È uscito, edito dagli amici della casa editrice “Coessenza”, il libro “Una vita da molosso”. Come si evince dal sottotitolo, “La storia di un ultras da quarant’anni in prima linea”, racconta attraverso le parole e i ricordi di Aniello Califano (l’ultras in prima linea di cui sopra) tutta l’epopea del tifo della Nocerina, con la collaborazione di Giuliano Cuccurullo.

In 300 pagine, formato 15×21, nelle quali è bene precisare che non ci sono foto, è racchiusa la vita di Aniello, uno dei pochi ultras della prima ora, e il suo percorso personale sugli spalti diventa paradigmatico della storia degli ultras nocerini. Dagli inizi a oggi, dai primi anni settanta ad alcune digressioni agli inizi del secolo scorso con alcune chicche giornalistiche dell’epoca.

Si passa dai fedelissimi delle due Nocera ai “Mastiffs’ Supporters”, “Balls Breakers” negli anni ’80, “Estranei alla massa” negli anni ’90 fino alla conformazione che poi ha preso la curva oggi.

Il libro è in vendita al costo di 12 € più spese di spedizione. Lo potete acquistare anche attraverso il nostro sito, inviando una mail all’indirizzo libri@sportpeople.net al quale restiamo a disposizione anche per ulteriori informazioni.

Di seguito, l’introduzione. Chi volesse leggerlo tutto, non ha che da contattarci.

“Donne e bambini fuori!”… che gli incontri di calcio per noi Nocerini non sono semplici partite di pallone l’ho capito prima ancora di cominciare ad andare a scuola. Non avevo ancora compiuto sei anni e quando la Nocerina pareggiò il vantaggio del catania nello spareggio per la Serie B, giocato a Catanzaro, nel giugno del Millenovecentosettantotto, i carabinieri si presentarono nel punto della tribuna dove coabitavamo con siciliani e calabresi per far uscire le donne e i bambini, perché non sapevano come garantirci l’incolumità, visto che su di noi pioveva di tutto e intorno, tra coltellate e qualche pistola sventolata come una bandiera, scoppiavano risse di continuo. Così, mentre la Nocerina tornava in Serie B, noi aspettammo papà appoggiati alla nostra macchina parcheggiata in mezzo a quelle di persone che parlavano un dialetto diverso dal nostro, per coprirne la targa, come aveva fatto una signora sconosciuta di Catanzaro che sbucò dal nulla con una sedia per piazzarsi davanti la targa di una delle due nostre auto e mettersi a lavorare all’uncinetto, come se niente fosse.  A pranzo non era andata meglio: mangiammo in una trattoria al centro della città con le saracinesche abbassate e, mentre eravamo seduti a tavola, in un locale dove c’erano solo famiglie Nocerine, qualcuno all’esterno passò tutto il tempo a bussare alla serranda, almeno era quello che pensavo io. Quando uscimmo, la nostra comitiva eravamo in tutto due famiglie, quattro adulti e cinque bambini, dovemmo camminare facendo attenzione a dove mettevamo i piedi per la marea di pietre di tutte le dimensioni che facevano da tappeto; sembrava di essere su di una spiaggia del litorale calabrese piena di sassi. In realtà, era solo passato uno dei tanti cortei formati da centinaia di catanesi a caccia di Nocerini prima della partita.

Trascorsi nemmeno due mesi e ho capito che la Nocerina è una fede.

Papà che negli anni della presidenza Maiorino dava una mano in Società, come tanti altri Nocerini nel corso degli anni, improvvisamente illuminato, quasi per farsi perdonare per il tempo sottratto alla famiglia, volle fare un regalo a mia mamma, molto devota, portandola fino a Torino in treno a vedere una delle rarissime uscite mondiali della Sacra Sindone, il telo in cui si ritiene sia stato avvolto il corpo di Gesù Cristo dopo la Crocifissione. E, guarda caso, in quegli stessi giorni la Nocerina era di scena al Comunale di Torino contro la Juventus, per la Coppa Italia professionisti del campionato ’78/9 che, naturalmente, andammo a vedere. La Nocerina aveva compiuto un miracolo

Quattro anni dopo, rivoluzione e vacanze anticipate a scuola.

