Quando si entra in un tempio, anche se si è atei o addirittura miscredenti, generalmente si ha comunque una sensazione di profondo rispetto. Il tempio è la casa di una fede, l’anfratto che ha raccolto, raccoglie e raccoglierà centinaia di persone unite da un solo filo conduttore. Quando un tempio viene sconsacrato, profanato e abbandonato è un colpo al cuore per chiunque ami l’arte, la storia e le tradizioni popolari. Nello sport questi aspetti spesso coincidono con la vita e, per chi ha a cuore i vecchi tempi del nostro calcio, è triste trovarsi davanti a uno scenario come quello dello stadio “Fratelli Ballarin” di San Benedetto del Tronto.

Siamo sul lungomare della città marchigiana, dove l’impianto, intitolati ai due fratelli scomparsi nella Tragedia di Superga, è situato. Prima di realizzare il servizio su Sambenedettese-Campobasso pensiamo bene di parcheggiare la macchina nei pressi dello stadio e tentare di accedervi per scattare qualche foto. Evitando una decina di siringhe che ci fanno da benvenuto, raggiungiamo una porticina dipinta di rossoblu socchiusa; basta un po’ di sforzo per aprirla ed essere sul campo. Quel prato dove Pier Paolo Pasolini giocò il suo ultimo incontro prima di essere ucciso all’Idroscalo di Ostia e dove la Samba ha costruito le sue fortune negli anni ’70 e ’80 con lunghe cavalcate in Serie B, buoni campionati a ridosso della zona promozione e battaglie epiche in cui il “Ballarin” diveniva il vero e proprio dodicesimo in campo. Purtroppo è anche stato teatro di una tragedia, la più grande consumatasi all’interno di uno stadio italiano.

Era il 7 giugno del 1981 e i rossoblu ospitavano il Matera, in una giornata in cui l’intera città avrebbe festeggiato il ritorno tra i cadetti degli adriatici. Prima del fischio d’inizio un rogo, facilitato dalla massiccia presenza di carta (portata con scopi coreografici), scoppia nel settore caldo del tifo sambenedettese. Molte persone, nel tentativo di fuggire, rimangono intrappolate tra le fiamme che si fanno sempre più alte, mentre le chiavi per la porta d’emergenza non si trovano (una situazione che ricorda un altro lutto balzato all’onore delle cronache in epoca più recente, quello del napoletano Sergio Ercolano ad Avellino) e l’idrante più vicino non funziona. Si conteranno due vittime (ragazze di 21 e 23 anni) e 11 ustionati gravi. Allora come oggi, il calcio dimostrò ben poca sensibilità verso simili fatti e il direttore di gara Paolo Tubertini, seppur con 16 minuti ritardo, fece disputare ugualmente l’incontro.

Quello che ci troviamo di fronte è un edificio in totale stato di abbandono, nonostante all’interno ci siano gli uffici della Croce Verde e la sede della locale squadra di rugby. Se il terreno di gioco è spelacchiato e mal messo, le tribune versano addirittura in condizioni peggiori. Pericolanti, scoscese e sporche. Di quella che un tempo fu la tribuna stampa rimane solo una gabbiotto arrugginito con l’erba che cresce liberamente al suo interno, mentre bagni e uscite sembrano esser state vittime dell’invasione tedesca ai danni della Polonia. Malinconici rimangono appoggiati sugli spalti i numeri usati un tempo manualmente per annunciare le sostituzioni. Tutto mette grande tristezza. La Sud, alla nostra destra, un tempo catino ribollente dell’Onda d’Urto e oggi lastricato di cemento ingombrante a pochi passi dal porto, ne avrebbe di storie da raccontare. Agli amanti del cinema cult non sarà poi sfuggito che l’inizio del film “L’allenatore nel pallone” è tratto proprio da una partita svoltasi al Ballarin; si tratta della penultima giornata del campionato 83/83 tra Sambenedettese e Pistoiese.

Il futuro dello stadio appare ancora incerto. Nel 2007 è sorto un comitato Pro Ballarin con l’intenzione di sensibilizzare il comune e le istituzioni sambenedettesi a ridare vita e ragione d’essere al vecchio impianto. Nel 2010 il sindaco Gaspari ne aveva annunciato l’abbattimento ma l’area è soggetta al veto della sovrintendenza che ha ritenuto la facciata Sud intoccabile per motivi architettonici. Così lo stadio rispunta fuori di tanto in tanto, quando al comune servono immobili per stringere accordi con privati, tipico vizio prettamente italiano. Intanto gli anni passano e il Ballarin di San Benedetto del Tronto, come il Dorico di Ancona, il Flaminio di Roma, il Delle Vittore di Bari etc etc sembrano essere dei veri e propri pesi morti che i comuni non sanno (e non vogliono) gestire con logica e raziocinio. I tifosi rossoblu tornerebbero volentieri a rioccuparne le gradinate, considerato il loro astio nei confronti del nuovo Riviera delle Palme, considerato dai più un luogo foriero di sfortuna ed annate disastrose. Inaugurato nel 1985, infatti, ha visto i marchigiani disputare gli ultimi quattro anni di Serie B della propria storia prima del crollo verticale che ha gettato la Samba in una spirale fatta di Serie C, Dilettanti, Play-Off per la B persi e ben quattro fallimenti. La speranza è sempre l’ultima a morire, ma nel paese delle chiacchiere e del pressapochismo, chi di speranza vive disperato muore.

Simone Meloni