Panino con lombetto di cinghiale powered by Marco, birre e un Andrea in forma smagliante. Stazione Tiburtina già nera di gente alle 7 del mattino e conducente del Flixbus in vena di scherzi. Il mix giusto per partire alla volta di quella che ormai – per certi versi – rappresenta la stracittadina più partecipata del Paese. Almeno se pensiamo al Derby di Roma danneggiato dalla repressione, a quello di Torino che ormai si gioca con il settore ospiti limitato come se fosse una partita qualunque e a quello di Milano sempre troppo “soft” per i nostri gusti.

Genova. La pioggia scroscia prepotente sul nostro pullman che lentamente sta percorrendo gli ultimi metri prima di fermarsi accanto alla stazione di Piazza Principe. Siamo ignari che contemporaneamente la Questura stia facendo più di qualche pensiero sul rinviare la partita per l’allerta meteo che incombe sulla Liguria. Il che farebbe diventare la situazione a dir poco tragicomica, pensando ai moccoli piovuti quando – una settimana prima – si era paventata l’opportunità di spostare la gara alla domenica per far giocare Roma e Juventus al sabato e favorire così i giocatori impegnati in Nazionale.

Effettivamente il Derby della Lanterna negli ultimi anni ha sempre avuto quel non so che di sofferto. Eternamente stretto tra il rischio rinvii, spostamenti di data e posticipi al lunedì contestatissimi (giustamente) dai tifosi genovesi.

Alla fine si giocherà regolarmente. Perché sebbene la pioggia sia diventata un motivo di psicosi collettiva, una scusa per mettere ancor più a nudo le falle di un sistema calcio destinato soltanto alle zampine delicate delle prime donne, un po’ di acqua non ha mai ucciso nessuno. Anzi, fa parte del gioco e lo rende ancor più avvincente. E ovviamente non intaccherà lo spettacolo sugli spalti. A quello in campo invece ci ha già pensato da anni il palese ridimensionamento tecnico del nostro sport nazionale. Ma questo è un altro discorso.

Prima di portarci in zona stadio optiamo per il classico giro della città vecchia. Quella cantata da De Andrè e descritta sempre con un certo riguardo dalla miriade di poeti e cantautori che bene hanno reso l’idea dell’austerità e della compostezza di Genova. I suoi banchi di pesce all’aperto, i suoi negozietti incastonati dentro ai carruggi e le sue bandiere ora rossoblu e ora blucerchiate che di tanto in tanto sbucano qua e là sono sempre un bel vedere. Ne fa le spese il buon Andrea, che sembra un bambino a cui Babbo Natale ha appena portato i regali e scatta all’impazzata. Del resto gli abbiamo dato terreno fertile per fomentare la sua follia, non possiamo di certo lamentarci ora che ha imparato a “nuotare da solo”.

Lentamente raggiungiamo Brignole e ci inoltriamo per le stradine che conducono allo stadio, mischiandoci alla masnada di tifosi che cammina nella stessa direzione. Prima di varcare i cancelli d’ingresso facciamo un bel giro attorno al perimetro del Ferraris, imbattendoci prima nei doriani e poi nei genoani impegnati a scaldare l’ambiente. Diverse torce fanno già capolino e fungono soltanto da antipasto alle tantissime che vedremo accese sulle gradinate.

Personalmente sono al mio terzo derby, anche se mentalmente il primo (qualche stagione fa) non lo considero: con i genoani in sciopero e la Nord spoglia e silenziosa non fu derby. Quella volta fui ingenuo io a non informarmi e mi ripromisi di cancellare quella delusione successivamente. Direi che ci sono riuscito appieno.

Certo, per me che vengo da Roma è sempre difficile analizzare una stracittadina non pensando alla mia. E, non me ne voglia nessuno, difficilmente riuscirò (almeno in Italia oggigiorno) a trovare un qualcosa di appagante come un Roma-Lazio di qualche lustro fa. C’è da dire che però, almeno a livello di folklore e vivere quotidiano, a queste latitudini i punti di incontro sono tanti. La vera differenza, a mio parere, la gioca il fattore tensione. Roma, per lungo tempo, è stata forse la città dove il derby ha incusso più timore per quanto riguarda l’ordine pubblico e chi ci è stato almeno una volta ricorderà il clima di pesantezza che si respirava fin dalle prime ore del mattino attorno all’Olimpico. Non che la mia sia un’induzione a compiere atti sconsiderati. Trattasi di semplice riflessione.

Ritirato il mio accredito siamo sulle gradinate del bellissimo impianto genovese. Come di consueto i i tagliandi venduti offrono un gran bel colpo d’occhio e con l’approssimarsi dell’inizio anche le due tifoserie cominciano a scaldare i motori fronteggiandosi a suon di cori. L’ambiente è carico e le prime scaramucce tra i semplici tifosi in tribuna che mal sopportano la vicinanza dei “cugini” offrono senza dubbio degli spunti pittoreschi sui quali farsi due grasse risate.

