In molti mi consigliavano di evitare la Tunisia o almeno di aspettare un po’ prima di partire, infatti la proposta di lavorare una settimana in questa terra è avvenuta qualche giorno prima dell’attentato al museo del Bardo che ha ucciso 22 persone, il 18 marzo.

Che dire e che fare? Siamo tutti potenziali vittime, questo è vero, anche sotto casa propria si può morire e non credo che non andare sarebbe stata una soluzione. Lo scopo dei terroristi, in questi casi, è di uccidere ma soprattutto incutere paura, l’obiettivo dichiarato è diffondere il terrore, ancor più se, lo sappiamo tutti, ad essere colpita è una persona occidentale, cosa che offre molto più risalto rispetto se a cadere sotto un attacco è una persona del terzo mondo. Anche sulle vittime c’è chi, purtroppo, fa una classifica a punti, basta vedere gli attentati in Kenya o in Nigeria, nazioni a detta di molti, di terza categoria.

Dunque, andare in Tunisia in questo contesto ha almeno un senso e comunque, devo dirlo, sapendo che potevo vedere almeno tre partite, mi sono definitivamente convinto. Dopo il mio giro in Algeria il mese scorso, ho la possibilità di vedere da vicino i precursori del movimento ultras in Africa, i Tunisini. Non è un fatto risaputo, ma questo piccolo paese ha visto emergere i precursori del tifo “made in Italy” sul continente.

Volo verso Tunisi provenienza Roma, lascio la capitale la domenica di Pasqua sotto un temporale pazzesco e arrivo in Tunisia dove domina il sole. In appena un’ora si arriva in questa terra bruciata dai Romani 2000 anni fa, laddove la grande Cartagine era una rivale temibile per l’Impero Romano. Dopo tre guerre puniche, Roma la conquistò definitivamente nel 146 a.C. e per essere certi che non potesse tornare a brillare di luce propria, i legionari di Scipione la rasero letteralmente al suolo ed i solchi furono cosparsi di sale, in modo che nulla potesse più crescere su questa terra. Dall’aereo si vedono le rovine di Cartagine, ora quartiere periferico della capitale tunisina, prima di atterrare.

L’aeroporto di Tunisi è ben organizzato ed i controlli dei passaporti sono veloci. Esco e compro subito un giornale, abitudine che ognuno di noi dovrebbe prendere viaggiando in un paese straniero. La mia scelta si rivela giusta, la domenica è il giorno tradizionale del calcio in Tunisia ed il dio calcio mi ripaga perché c’è una partita alle 14.30. Sono le 12.00 ed ho il tempo di buttare i bagagli nel mio alloggio e con un taxi andare direttamente allo stadio. Anche se sembra facile, sono una trentina di chilometri che devo fare per raggiungere la mia destinazione, ma la domenica vige una calma piatta ed arrivo finalmente allo stadio “Chedly Zouiten”, sede delle partite dello Stade Tunisien, mezz’ora prima del fischio d’inizio.

Questa squadra è la terza della capitale, anche se a dire la verità rappresenta la città del Bardo, che col suo sviluppo urbano è diventata nel XX secolo parte integrante di Tunisi. A livello nazionale è la quinta squadra più popolare del paese, dietro le quattro grandi : l’Espérance Tunisi, il Club Africain di Tunisi, il Club Sportif Sfaxien (di Sfax) e infine l’Etoile du Sahel (della città di Sousse) che vincono quasi tutti i titoli (dall’indipendenza del paese nel 1956, solo sette scudetti non sono stati vinti da queste quattro società).

È la prima volta che mi reco allo stadio in questo paese e mi aspetto tanta gente, la Tunisia del resto è un paese di appassionati di calcio, e ne avrò la conferma nei giorni seguenti, con decine di persone a guardare la trasmissione di una partita di serie B tedesca alle dieci della mattina in un Café. Ma quando arrivo nei pressi dell’impianto, noto solo il dispiegamento eccessivo di forze dell’ordine e quasi nessun tifoso. Vista l’atmosfera tesa dopo l’attentato nel Museo del Bardo, ciò si può capire, ma nello stesso tempo mi sembra esagerato visto il clima tranquillo che aleggia tra i pochissimi spettatori presenti attorno alla struttura sportiva.

