Percepire già dal titolo che un libro parla di hooligans è il miglior motivo per non leggerlo mai. A parte i romanzi rosa, le peggiori nefandezze sono state scritte proprio nel filone hooliganistico, una sorta di vena aurea che, come nel Klondike, ha visto ondate di disperati buttarsi a capofitto nella melma sperando di svoltare. Con somma pena di chi ha ceduto alla curiosità di leggerli. “Hool” di Philipp Winkler fa invece eccezione e probabilmente ciò avviene a partire dal contesto e per certi versi dallo stile e dal genere in cui l’autore si muove.

La realtà di riferimento è quella dell’hooliganismo tedesco e già questo costituisce un elemento di novità rispetto a tutti i fratelli scemi di John King e la loro indistinta solfa dove tutti picchiano tutti e nessuno le prende mai. Il genere è invece quello del romanzo che, pur discostandosi dal classico filone biografico in voga per la maggiore (e per la maggiore più simile a uno sciatto soliloquio), è stato già sperimentato in precedenza a partire dal già citato John King o da Irvine Welsh, i quali hanno già raccontato storie che vedono, in tutto o in parte, il mondo del tifo come protagonista.  Qui però è diverso il contesto e anche la scrittura di Winkler risulta più snella e anche più accattivante nella sua diversità. Certo non rispetto al migliore e scoppiettante Welsh, ma senza meno alla pletora di avanzi di pub inglesi dei cui rutti scambiati per letteratura è stato invaso il mercato editoriale.

“Hool” narra principalmente la storia di Heiko e per correlazione umana anche quella dei suoi sodali in una “firm” di hooligan dell’Hannover. Kai, Ulf e Jojo soprattutto, suoi amici di vecchia data, con i quali è cresciuto fin da ragazzino e stabilisce un rapporto di fiducia simbiotica, totale al punto da costituire l’elemento di forza del gruppo durante gli scontri su appuntamento con altri hooligan del paese. Poi c’è anche Axel, suo zio, di fatto capo della “firm” (o “ditta”, che i traduttori hanno preferito all’inglesismo sì in uso ma molto gergale) ma con il quale Heiko vive una sorta di complesso edipico. La necessità di uccidere il padre, quello vero, Heiko l’ha metaforicamente consumata già tempo addietro: non è infatti un libro incentrato sulla sola violenza, ma tratta anche di conflitti familiari, generazionali, sentimentali o anche più banalmente lavorativi e sociali, ma dai quali si può uscire con le ossa rotte peggio che in un “15 contro 15” nei boschi, perché la vita non sempre o spesso quasi mai è una favola dal lieto fine o dove vincono sempre i buoni.

Winkler è credibile nella sua narrazione, si coglie una certa sua contiguità all’argomento o quanto meno un studio molto meticoloso. Non cade mai in banalizzazioni e nemmeno nel moralismo anche solo strisciante. Se ad un certo punto può sembrare che la caratterizzazione dei suoi personaggi sia troppo schiacciata in negativo, va altresì considerato che l’hooliganismo ha una connotazione molto meno interclassista del mondo ultras e affonda in misura maggiore nel sottoproletariato urbano più disagiato. Molto coinvolgente il ritmo, in cui sia le vicissitudini calcistiche che quelle personali di Heiko e soci tengono sempre viva l’attenzione del lettore, in un crescendo di eventi che poi si chiudono in un finale piatto, quasi aperto, in cui resta alla fantasia del lettore assegnare questa o quella direzione finale al destino. Questo detto giusto per evitare qualsiasi spoiler.

Considerando che è il primo lavoro di Winkler, non gli si può che fare i complimenti, ovviamente estesi alla casa editrice “66thand2nd” che ha avuto il coraggio di tradurlo e portarlo in Italia. Per metterla ai voti, diciamo che vale un 7 pieno. Chi lo volesse acquistare, può cercare l’ISBN 978-88-3297-025-8 nella propria libreria di fiducia.

Matteo Falcone