Il 2 giugno del 1982, mentre ero in classe, era mercoledì, dovetti tornare a casa, perché la scuola che frequentavo, come tutte le altre, durante le lezioni, venne fatta evacuare all’improvviso, perché Nocera era insorta contro una decisione ingiusta della Lega e aveva fatto della Città una grande barricata contro le istituzioni del calcio e non solo. I tumulti durarono tre giorni in una Nocera assediata dalle forze di polizia accorse da tutto il Meridione per spegnere i focolai di rivolta che spuntavano come funghi, sotto piogge di lacrimogeni e violente cariche, nelle strade e tra i vicoli della Città.

Le cronache sportive e la storia testimoniano che noi Nocerini abbiamo sempre avuto un temperamento, come dire…, irruente; abbiamo sempre partecipato con grande accanimento alle manifestazioni sportive, da spettatori abbiamo sempre cercato di decidere noi l’esito finale delle partite, come se fossimo noi a giocare, e nessun simbolo più del Molosso, conquistato sul campo1, poteva esprimere meglio quell’indole rabbiosa che ci contraddistingue, una caratteristica che, oltre a rispecchiare la nostra esuberante identità, ci ha portati ad avere nel corso degli anni anche tanti nemici in tutta la Penisola. L’odio nei nostri confronti è testimoniato dalle scritte anti-Nocera che compaiono un po’ ovunque, dalla Sicilia al Veneto, accanto a quelle che, ovviamente, abbiamo lasciato noi. Ma è una storia moooolto vecchia questa, infatti, una delle più antiche iscrizioni arrivate intatte fino ai giorni nostri è:

Nucerinis infelicia2, guai ai Nocerini.

Incisione che campeggia dal I secolo d. C. sui resti dell’antica Pompei, nei pressi dell’anfiteatro, dove si svolgevano i giochi gladiatori. Un grido di minaccia che custodisce una profonda ostilità verso Nocera e i suoi abitanti che nemmeno il tempo riesce a scalfire. Un avvertimento che, oggi, suona come una maledizione che ci portiamo dietro da secoli. Ed è inutile sottolineare che quelli, i guai, non ce li siamo mai fatti mancare. In un’altra iscrizione, ritrovata sempre sulle rovine dell’antica Pompei, compare anche un: (…) omnibus Nucherinis felicia (…) 3, la cui traduzione è una sorta di viva i Nocerini. Un’altra ancora, rinvenuta sempre sulle rovine dell’antica città vesuviana, sotto la figura di un gladiatore recante la palma della vittoria, è <<Campani, victoria una cum Nucerinis peristis, Oh Campani, siete morti insieme con i Nocerini in quella vittoria>>, riferita agli scontri nell’anfiteatro pomepiano del 59 d.C., raccontati da Tacito nei suoi Annali4, incisione alla quale qualcuno, molto probabilmente un Nucerino, a suo tempo rispose facendo pensare ad accuse di codardia rivolte ai vesuviani, con una parola incompleta che inizia con <<metu…5>>. A testimoniare che ‘a capa è semp’ chell… Che siano tragedie o commedie, passano i secoli, ma a Nocera si battaglia, s’intrallazza, si chiagne e si fotte sempre allo stesso modo. Come se il tempo non passi mai per chi porta ovunque, oppida lasciva6, Nocera nel cuore.

Tre campionati dopo, a torneo in corso, cominciai il mio primo anno da ultras, ma durò una sola giornata. Era l’84/5 e a Nocera, quando mancavano meno di dieci partite alla fine del torneo, era di scena la capolista palermo. Quella domenica per un’invasione che proprio invasione di campo non fu avemmo il San Francesco squalificato per 5 giornate, praticamente per tutte le gare interne che restavano da giocare fino alla fine del campionato.