Mi reco al botteghino dove vedo un cavallo della polizia in sosta senza forze dell’ordine nelle immediate vicinanze. Compro il biglietto per l’unica tribuna aperta, il settore distinti. Costa 5€, cifra un po’ alta per gli standard locali visto che il prezzo normale si aggira sui 3€. Per avere un’idea della situazione economica della Tunisia, basti pensare che lo stipendio medio è su i 350€.

Per arrivare nel settore ci sono due posti di blocco della polizia e subisco ben due perquisizioni quasi l’una dietro l’altra. Finalmente sono dentro e devo dire che lo spettacolo è triste, al massimo 500 spettatori sono presenti sugli spalti ed in un impianto con una capienza di 18.000 posti, la cosa fa impressione.

L’aspetto positivo è che ci sono due gruppi ultras con una cinquantina di ragazzi che si radunano dietro uno striscione e una ventina dietro l’altro. Li guardo un po’ in disparte, provo a trovare un interlocutore e per mia fortuna il primo ragazzo con il quale parlo si rivela molto simpatico e disponibile. Si chiama Marwan ed ha poco più di vent’anni. Mi spiega la situazione locale, mi dice che i controlli della polizia sono rigidi e che le partite locali di calcio sono proibite ai minori di 18 anni per ragioni di sicurezza, questo già da alcuni anni. La rivoluzione che ha spazzato via il regime di Ben Ali ha anche le sue radici negli stadi di calcio, ma tornerò sull’argomento più avanti.

Il mio interlocutore fa parte dei “Bardo Boys”, il secondo gruppo per motivi anagrafici del paese. Nati nel dicembre 2002, sono sorti dopo gli “Ultras l’emkachkhines” dell’Esperance Tunisi, gruppo pionere del movimento ultras in Tunisia ed in Africa.

Come mai la cultura ultras ha attraversato il Mediterraneo ed è arrivata pure in Tunisia? È facile, in un paese affamato di calcio e pieno di giovani, con una cultura italiana abbastanza diffusa, poteva solo emergere un’organizzazione similare a quella della penisola.

Già alla fine degli anni ‘90, le tifoserie locali hanno cominciato ad organizzarsi ritrovandosi in un settore particolare della curva, facendo gruppo (ma senza striscione) ed organizzando le prime coreografie. Le partite della serie A trasmesse in televisione o viste attraverso internet, hanno dato un segnale per questo cambiamento radicale.

Il primo gruppo è nato, come detto, per tifare una delle due società più popolari del paese: l’Espérance di Tunisi. Pochi mesi dopo, in dicembre precisamente, sono sorti i “Bardo Boys” per seguire la squadra rossoverde. Il simbolo di questo gruppo è un vichingo con l’elmetto e certe volte utilizzano l’arancione sul loro materiale.

Posso notare che anche se i controlli sono rigidi, il materiale classico può entrare, infatti hanno un tamburo, striscioni e le solite bandiere. L’età media dei componenti del gruppo è piuttosto giovane, si aggira sui vent’anni, anche se noto dietro le prime file i più vecchi, che hanno fondato il gruppo. La partita sta per iniziare e chiedo ad un poliziotto di entrare in campo per fare due scatti un po’ prima del fischio d’inizio e con mia grande sorpresa mi lascia passare: nostalgia di un tempo dove tutto era più facile… Oggi, anche in serie D, qualunque personaggio legato alla società o steward, ti manderebbe a quel paese. Non ho mai capito questo senso di prepotenza di uno che detiene una qualsiasi responsabilità: un po’ di flessibilità mentale ci permetterebbe di vivere in una società molto migliore.

Torniamo ai nostri ragazzi: posso notare dal campo che l’altro gruppo si chiama “Kaotic group” e sono una quindicina al massimo, ma il loro striscione è piuttosto grande. All’entrata delle squadre in campo, sventolano i bandieroni e alzano le due aste.

