L’impresa del giorno, ad Euro2016, è quella dell’eliminazione dell’Inghilterra per mano dell’Islanda. Gli stessi inglesi lo chiamerebbero “Giant killing”, anche se forse il gigante non è più tale ormai da tempo, almeno non in nazionale laddove non può importare grandezza come fa all’interno del proprio campionato. Con capitali spesso esteri, all’interno delle sempre odiose logiche del calcio attuale, dove lo sport, nella sua accezione più romantica, entra in conflitto all’interno di competizioni in cui c’è ben poco di sportivo nel contrapporre fioretto contro mitragliatore.

Tra la diffusa euforia mediatica per la qualificazione dell’Italia di Conte ai danni della sempre invisa Spagna, s’è fatta breccia la piccola Islanda con la solita analisi multiforme con cui la malsana pletora di siti e organi di informazione ha bisogno di auto-alimentarsi.

Al di là del mero aspetto tecnico-tattico, l’Islanda ha riscosso consensi unanimi per l’esultanza finale in cui giocatori e tifosi si uniscono in un battimani ritmato. Varie testate, grandi e piccole, si sperticano in lodi: “da brividi”, “emozionante”, qualcuno tira in mezzo i vichinghi e c’è infine persino chi ce la passa come la “Haka” islandese, ma qui già siamo agli esercizi retorici frammisti a metafore storico-linguistiche forzate se non addirittura patetiche.

Chi ha voluto vaneggiar meno, ha riportato fino a noi la denominazione “Geyser sound” per questo particolare tipo di rituale che si è consumato, già prima di quest’ultima gara contro l’Inghilterra, fra calciatori e tifosi. La maggior parte dei giornalisti ha invece tentato di “commuovere il web” su quanto sia bella questa totale simbiosi fra pubblico e atleti, su quanto sarebbe utopico portar da noi certe cose e via di questo passo, di blaterate in blaterate.

Il problema, cari e distratti osservatori del mondo para-calcistico, senza voler rivendicare paternità difficili da stabilire quanto velatamente mitomani, che questo tipo di “costume” è abituale nei nostri stadi da almeno un decennio. Se sia del tutto nostro è appunto difficile dirlo: personalmente l’ho visto fare la prima volta ai cavesi con il loro “Zumb Zumb Uagliò” i cui primi video, da una velocissima ricerca, risalgono al 2006-07. Lo stesso coro si è visto in innumerevoli varianti, in innumerevoli Curve, in una trasposizione a volte poco originale e discutibile, altre volte sicuramente bella. Mai nessuno di quegli stessi giornalisti s’è emozionato o ha avuto i brividi.

Nel villaggio globale succede comunque così, tutto avviene talmente in fretta e così su vasta scala che è poi difficile ricostruirne i movimenti: di fatto, a prescindere da questioni temporali, in tantissimi altri stadi, in Germania come in Turchia, in Norvegia come in chissà quale altro angolo remoto del mondo, si è già visto qualcosa di non molto dissimile. Persino gli stupidissimi speaker degli stadi hanno tentato di appropriarsi di questa tipicità figlia della cultura popolare del tifo, con risultati che vanno dal posticcio al grottesco passando per l’orrido: ancora più stupidi di loro sono solo quegli ultras (o presunti tali, sarebbe meglio dire) che, in curva, si prestano a fare cori “a rispondere”.

Che i giornalisti non se ne siano mai resi conto prima, non sorprende. Non se ne può far loro una colpa, obnubilati come sono dalla pratica dell’obbedienza acritica. Dovrebbero però tenere a mente, a proposito di obbedienza, una regolina semplice semplice che i loro padroni calcistici hanno dettato tempo addietro: la FIGC ha stabilito che ai giocatori nostrani è vietato recarsi sotto la curva e i trasgressori saranno sanzionati con una multa. Se i giocatori dell’Islanda fossero tesserati per la FIGC, paradossalmente potrebbero essere multati da Tavecchio o stigmatizzati in qualche intervista da Tommasi.

Beninteso, bellissime le scene islandesi, ma prima di ogni volta che i giornalisti vogliono incensarle e ammorbarci con la loro ipocrisia, si ricordino che stanno facendo apologia di quello che (a livello federale) è un reato. Ne potrebbe andare del loro rapporto di subordinazione al potere calcistico. Se tutto ciò non è possibile in Italia, se queste scene da noi non le (ri)vedremo mai, se la gente non va allo stadio (ammesso e non concesso che ciò dipenda da qualche canzoncina calciatori-ultras) la colpa è anche vostra. Raccontate meno favole e raccontate più verità, magari a partire da quelle che dovreste raccontare a voi stessi.

Matteo Falcone.

 

Edit. Puntualizzazioni e considerazioni a margine.

La FIGC, all’art. 12 “Prevenzione di fatti violenti”, comma 9, del proprio Codice di Giustizia Sportiva, prevede che:

Ai tesserati è fatto divieto di avere rapporti con esponenti e/o gruppi di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società.

Questo altissimo discrimine con cui si distinguono grossolanamente tifosi buoni dai tifosi cattivi (quelli che non sono “convenzionati” con la società) lascia ampia discrezionalità agli organi federali di procedere a proprio piacimento. In alcuni casi, leggasi multe all’Atalanta per l’addio al calcio della Curva Nord a German Denis, si è avuta la più che concreta sensazione che l’organo giudicante della FIGC abbia agito quasi per rappresaglia. Come si può sanzionare una manifestazione di tal genere? Nel contesto di un oratorio? Fra abbracci, lacrime, cori di festa e nessun tipo di comportamento fuori dalle righe? A questo punto, anche un battimani “alla Islandese” sotto la curva degli ultras, quindi dei “non convenzionati”, sarebbe paradossalmente passibile di multa, ancor più se al posto degli islandesi ci fossero tifosi storicamente malvisti a livello istituzionale.
Che poi, tanto per portare il ragionamento agli estremi, se pure la curva non avesse tifosi “convenzionati”, al suo interno ci sarà pure qualche possessore di tessera del tifoso? E quella è o non è una convenzione firmata con la società? E come fanno a controllarla a priori gli inquisitori dell’ufficio indagini della Figc? Come fanno a sapere con assoluta certezza, Torquemada e soci, se fra i presenti alla festa d’addio a German Denis, per esempio, non ci fosse qualche possessore di tessera?

Si è voluto semplicemente e come sempre creare uno strumento che lasciasse discrezionalità ampia e possibilità di rappresaglia agli organi calcistici nei confronti dei tifosi “non convenzionali”, per estensione gli ultras. Non leggere questa indicazione fra le righe del precedente scritto, ma accanirsi a guardare il dito che la evidenzia è – come la chiamano i “francesi” – puntacazzismo. 

MF