La gioia di Anthony Raffa a fine gara, con quel suo tuffo nel cuore della Curva Ancilotto, riassume tutte le sensazioni e le emozioni vissute sinora da un roster ben assortito, non eccelso, ma livellato; che ha conquistato ogni punto sudando canestro dopo canestro e impregnando le proprie maglie di fatica. “Basta che la maglia sia sudata” dice uno dei più vecchi slogan del mondo curvaiolo. E se c’è un qualcosa che a alla Virtus Roma di quest’anno non si può imputare è proprio l’impegno. “Quanto è bello essere tifosi”, esclama un ragazzo vicino a me al suono della sirena. Quando i pochi intimi del PalaTiziano esultano, quasi con la foga dei bei tempi dell’A1, per la conquista delle Final Eight di Coppa Italia Serie A2.

Un trofeo di poco conto, vero. Il cui raggiungimento tuttavia premia la tenacia dei ragazzi di Corbani e dà la possibilità alla Virtus di ritrovarsi faccia a faccia con Treviso, altra nobile decaduta del basket italiano. Nel dramma sportivo che attraversa il sodalizio capitolino è bello essere tifosi perché si riesce a gioire per un qualcosa di fondamentalmente piccolo (ma grande in confronto allo spettro della retrocessione che lo scorso anno si materializzava tripla dopo tripla nella serie playout di Porto San Giorgio contro Recanati). Anche se nessuno deve dimenticare come si è arrivati a tutto ciò. Nessuno infatti deve somatizzare l’autoretrocessione e tutto quello che essa ha comportato.

Nessuno deve tralasciare l’oblio e lo stato vegetativo al quale la città di Roma è sportivamente costretta ormai da anni. Colpa di tutti, sia ben chiaro. Perché se Toti ha le sue responsabilità, altrettante ne hanno le gestioni politiche degli ultimi vent’anni, sempre più disinteressate a fare della Capitale d’Italia un importante e funzionale polo sportivo nazionale in grado di dare speranze e alternative ai giovani. Cambiando radicalmente la cultura di una popolazione avulsa da qualsiasi contesto che oltrepassi i confini de campo di calcio. E negli ultimi tempi neanche tanto più quello, considerata la decadenza che attraversano i tifosi di Roma e Lazio e i tanti impianti sportivi calcistici abbandonati a loro stessi e sempre più sommersi da ragnatele e immondizia. Torno a dire per la milionesima volta: che fine hanno fatto la pallavolo e la pallanuoto, per esempio, che in questa città sono stati per anni sport seguiti e amati? Perché a nessuno è interessato vederli morire piano piano? Perché si è lasciato ai soliti noti la possibilità di speculare per poi lasciare il Deserto dei Tartari?

Tutto il resto viene da sé. Compresi i fedelissimi che neanche in questo recupero infrasettimanale hanno voluto abbandonare la squadra e l’hanno incitata fino all’ultimo istante di un match incredibilmente tirato, sebbene di fronte ci fosse l’ultima della classe. Ma questa è una delle poche costate delle ultime due stagioni. Nulla da segnalare sul fronte ospite. Nessun tifoso giunto dalla Campania.

Simone Meloni