconto vero e proprio della serata.

Per chi non lo sapesse lo Stirpe sorge laddove già negli anni ’70 erano state gettate le basi per la costruzione di un nuovo stadio cittadino. Tanto è vero che la tribuna centrale, l’unica realizzata totalmente in cemento armato, giaceva qua proprio da oltre trent’anni.

E “giaceva” è forse il termine più appropriato. Ripensando al Casaleno qualche anno fa è impossibile non ricordarsi il forte degrado in cui versava la zona, dove peraltro sorge anche il palazzetto dello sport.

Per l’occasione sono stati venduti circa 14.000 biglietti. Un dato che stabilisce un nuovo record di presenze a Frosinone, andando ad annullare quello relativo a una gara contro il Campobasso disputata al Matusa nel 1989: allora assistettero alla sfida 12.000 tifosi (viene quasi da ridere a pensare che negli ultimi anni c’è stata sempre più una corsa affannosa per limitare la capienza del vecchio Comunale, quasi sempre sotto ai 10.000 posti). Sessantaquattro invece i tagliandi staccati a Cremona.

Già un’ora e mezza prima del fischio d’inizio sono in tanti a circolare attorno al perimetro dello Stirpe. C’è ovviamente tanta curiosità. Sebbene lo stadio sia stato presentato ufficialmente qualche giorno prima, con un evento apposito, la partita odierna segna il debutto in una gara ufficiale. Ed ha chiaramente un sapore molto diverso.

Purtroppo neanche la modernità riesce a scalfire i bruttissimi cancelloni verdi e gialli che fungono ormai da anni da prefiltraggi. Mentre delle transenne delimitano la strada provvisoria dove saranno fatti passare i tifosi ospiti. Uno dei pomi della discordia per la concessione di tutte le autorizzazioni, infatti, è stato proprio la mancata costruzione della via che dall’autostrada deve portare direttamente sotto al settore dedicato ai tifosi che vengono da fuori. Per farlo occorrerebbe tagliare degli alberi e questo – come spesso accade in Italia – ha creato una querelle politica che attualmente blocca i lavori creando non pochi disagi in quella zona (basti pensare alla chiusura della strada parallela a quella dei Monti Lepini, frequentatissima in orari di punta come quelli di questa serata).

Una riflessione che voglio fare invece è sul ruolo del presidente Maurizio Stirpe nell’erezione di questo impianto. Parliamo male (giustamente) di presidenti che sempre più trattano i club come propri giocattoli. Cambiando nomi agli stadi, modificando gli stemmi e, in casi estremi, persino i colori sociali. Oltre a trattare spesso i tifosi come bestie da eliminare quanto prima. Nella fattispecie diciamo che forse ci troviamo di fronte a una caso raro, almeno nel nostro Paese, in cui il numero uno della società è sempre riuscito a mantenere intatto un filo conduttore rispettoso della storia e delle tradizioni ma in grado di marciare verso la crescita esponenziale del club.

In molti dicono: “Sì ma Stirpe ci ha guadagnato con lo stadio”, “Sì ma Stirpe non ci ha speso nulla”. Onestamente mi sembrano delle osservazioni alquanto superficiali. Innanzitutto Stirpe è un imprenditore e se non guadagnasse (o almeno se non stesse attento alle spese) con le proprie attività dovrebbe quanto meno dedicarsi ad altro nella vita. Restano poi i fatti a parlare per lui: il primo stadio di proprietà in regione (e non una regione qualunque, ma quella dove c’è la Capitale, nonché quella dove le opere pubbliche richiedono spesso il trascorrere di decenni e scandali per vedersi terminate) che rappresenta la ciliegina sulla torta di una gestione incredibilmente lungimirante e oculata, che ha reso fatto lentamente “levitare” il Frosinone, accrescendo capacità gestionali, mentalità dei propri tesserati, capacità sportive (bisognerebbe analizzare l’excursus dei canarini dalla prima squadra alla scuola calcio e paragonare gli stessi settori a quelli di vent’anni fa) e mantenendo al contempo intatto quell’attaccamento alle proprie radici. E sicuramente il fatto che Stirpe di queste zone sia nativo e dei giallazzurri sia anche tifoso ha influito e non poco.

Chiaro, lo stadio nuovo non va visto e valutato per la serata di oggi. Il calcio non è una scienza perfetta ma tutti sappiamo che è fatto di parabole ascendenti e discendenti. Sarà quindi importante valorizzarlo in ogni modo per evitare che – in momenti di magra sportiva – si riduca a cattedrale nel deserto. Triste destino che oggi lambisce alcuni stadi rimodellati e ampliati di nobili decadute (mi viene in mente il Braglia di Modena, per esempio). Chiaro che non ci saranno a ogni partita 14.000 spettatori, anche se con i circa 7.000 abbonamenti sottoscritti quest’anno e un avvio di campionato che sembra parlare a favore degli uomini di Moreno Longo è facilmente prevedibile un’annata con presenze costantemente importanti.

