Sono un deejay, un’aquila, ed un tifoso.

Se voi volete, potete chiamarmi Gabriele Sandri.

C’è un valore, un comun determinatore, che unisce queste mie varie sfaccettature; il volo.

Quando vado in Discoteca dietro alla mia console ad esempio, chiudo gli occhi; il vocalist urla il mio nome tra l’approvazione delle persone in pista.  A quel punto, sembra di planare e sfiorare le loro mani. Quando riapro gli occhi sorrido e penso: “sto a fa divertì sta gente”.

Capite, è ‘na questione di prospettiva: io l’11 Novembre di questo 2007 sarò lì a Milano, sulle gradinate a San Siro, anche io con le mani rivolte al cielo e la voce forte, pronta a spezzare il freddo di una serata meneghina. Sarò lì, tra la mia gente, la stessa che faccio ballare tutti i week-end, la stessa che condivide la mia fede per la Lazio.

Aquila tra le aquile, sciarpa biancoceleste come il cielo delle Domeniche limpide di primavera all’Olimpico. E io un’aquila sono: lo divento ogni qualvolta permetto alle mie passioni di prorompere fuori nella mia vita, quando mi ritrovo dietro una console, oppure sui gradoni.

Libero da zavorre, la leggerezza mi solleva dai pesi di ‘sto Mondo.

Eppure a Badia al Pino seppi che le ali a volte possono bruciare e, come successe ad Icaro, ogni volo può finire.

La mia storia la conoscete, la mia fine è figlia di un ossimoro: morto con un colpo sparato da chi mi dovrebbe difendere, mentre io e i miei amici dopo essere ripartiti dalla stazione di servizio, dopo un po’ di baruffa con degli juventini, stavamo sulla carreggiata opposta all’Autogrill; la carreggiata di un destino sbagliato.

Per colpa di una divisa indossata da chi ha deciso di spaccare e spezzare le ali del mio volo, lasciando il peso della mia assenza a chi mi ha amato.

Son passati 9 anni da allora. Quasi due lustri.

Nonostante accuse, fango e vociare di benpensanti, pronti a dividersi i salotti televisivi e le strade dei luoghi comuni, il silenzio del dolore ha preso forme nuove che rigettano la rassegnazione: per l’ennesima morte a causa di un abuso.

Io sono un deejay, un’aquila e un tifoso.

Io sono Gabriele Sandri, un murales, uno striscione un’eco di parole agli angoli delle città affinché i passanti ricordino ciò che è stato.

Io sono Gabriele Sandri e sono quella “pezza” che capeggiò per la prima volta sulle vetrate della Curva Nord, sotto cui accorse Fabio Firmani dopo il suo gol vittoria al 90’ in quel Lazio-Parma qualche settimana dopo la mia morte.

Io sono quel volto sorridente dietro alla console, quella sciarpa ben stretta al collo, sono quel nome che dovrete associare a ciò che son state le mie passioni, quel nome che ricorderete e per 26 volte come le primavere che vissi, dalle vostre labbra una frase romperà un silenzio assordante: mai più ali spezzate da un colpo di pistola.

Solo così riprenderò a volare da quella stele lì a Badia del Pino, dove il mio volo è stato fermato in pasto a malefici ossimori:  morto per seguire il mio amore, morto per mano di chi dovrebbe difenderci.

  Gian Luca Sapere.