Erano quelli gli anni dei Mastiffs Supporters e dei Balls Breakers, gruppi di ragazzi che negli anni Ottanta, con il proprio entusiasmo, avevano restituito alla Città la sua stessa energia. In quel periodo in piazza a Nocera o avevi la tessera dei Mastiffs o quella dei Balls, e’ chiù bucchin’, quelli che erano avanti, le avevano entrambe. In una città dormitorio, nella quale i giovani combattevano da soli le proprie guerre quotidiane, mentre intorno politica, droga e camorra uccidevano qualsiasi speranza sul nascere, c’era voglia di farsi sentire, c’era voglia di scassare tutto. C’era voglia di un altro mondo. E gli M’S nel loro pezzo di Curva si sono riappropriati di uno spazio dove c’era posto per i Sogni di ognuno di noi. Poi con il fallimento dell’A. C. Nocerina 1910, avvenuto nell’estate del 1988, ci fu il buio; vennero spenti i riflettori che non avevamo, allo stadio come in Città. Una sorta di limbo dalle dimensioni temporali di quattro anni che ha lasciato, dall’88/9 al ’91/2, la gioventù di una Città difficile senza alcun punto di riferimento. Dall’estate del 1992 poi, con il ritorno in società del compianto e indimenticabile don Antonio Orsini alla presidenza, con una squadra allestita per vincere e, soprattutto, un programma che puntava a riportare Nocera tra le grandi, ci fu il risveglio e il boom degli ultras in Città. Iniziò l’epoca degli Estranei che in poche domeniche si ritrovarono con un seguito per noi spaventoso, impensabile solo pochi anni prima. Nocera tornò a risplendere della vitalità dei propri ragazzi. Nacquero tanti gruppi, anche troppi, che contribuirono ad affollare il San Francesco. Una delle tante sere della prima metà degli anni Novanta passate in piazza Municipio a organizzarci per la domenica successiva, Nando che con Angioletto, Aniello e Aurelio aveva ideato gli Estranei, mi chiese un nome per un nuovo gruppo e fu così che Aniello Califano, Nando Mostacciuolo, Angelo Riviello, Aurelio Del Regno, Aniello Milite, Raffaele Pepe, Mauro Zarrella, Antonio Spiniello, Ciro Salvio, Costantino Zambelli, Mimmo Genovese, Maurizio Pisciottano, Nicola Califano, Gino Grimaldi, Pierino o’ per’ ‘e ‘nzalat, Maurizio o’ zio, Maurizio Ventura, Checco Innamorato e io, formammo gli Anonimi Alcolisti. Erano anni in cui passavamo le serate all’angolo del Comune, lato bar Ideale, in una piazza Municipio stracolma di gente che si preoccupava di come spendere tempo e denaro per divertirsi e che ci guardava dall’alto verso il basso, a parlare di Nocerina, di ultras e a fare striscioni contro tutto e tutti. Quasi sempre era Aniello Califano, uno degli ultras più vecchi della Curva che da quarant’anni segue la Nocerina, a raccontare attraverso le proprie esperienze fatti e aneddoti della nostra gente, un po’ come facevano gli anziani delle tribù indiane confinate nelle riserve, i quali di sera raccoglievano i più giovani intorno al fuoco per tramandare, con le parole, la storia e i valori del proprio popolo.

Questo libro è nato una di quelle sere e, è bene sottolinearlo, non è il manoscritto di alcun gruppo, è solo un ripercorrere, senza presunzione e con la massima umiltà, la storia degli ultrà di Nocera attraverso quella di uno dei tanti ultras Nocerini innamorati di quella Maglia e della nostra terra. Questo libro, dunque, nasce oltre venti anni fa, ma solo oggi vede la luce, dopo interminabili serate durante le quali, tra un ricordo e l’altro, ho aiutato Aniello a mettere su carta molto di più dei quasi quarant’anni di barricate Molosse da lui vissute in prima linea, e l’ho supportato nella ricerca dei riferimenti storici e bibliografici di quell’Urbula7 che nell’antichità parlava il Nocerino8.