È tutto nuovo e appare chiaro come per i tifosi – abituati alla piccola e stretta realtà del Matusa – ci sia da abituarsi agli spazi immensi fuori e dentro l’impianto. Di sicuro, se devo fare una critica, mi preme sottolineare come il settore ospiti sia forse la parte concepita meno bene all’interno. A parte la capienza non eccelsa (1.035 posti) pesa a mio avviso il prezzo del biglietto fissato sui 20 Euro. Questo rischia di bissare quanto accaduto in A con l’innalzamento dei settori ospiti da parte di 2/3 club poi seguito da tutti quanti e colpevole di aver prodotto tagliandi a costi davvero spropositati praticamente in tutti gli stadi.

Ecco simile aspetto evidenzia un “problema” che va ben oltre Frosinone: l’accoglienza dei tifosi ospiti nei nuovi impianti. Spesso stipati in settori scomodi e angusti (Juventus Stadium docet ma anche il nuovo terzo anello di San Siro) e soggetti a un prezzario fuori dalla norma. Su ciò ci sarà da lavorare nel prossimo futuro, sempre nell’ottica di una vera restituzione del calcio a tutti i suoi tifosi e non solo a quelli più abbienti. Ritengo ad esempio molto civile ed esemplificativa la decisione presa in Inghilterra qualche tempo fa: oltre a stabilire un tetto massimo di 30 Pounds per il settore ospiti a breve tutti i club dovranno garantire ai tifosi avversari almeno una parte di settore attaccata al campo (ciò renderebbe “illegali” piccionaie come quelle di San Siro).

Come sottolineato già questa estate in fase di presentazione della campagna abbonamenti, i prezzi per i vecchi e nuovi abbonati invece sono rimasti più che ragionevoli, mentre il singolo biglietto è sopra la media (una curva 17,50 Euro).

Lo stadio al suo interno è indubbiamente bello, poco da dire, oltre che funzionale. Fatta eccezione per i seggiolini multicolor (stasera ricoperti dal quasi sold out), che continuo a non concepire. Mi chiedo perché non si preferisca pittare ogni settore con il nome del club, come succede in molti stadi d’Europa. A mio avviso sarebbe davvero un bel vedere.

A una decina di minuti dal fischio d’inizio tutti i settori offrono un bel colpo d’occhio. La Nord è piena in ogni ordine di posto e comincia a riscaldare l’ambiente con un paio di cori secchi. Logico che per i ragazzi della curva non sarà facile gestire uno spazio raddoppiato rispetto a quello precedente (triplicato poi se si pensa alla vecchia Nord del Matusa, quella precedente alla prima promozione in cadetteria) e a tal merito ho trovato davvero intelligente la disposizione dei gruppi: Frusinati al centro, Uber Alles e Vecchio Leone ai lati, in maniera da non lasciare parti di settore inanimate.

Se da una parte il nuovo impianto rischia giocoforza di togliere un po’ quel fascino “grezzo” che i tifosi ciociari conservavano nel catino retrò del Comunale, dall’altra con la copertura può favorire il tifo. E almeno stasera le cose vanno proprio così. La prestazione della Nord infatti è molto buona (forse anche al di là delle mie aspettative) e il colpo d’occhio offerto in diverse occasioni importante. Alla discesa delle squadre in campo il settore popolare del tifo giallazzurro offre una scenografia che rappresenta idealmente il passaggio di testimone da Benito Stirpe al figlio Maurizio, in grado di realizzare fino in fondo le ambizioni e i sogni del papà.

Molto bello l’incessante sventolio dei bandieroni, le tante manate e i cori a rispondere che rimbombano in tutto lo stadio.

Ci sarà da lavorare sul coinvolgimento del restante pubblico. La perdita più grande forse è quella dei vecchi Distinti, un settore che spesso ha saputo davvero fare la differenza con la sua “veracità” e il suo attaccamento al campo. Quasi una seconda curva.

Per quanto riguarda il settore ospiti la manciata di tifosi lombardi svolge tutto sommato il proprio compito, tifando per tutta la partita e mettendosi in mostra con un paio di sciarpate nel finale. Di certo visto l’orario e il giorno lavorativo non si poteva pretendere da loro molto di più. Ma dovremmo aprire un capitolo a parte sulle follie di questo calendario di Serie B. Ovviamente totale indifferenza tra le due tifoserie.

In campo finisce con il risultato di 0-0 e gli applausi di tutto lo stadio.

Il battesimo ufficiale è compiuto.

Simone Meloni