Lo scrittore inglese Tim Parks sintetizza il derby di Verona in uno scontro tra identità e modernità. Innegabile che negli ultimi 20 anni il Chievo abbia dato alla città di Romeo e Giulietta quelle gioie sportive che l’Hellas non è stato capace di regalare. Ma nonostante le continue delusioni la favola Chievo, la favola dei Mussi volanti, non è stata capace di rubare la scena allo storico Hellas Verona 1903. Il calcio moderno, per il quale gli introiti dei diritti TV contano più dei biglietti staccati ai botteghini, almeno in questo ha fallito: l’identità vince anche contro la modernità, la tradizione resiste alle sconfitte.

Prima del fischio d’inizio, i giocatori delle due squadre si sono abbracciati al centro del campo per osservare il minuto di silenzio, nel ricordo del capitano della Fiorentina Davide Astori, con il sottofondo di una canzone di Lucio Dalla. Mentre lo stadio applaudiva commosso, la Sud in religioso silenzio ha rispettato il minuto di raccoglimento, per poi lanciare un coro che ha squarciato il cielo: “Viola viola”.

Quando comincia il match, le due tifoserie si beccano non di rado, anche se rimango colpito dal coro “Nessuno Nessuno Vaffanculo” partito dal settore del Chievo: essere tifoso del “Ceo” non è facile, soprattutto in una città come Verona dove, come detto, le attenzioni sono cannibalizzate dalla controparte anche quando i verdetti del campo sovvertono gli ordini di grandezza tradizionali, sta però di fatto che questa escalation dell’odio dei veronesi più “piccoli” verso i più grandi mi ha lasciato perplesso.

Al là di queste valutazioni ovviamente del tutto soggettive sugli sfottò, devo però riconoscere che soprattutto nella prima frazione di gioco, North Side e soci hanno sostenuto i propri beniamini con continuità.

La Sud di Verona invece questa sera è abbellita dalle tante bandierine con il simbolo della storica famiglia Della Scala. Il tifo, almeno nel primo tempo, non è stato sempre continuo, ma nella seconda frazione di gioco i butei offrono un repertorio e un’intensità che solo poche realtà sanno offrire. Quando mancano pochi minuti al termine delle ostilità tutto lo stadio si compatta nel coro “Hellas Hellas quando in campo scenderai, non ti lasceremo mai soli”: davvero molto suggestivo da sentire per la particolare ritmica.

La vittoria che matura in campo tiene in vita le speranze salvezza dell’Hellas e questo viene sottolineato dalla sud che chiude la serata con la goliardia che da sempre li contraddistingue: “Restiamo in Serie A, però nessuno ci crede”. In molti stadi abbiamo sentito “Resteremo, resteremo in serie A” loro invece preferiscono mantenere  scherzosamente a distanza le emozioni che una vittoria può regalare, forse memori di un campionato in cui ogni gioia è costata il doppio di amarezza e dove l’obiettivo finale potrà eventualmente essere raggiunto solo a costo di grandissimi sacrifici, senza adagiarsi su inutili ed effimeri entusiasmi.

Michele D’Urso