Questo manoscritto è una di quelle chiacchierate tra Anonimi condivisa, attraverso le pagine che seguono, con gli ultras della Curva di oggi in primis. Un’esperienza collettiva narrata in forma individuale. Per raccontare loro quello che eravamo che è ciò che ci ha portati a essere quelli che siamo, per descrivere a grandi linee, attraverso i cambiamenti degli ultras Molossi, anche i mutamenti, con evoluzioni e passi indietro, dell’intero movimento ultras italiano, dalla nascita ai nostri giorni. Per parlare dei cambiamenti degli ultimi trentacinque/quarant’anni, a cominciare da come si è andati in trasferta fino agli anni Ottanta, per finire a come è poi cambiato, con tutte le relative degenerazioni, il modo di seguire la propria squadra nei decenni successivi, in conseguenza, anche, della militarizzazione degli stadi e delle sempre nuove norme repressive attuate dai Governi che si sono succeduti, i quali, indipendentemente dal colore, come se fosse sempre lo stesso interlocutore, legislatura dopo legislatura, ciecamente o volutamente, hanno sempre visto l’incrementare della violenza negli stadi come un fenomeno circoscritto all’evento sportivo in sé, liquidando, come d’altra parte tutte le istanze sociali del Paese, uno dei fenomeni sociali aggregativi di giovani più grande d’Italia, se non proprio il più condiviso, a mero problema di ordine pubblico, limitando di fatto, come se non fossimo cittadini come gli altri, i diritti dei tifosi all’interno degli stadi posponendoli in modo indiretto agli interessi particolari di società e aziende. Sistema traslato nella vita di tutti i giorni. Uno Stato di cose in cui i fenomeni sociali fuori razza come il nostro (fuori razza perché non c’è business che venga prima delle persone e delle loro passioni condivise) diventano di diritto una minaccia per un potere sempre più privato che persegue preminentemente logiche di profitto; fermo restando che gli ultras italiani dell’ultimo quarto di secolo hanno le proprie grosse responsabilità in tutto ciò, per aver fornito, volenti o nolenti, l’alibi a tali “politiche”, travisando ed esasperando non poco l’essenza dell’essere ultras dietro parole come mentalità, ideale e via dicendo ma, questa, è un’altra storia. Quella di Aniello è un po’ quella di tutti noi ultras Nocerini che siamo cresciuti dietro uno striscione Molosso. Difese da quei drappi, sotto gli occhi di Aniello bambino prima e al fianco di Aniello ragazzo e uomo poi, si sono svolte parti importanti della vita di tanti ragazzi di Nocera. Dai Fedelissimi delle Due Nocera negli anni Settanta, ai Mastiffs Supporters e ai Balls Breakers negli anni Ottanta, fino agli ultras di oggi, passando per gli Estranei degli anni Novanta, campionato dopo campionato, intere generazioni di tifosi dalle mille storie diverse e dalle mille provenienze sociali differenti si sono mischiate dando vita a un mondo per certi versi parallelo a quello reale, fatto di emozioni; una Città nella città, dove si è tutti uguali, perché non si è considerati per quello che si ha o per la posizione che si occupa, ma solo per i Colori del proprio cuore. Disoccupati, studenti, professionisti, pregiudicati, operai, delinquenti, incensurati, volontari, impiegati, sfaticati, machiavelli, imprenditori e chiunque altro, ognuno ha arricchito con il proprio vissuto la nostra Curva e le nostre vite. Un ambiente complicato da capire dall’esterno, infatti non tutta Nocera, per usare un eufemismo, ama la Nocerina e i suoi ultrà; a volte anche gli altri tifosi non sono dei grandi fan degli ultras, specie quando non sono come vorrebbero,  ovviamente, non è che debbano essere amati per forza, però la cosiddetta città bene ci ha sempre guardato male, per certi versi escluso dalla propria, come se prendessimo vita solo allo stadio o che fingessimo di essere altro nel resto della settimana, però è comprensibile. Dal di fuori è difficile vedere in centinaia di scalmanati qualcosa di diverso di una insensata follia per un pallone; da lontano non traspare molto altro. I luoghi comuni sulla massa, poi, abbondano sulla bocca dei signor sotuttoio che hanno la fortuna di sapere sempre che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Però, con tutte le proprie contraddizioni, sotto le insegne della Nocera ultras sono passate tante tra le sensibilità più vere della Città. Il che non vuol dire si tratti di persone migliori di altre, ci mancherebbe pure, questo libro non vuole essere un’apologia né una rivendicazione né chi sa che altro, ma è solo la storia di una Curva nella quale ci sono da sempre ragazzi con pregi e difetti come tutti gli altri che, ogni giorno, si alzano alle cinque di mattina per andare a lavorare, o che portano avanti la propria famiglia, o che a fatica ne mettono su una, o che studiano tutto il giorno, o che cercano solo di avere una possibilità, o che hanno preso strade sbagliate, o che si sono affermati, o che non ce l’hanno fatta; o che se la giocano a modo proprio, e tutti, in una quotidianità di sacrifici, indossano, con dignità e con il sorriso, la bellezza dei propri Sogni; e stare insieme, uniti, è la loro forza. Una realtà vera, spesso cruda, dove goliardia e violenza a volte parlano le stesse parole, ma dove basta cantare un coro per diventare tutti una cosa sola. Un mondo dove per novanta minuti non c’è spazio per la solitudine che il tempo accresce dentro di noi e dove niente è impossibile; un mondo nel quale ci si sente amici anche di persone che non si conoscono e che ci tiene legati anche a chi non c’è più, come quegli amici per i quali la vita non ha avuto tempo da perdere. Questo libro è dedicato anche a loro, a quelle facce prepotenti per chi non le conosceva, ragazzi che davano del tu alla vita senza essere ricambiati, ma che la Nocerina faceva sentire importanti e che riusciva a tirare fuori il meglio di ognuno di loro. Come a ognuno di noi, cui, a seconda della generazione, come se avessimo tutti perennemente l’età delle illusioni, bastava un’apertura di Busidoni, una giocata geniale di Mambrin, una prodezza di Cremaschi, una doppietta di Devastato, una rovesciata di Bozzi, una rabona di Roccotelli, una corsa sotto la Curva di Pallanch o un’esultanza di Evacuo per farci credere che i Sogni possono essere realizzati. Noi che mentre i nostri coetanei parlano di comprare casa, cambiare fuoristrada o allargare l’azienda, stiamo ancora a discutere su quale Molosso stampare su di una maglietta, perché Amalia, la figlia piccola di Angioletto, dice che quello che abbiamo usato è poco ultras, sembra Braccobaldo, e ci ritroviamo quello che era il gioco di tutti trasformato, invece di essere tutelato, in un trogolo senza fondo per società di scommesse (una volta monopolio della malavita organizzata oggi dello Stato), per chi trae profitto dai diritti televisivi (gli unici realmente inalienabili in questo Paese) e per affaristi imbarazzanti che, implicati sempre più spesso in ogni sorta di reato a cominciare da quelli finanziari, s’inventano presidenti di calcio per ricostruirsi l’imene e che trovano consenso, solo per la forza economica di cui dispongono, indipendentemente da come se la siano creata, proprio nella politica, nei media e nell’opinione pubblica, quegli stessi che si scandalizzano invocando la tolleranza zero per una rissa allo stadio o per uno striscione ultras (non che siano azioni meritevoli d’impunità), e che, guarda caso, sono la nuova classe dirigente, le nuove “eccellenze” umane e imprenditoriali, di un Paese che non ci vuole, se non per rivenderci le nostre passioni, prima di escluderci nuovamente da ciò che appartiene anche a noi.

