“La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura”
Samuel P. Huntington, politologo americano autore de “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” (1996).

La casa dei 36 scudetti della Juve (“Nel mio salotto espongo ciò che voglio”, Andrea Agnelli dixit), già Juventus Stadium, ormai ribattezzato Allianz anche oggi è sold out. Una piacevole abitudine da queste parti. L’afflusso è ordinato. Veneti, siciliani, calabresi, toscani, qualche torinese. Il colorato melting pot degli accenti dei tifosi juventini si attiene però devotamente al bianconero. Andare allo stadio vestendo la casacca bianconera è un must a cui qui in pochi rinunciano.

All’entrata il colpo d’occhio è notevole. Nella curva sud, oggi chiusa agli ultras, c’è una bandierina bianconera per ogni seggiolino. Serviranno per la coreografia organizzata dalla società dei ragazzi della scuole calcio che per 90 minuti occuperanno il cuore del tifo della Vecchia Signora. Niente striscioni e nessun coro pre-partita. Anche perché sarebbe stato impossibile sentirlo. Durante il riscaldamento la pregevole acustica dello stadio è messa al servizio dei classici rock anni 80 e 90. Quando entriamo è il turno degli ACDC.

Non che le cose cambino molto col fischio d’inizio. Nel primo tempo un paio di volte i bambini della Sud lanciano un “Juve, Juve” dall’inequivocabile timbro fanciullesco che però contagia tutto lo stadio, caricando tutta la bomboniera juventina e, pare, anche gli undici padroni di casa che proprio in quei frangenti spingono sull’acceleratore mettendo alla corde gli ospiti. Per il resto a risuonare sono gli “Ohhh” collettivi e imponenti che si alzano quando Cristiano Ronaldo tocca il pallone, che diventano un boato in occasione del gol siglato dalla stella portoghese.

Se si esclude l’ormai tradizionale e noiosissimo “merdaaaa” urlato al portiere avversario Ionut Radu ogni volta che rinviava dal fondo lanciato dalla curva Nord, a cui si sono instancabilmente associati anche i ragazzini delle scuole calcio della Scirea, nel secondo tempo il canovaccio del tifo bianconero non è cambiato: cori di incitamento alla squadra e sostanziale indifferenza nei confronti di Criscito e compagni e del loro seguito. Complice anche la squadra di Allegri che lungi dal caricare il pubblico ha tirato ben presto i remi in barca (portandosi a casa uno striminzito 1-1), sulla strada del novantesimo minuto piano piano si è spenta anche l’energia del tifo della capolista.

E dall’altra parte? Gli ultras genoani riempiono per circa 2/3 lo spicchio a loro riservato e mettono in scena una prestazione senza picchi, ma del tutto sufficiente, malgrado la sensazione che in fondo si sentano un po’ fuori luogo. La fetta di Stadium a loro assegnata, non è la gradinata di Marassi, ma nemmeno la curva ospiti di San Siro o dell’Olimpico. Gli striscioni sono costretti nel punto più stretto del rettilineo del lato nord e sono costantemente impallati dalle sagome degli steward posizionati proprio di fronte ai grifoni. Più visibile qualche bandiera a due aste (una, per esempio, recita “Siete ospiti”). Battimani ritmati e una serie di cori ben lanciati e intonati pro Genoa, ma anche, questa volta sì, contro i padroni di casa chiudono il cerchio della trasferta della Curva nord genovese nell’impeccabile salotto di casa Juve. Dove oggi, più che mai, invece di un classico un confronto fra opposte fazioni (come si sarebbe detto una volta) è andato in scena un piccolo scontro di civiltà del tifo: la voce imberbe dei ragazzini delle scuole calcio contro il vecchio stile della gradinata genoana.

Stefano Arduini