Non c’è bisogno di precisare che non ci sono i tifosi ospiti. In Tunisia, dopo la rivoluzione, tutte la partite sono state chiuse al pubblico per due motivi: sicurezza pubblica e gestione capillare degli ultras che hanno preso parte al movimento popolare. Dopo alcuni mesi, però, le partite sono state riaperte, almeno in parte, al pubblico. Cosa significa questo? Molto semplicemente i tifosi ospiti sono vietati ed al massimo possono entrare dieci mila spettatori.

Quando la partita sta per iniziare, ritorno in gradinata e mi preparo per lo spettacolo che non è la partita in quanto tale, ma è ciò che possono offrire questi ragazzi. Sono pochi ma tifano comunque per tutto il primo tempo, alcune volte riescono pure a trascinare il resto del pubblico, soprattutto quando lo Stade Tunisien attacca verso la porta degli avversari. I canti partano un po’ ovunque, anche se c’è una specie di lanciacori che nel secondo tempo si distingue. Due ragazzini poco più che adolescenti tengono il tamburo, che non è attaccato da nessuna parte. Questo ruolo, che può sembrare inutile, è molto simbolico nella formazione delle nuove generazioni, mi piace vedere questa divisione del lavoro nel gruppo, è solo una cosa positiva per trasmettere certe valori alle nuove leve, tra questi principalmente la pazienza ed il lavoro, prima di scalare la gerarchia. Tanti lo dimenticano, trovando tante informazioni sul movimento in Internet, ma è solo sul campo che i valori si imparano e non dietro uno schermo qualunque.  Tutto ciò, a ben vedere, non è colpa dei più giovani, in quanto sono la generazione degli schermi elettronici, di internet, della chat, sono nati con questi oggetti e spesso gli adulti attorno a loro, vivono per Facebook ed altre fesserie virtuali del genere.

L’aspetto interessante è l’età di questi ragazzi che si aggira su i tredici anni, pensavo lo stadio fosse proibito ai minori di diciotto anni, ma i “Bardo Boys” mi spiegano che c’è sempre una possibilità di entrare, anche con questi controlli molto severi. Vedo arrivare dopo alcuni minuti un uomo sulla sessantina con un capello da cow-boy con i colori biancorossoverdi, la tuta e la maglietta della squadra ed una bandiera attorno. Un tipo originale, molto appassionato, come si vede in ogni stadio, o meglio dire, si vedeva. Il tipo comincia a correre di fronte alla tribuna e dopo si dirige a cantare e a ballare in mezzo al gruppo. Una passione che potrebbe sembrare ridicola, lontano dei canoni “casual”, ma lo vedo come una genuinità che nel nostro calcio e che nei nostri stadi si sta irrimediabilmente perdendo. C’è, o forse c’era, almeno uno di questi personaggi in tutte le curve, fanno parte del folklore, altro che consumatori di un prodotto vuoto di senso!

Il primo tempo sta per finire e parlo di nuovo con Marwan, che mi presenta i ragazzi più vecchi del gruppo. Subito mi propongono di stare con loro e fanno una specie di cerchio tutti seduti e cominciano a cantare e pure a fare una sciarpata. Un po’ insolito come rito ma permette di dare continuità alla loro aggregazione.

Noto a qualche passo di distanza, due giovanissimi ragazzi che hanno intorno ai 10 anni e sono vestiti con la tuta sportiva della società. Sono sicuramente raccattapalle o atleti delle squadre giovanile dello Stade Tunisien. Non osano venire, ma finalmente, dopo una decina di minuti di esitazione, ecco che prendono i due aste e con l’autorizzazione degli ultras, si posizionano in basso al gruppo, tenendo con orgoglio i loro vessilli.

La partita ricomincia e con questo il tifo dei ragazzi del Bardo. Anche se in pochi continuano a tifare per i loro colori con passione e umiltà, lo slogan “Pochi ma buoni” calza a pennello.

La partita si conclude con la vittoria del Stade Tunisien e con questa la mia prima osservazione del movimento in Tunisia. Nei giorni che seguono avrò la possibilità di parlare con loro di nuovo e posso capire che l’aggregazione ultras li appassiona e che seguono con attenzione quello che succede all’estero ed in modo particolare in Italia ed in Francia. Ma avremo modo di riparlare di questo.

Sebastien Louis.