Sono tempi molto duri per i Nocerini, e non solo; se fino a ieri chi doveva garantire a tutti le stesse opportunità ci ha tolto tutto, anche la speranza, oggi per farci l’ennesimo business ci sta togliendo anche quel piccolo spazio di felicità che da più di un secolo ci siamo ritagliato e per il quale ne abbiamo passate tante al punto di compromettere, a volte, amicizie e affetti. In questa realtà, per noi che da ragazzi volevamo spaccare il mondo e tutte le sue ipocrisie cantando in una Curva, le facce dimenticate degli amici che non ci sono più, quelle sconosciute dei tantissimi ragazzi che con passione e umiltà, generazione dopo generazione, hanno dato voce al vecchio cuore Molosso della Sud e quelle dei ragazzi della Curva di oggi che per quella Maglia sono sempre dalla parte opposta al pensiero comune, anche a costo di andare contro l’intera Tifoseria, sono le bandiere più belle della Nocera più bella di sempre. Una Città con la C maiuscola, vivida, allegra, senza differenze tra le persone, fatta di fumogenate colorate, di preoccupazione per gli amici arrestati, di adesivi, di canti, di balli, di lividi, di lutti inaccettabili, di scritte sui diari, di battimani, di collette per gli amici in difficoltà, di striscioni, di legami indissolubili, di sbagli, di tamburi che rullano incessantemente; del senso di libertà che dà lo sventolare una bandiera Rosso Nera al vento, vittoriosa, sempre e comunque, che, però, sa essere violenta, inespugnabile e aggressiva, per difendere se stessa e i propri figli. Questa Città, che forse esiste solo nei nostri Sogni ma che continuerà a vivere per sempre, anche quando noi non ci saremo più, è quel dove basta essere sotto l’ombra di un vessillo Molosso per dimenticare tutti i guai e sentirsi vivi, invincibili e immortali. Come ogni volta che siamo entrati in uno stadio nemico che ci stava aspettando, innalzando al cielo, in segno di sfregio, i vessilli della nostra rabbia e della nostra Città.