Ore 20:40, le squadre sbucano dal tunnel e in tre settori su quattro si compongono le coreografie. La Nord opta per i cartoncini fosforescenti che nella parte inferiore sembrano riprodurre le due maglie (da casa e da trasferta) del Grifone, mentre nell’anello superiore si staglia la classica croce di San Giorgio, simbolo della Repubblica di Genova. Una buona scenografia alla quale però mi sento di fare due appunti: il primo per la mancanza di qualche cartoncino blu nello specchio di gradinata bassa alla mia sinistra e la seconda per la realizzazione non proprio lineare della croce in quella superiore. Comprendo ovviamente che realizzare spettacoli simili non sia affatto facile e nell’era dei social e della virtualità resta sempre più complicato istruire il pubblico non appartenente allo zoccolo ultras: tanto bravi a mettersi le foto della curva sul desktop del computer o dello smartphone e un po’ meno a dare una mano concreta nel momento del bisogno.

Molto bello il telone calato dai Distinti dove la grande scritta “Il Genoa è del suo popolo” fa da corollario al telone che raffigura centinaia di tifosi rossoblu impegnati a proteggere l’effige sociale. Una coreografia che lancia probabilmente anche un messaggio a una dirigenza sentita sempre più distante dai tifosi e sempre più responsabile delle ultime, tribolate, stagioni.

Una classica è anche la coreografia realizzata dalla Gradinata Sud, dove come di consueto non vengono esposti striscioni se non un eloquente “Né fax, né autorizzazioni”. Tantissimi invece i bandieroni con la croce di San Giorgio che mischiandosi a quelli blucerchiati e a diverse torce producono davvero un bell’effetto.

Il derby della Lanterna è iniziato, non possiamo che stropicciarci gli occhi.

Una sfida che spesso – quasi sempre – ha fatto registrare lo spettacolo vero sugli spalti più che sul manto verde. E anche stasera questo assioma non verrà disatteso.

Se sul terreno di gioco infatti è la Sampdoria ad imporsi tutto sommato con facilità, contro un Genoa davvero spaesato e povero di contenuti, sulle gradinate la battaglia sarà serrata e sostanzialmente si concluderà con un pirotecnico pareggio. Uno di quei 3-3 che lascia il segno per anni.

Parte come sempre forte la parte superiore della Sud, quella occupata dagli Ultras Tito Cucchiaroni. Un gruppo che davvero ha saputo resistere al tempo e ai cambiamenti obbligati da anni di repressione e torpore. Come sempre bellissime le loro manate e le loro sbandierate, così come la tanta pirotecnica utilizzata. Nella parte inferiore i Fedelissimi si coordinano abbastanza bene e alla fine il popolo blucerchiato fa sentire il proprio ruggito durante tutti i 90′ con il solito spettacolare repertorio corale che attinge a tante hit della musica italiana e lascia trasparire una passione autentica e viscerale. Meritano menzione anche le due esultanze.

Lo ripeterò fino allo sfinimento, dalle esultanze si vedono tante cose: l’amore per il calcio, l’attaccamento ai propri colori a prescindere dalle modo e dalle situazioni e l’ardore che ancora si prova nell’andare allo stadio. Troppo spesso vediamo festeggiamenti impostati e plastificati ai gol. Andare in curva non è un lavoro da svolgere obbligatoriamente o un posto dove scattare selfie da mostrare poi il lunedì al lavoro.

Logico che un discorso simile valga anche per la Gradinata Nord. Sui genoani voglio fare anche un altro discorso: quelli visti questa sera mi hanno lasciato finalmente una sensazione di piena soddisfazione. Troppe volte negli ultimi anni mi è capitato di avere di fronte una Nord scompatta e un po’ spenta. Stasera mi è sembrato invece di risentire quel coinvolgimento che udii la prima volta che li vidi all’opera, in un Ternana-Genoa di tanti anni fa. Certamente la reintroduzione di tamburi e megafoni ha aiutato moltissimo il popolo rossoblu. Tuttavia va ricordato che, considerato il pessimo campionato disputato sinora e un derby mai in discussione a favore dei cugini, non era per nulla scontato che il tifo dei Grifoni si mantenesse su standard così buoni.

La ciliegina sulla torta è senza dubbio il voler restare all’interno dello stadio ben oltre il fischio d’inizio. Una dimostrazione d’amore molto toccante. Mentre i blucerchiati festeggiano e sfottono i dirimpettai, la Nord continua a tifare, accendendo torce in quantità industriale e producendosi nella seconda sciarpata della serata sulle note di “Ma se ghe pensu”, canzone popolare scritta da Mario Cappello agli inizi del ‘900 che narra con triste nostalgia la lontananza dei tanti genovesi emigrati e quindi lontani dalla loro terra.

Si sono fatte le 23:30 e dobbiamo smontare le tende e tornare indietro. Usciamo che nelle due gradinate ancora ci sono focolai di tifo mentre per le strade il traffico e i clacson dei doriani in festa diventano parte integrante dello spettacolo.

Una vera e propria festa popolare, dove anche se qualcuno ne esce ciclicamente sconfitto si riesce sempre ad avere un quadro chiaro e sentimentale di Genova. Alla prossima e che il calcio italiano salvaguardi spettacoli come questi. Il calcio che piace e attira è il Derby della Lanterna, non certo alcuni stadi smorti e grigi in cui è vietato persino respirare!

Simone Meloni