Note:

1

Alfieri, Iannone, Spina, Piccolo, Zanetti, Franzese, Vittorioso, Petrosino III, Ceresoli (autore del gol vittoria), Accarino e Cascone, allenati da mister Gabola è la formazione che durante l’amichevole vinta contro il napoli, all’Arenaccia di Napoli, in uno stadio gremito di accesi tifosi partenopei, il cronista definì Molossi, simbolo adottato in seguito dalla società.

2

CIL IV.

3

CIL IV.

4

Tacito nei suoi Annali, libro III (XIV, 17 e segg.), racconta degli scontri avvenuti nell’anfiteatro di Pompei tra Nucerini e pompeiani, nel 59 d.C.. Tafferugli documentati da un affresco di IV stile che faceva parte di un fregio con combattimenti gladiatori dipinto sul peristilio di una casa pompeiana di cui si ignora il proprietario, ribattezzata per l’appunto dell’affresco, e custodito presso il Museo Archeologico di Napoli. La zuffa, che causò numerosi morti e feriti, è riconducibile alla discordia tra i cittadini delle due città accentuata in quel periodo, il 57 d.C., dalla decurtazione per i pompeiani di alcuni territori in favore di Nuceria, divenuta colonia romana da poco. La gravità dell’accaduto provocò l’intervento dell’allora Imperatore Nerone*(4a), proprio quello passato alla storia per la propria follia, che impose la chiusura dell’anfiteatro per dieci anni e punì il pompeiano Livenio Regolo, l’organizzatore dei giochi, con l’esilio.

La condanna farebbe pensare che venne riconosciuta una premeditazione, una vendetta pianificata contro i Nucerini.

Per quanto riguarda quello che successe nell’arena vesuviana, Tacito racconta che si cominciò con dei lazzi alquanto pesanti, poi volarono pietre, e si finì con le armi. La plebe di Pompei ebbe la meglio. Molti Nucerini tornarono a casa mutilati e molti persero un figlio o un padre. Tali scontri, oltre a essere la causa della prima squalifica di campo della storia, dopo il cosiddetto derby farsa del 10 novembre 2013 sono stati spesso citati dai media, anche nazionali, per sottolineare l’eterna propensione dei Nocerini alle risse, omettendo il piccolo particolare che molto probabilmente allora i Nucerini furono le vittime di un’imboscata. E chi sa che, parafrasando Marx con le dovute proporzioni, la storia non si sia ripetuta due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come derby farsa.

*(4a)

Un po’ lo specchio dei politici di oggi che sfruttano la Cosa Pubblica per curare i propri interessi elargendo favori e concessioni ai propri amici a danno di beni pubblici e diritti, scatenando velatamente le cosiddette guerre tra poveri, per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalle proprie malefatte, per poi ripresentarsi agli stessi cittadini come uomini delle Istituzioni, i salvatori della patria dal pugno di ferro, chiudendo, vietando e privandoli dei loro stessi diritti, in nome della sicurezza messa in discussione proprio dalle proprie leggi. A loro vantaggio.

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CIL IV

6

Oppida lasciva: Con l’esuberanza tipica dei provinciali.

È l’espressione che Tacito usa nel libro III degli Annali per descrivere l’atteggiamento di Nucerini e pompeiani che diedero vita agli scontri dentro l’arena di Pompei nel 59 a. C..

7

Radici Nocerine. La storia al servizio del futuro. – Francesco Belsito – Editrice Gaia.

Nell’età imperiale si pensa che l’antica Nuceria venisse definita Urbula, cioè piccola Roma. A riguardo esistono due tesi, la prima vuole Nuceria una piccola Urbe, potente e produttiva, quindi Urbula. La seconda invece sostiene che possa essere intesa in senso ironico, per sottolineare l’esatto contrario di una città civile. Il fatto che Nuceria batteva moneta e che Pompei, Stabia e Marcina, l’attuale Vietri sul Mare, da più fonti, vengono additate come gli sbocchi della Città sul mare farebbe pensare che la tesi più credibile sia la prima.

8

Si pensa che Nuceria avesse un alfabeto proprio, perché in località Pareti di Nocera Superiore, nei pressi del teatro ellenistico romano di Nuceria Alfaterna, VI – V secolo a.C., è avvenuto il ritrovamento su di un vaso da vino di una serie di segni incisi o graffiti unici al mondo, le cui caratteristiche fanno pensare a una derivazione diretta dell’alfabeto etrusco. Wikipedia.com