Qual è la differenza tra buongustaio e ingordo? Il primo mangia con gusto, distinguendo i sapori e apprezzando anche piatti che nell’immaginario collettivo sono visti come di “seconda fascia”. Il buongustaio vero apprezza anche un bel minestrone, se fatto con le verdure incontaminate di un orto genuino. L’ingordo è un tipo, invece, più selettivo e, generalmente, pure con la puzza sotto al naso. L’ingordo è pronto a dire che un piatto di bucatini all’amatriciana fa schifo, soltanto perché lui, mezz’ora prima, si è mangiato un’intera fiamminga di ravioli radicchio e gorgonzola. Non lo fa perché è il suo gusto a dirglielo, ma semplicemente perché guardando tutti dall’alto in basso, pensa sia giusto così.

Cosa c’entra questo con una semplice partita di calcio? Nulla. O molto. A seconda dei punti di vista. Va da sé che Frosinone-Milan rappresenti un appuntamento storico per l’intera comunità giallazzurra. È altrettanto ovvio, come è stato e sarà ovvio in tutte le sfide con le big, che in tanti si toccheranno il cuore chiedendosi perché, ai tempi delle sfide con la Virtus Locorotondo o la Pro Italia Galatina nessuno passasse notti insonni a domandarsi se tifare una nobile del calcio italiano o la squadra della propria città. Ma questo è affare vecchio, che meriterebbe un’approfondita analisi dell’essere umano, sull’esigenza che lo stesso prova nel salire sul carro dei vincitori facendo persino finta di niente, quasi fosse una cosa normale.

Tutto questo groviglio di ovvietà mi ha portato a un’amara considerazione, a partita finita. Quando le due squadre si apprestavano a salutare le proprie curve. Il Milan, vincitore, è stato “accolto” dalle migliaia di flash degli Iphone o degli Smartphone (ancora non ho capito se questi due aggeggi siano omologhi o meno, ma per fare il figo uso due parole di stampo anglosassone. Almeno mi sento un po’ casual pure io), partiti con una veemenza e una potenza che se i proprietari avessero avuto durante la gara, dando seguito agli sforzi dei lanciacori rossoneri di far cantare tutti, avrei avuto di fronte ai miei occhi la replica fedele della Torcida Hajduk Split.

Dall’altra parte, nonostante i quattro gol presi (gli ennesimi quattro) e una classifica deficitaria, ci sono soltanto cori, bandiere sventolate incessantemente e saltelli che durano ben oltre il novantesimo. Sarebbe facile, forse superficiale e sicuramente discriminante verso chi, albergando nel settore ospiti, crede davvero in certe cose, dire che da una parte c’è la passione genuina e veritiera di una tifoseria che forse la Serie A non l’ha ancora capita e sposata appieno (e voglia Dio che per sua fortuna non lo faccia mai) e dall’altra una che è arrivata a presentarsi totalmente spoglia e con un tifo difficilmente classificabile sulla sufficienza, nonostante un club che negli ultimi trent’anni ha letteralmente scritto la storia del calcio, regalando all’Italia tutta pagine memorabili di questo sport e nottate orgiastiche ai propri tifosi.

Perché, sia chiaro, le proteste sono tutte sacre e rispettabili. E ognuno dentro casa propria fa ciò che ritiene meglio. Ma fa un po’ effetto vedere la Sud, in casa e fuori, priva di vessilli, numericamente all’osso e in netta difficoltà nel fare tifo. Se anche i tempi non siano paragonabili, seppure il calcio sia cambiato esponenzialmente, non bisogna mai dimenticarsi che Milano, sponda rossonera, come altre grandi piazze italiane, nel passato non lontanissimo ha conosciuto l’onta della retrocessione, facendo comunque registrare numeri da capogiro a San Siro, anche in Serie B.

A cambiare, probabilmente, è stato l’approccio al calcio. Si pretende la vittoria sempre e comunque. E qua vien fuori la storia dell’ingordigia. Perché in tempi di vacche magre, si mangia quel che si può. Non si pretendono champagne e ostriche a tutti i costi, altrimenti si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano.

E il buongustaio, direte, cosa fa? Lui sa che probabilmente non mangerà il suo piatto preferito, ma si concentra sul sapore dello stesso, apprezzandone i pregi pur non trattandosi di una tavola regale con abbacchio e pesce. L’adrenalina è così tanta che al gol del provvisorio vantaggio di Ciofani l’esultanza non è neanche da incorniciare. Fino a quel momento ha tenuto banco la duplice coreografia della Nord e dei Distinti. Da una parte una semplice composizione di cartoncini, dall’altra gli stessi colori che ricordano quanto il Matusa, protagonista di mille battaglie, sia stato e sia tutt’oggi, fondamentale per il raggiungimento di taluni obiettivi.

Sì, perché a tener banco è la faccenda “sputi”. Quelli che nella precedente gara col Chievo hanno colpito i guardalinee. “Pugno di ferro” ha preteso la Questura, sottolineando come, ovviamente, anche a Frosinone il primo problema sia il comportamento un po’ fuori dalle righe di alcuni tifosi. “È giusto che gli stadi siano gabbie” ha puntualizzato qualcuno, dimenticando, evidentemente con troppa facilità, quanto quel pubblico che, forse sputando non ha compiuto un gesto nobile, sia lo stesso che negli ultimi tre anni ha reso il Comunale un fortino quasi inespugnabile. Un vero e proprio serbatoio di punti senza il quale difficilmente si sarebbe effettuato il doppio, storico, salto dalla Lega Pro alla Serie A.

Anche la società ha stigmatizzato il comportamento (ma forse, chissà, dietro c’è sempre lo zampino maligno dei tutori dell’ordine) mettendosi a totale disposizione per l’identificazione e gli eventuali provvedimenti. Non che prendere multe, per un piccolo club, debba essere un piacere. Ma questa ossessività nel cercare di far cambiare la mentalità alla gente, solo perché si è in massima categoria, la trovo sbagliata. L’errore sta nel perseguire modelli asettici che vorrebbero il pubblico composto, educato e col tovagliolino sul bracciolo della seggiola pronto a pulirsi la sbavatura di ketchup derivante dall’hot dog che si sta mangiando. Un consiglio: anche quando i tifosi sbagliano, non scaricate mai su di loro tutte le colpe dimenticandovi di quanto siano stati importanti. Chi sbaglia paga, in Italia, almeno nel campo dell’ordine pubblico per le manifestazioni sportive, è un assunto sin troppo chiaro e verificato (a volte pure troppo), nonostante vogliano farci credere il contrario.

Il preludio al Natale è contraddistinto da tutto ciò. Da queste differenze di approccio alla tavola e dalla memoria storica che non va mai posta nel dimenticatoio. “La nostra Coppa dei Campioni”, sentenziano neanche tanto ironicamente gli Uber Alles, con una piccola coreografia che ritrae una donna ciociara con il classico cesto sulla testa, per l’occasione disegnato a mo’ della famosa coppa con le orecchie. Perché, da che mondo è mondo, finché si conserveranno le proprie tradizioni e si continuerà a vivere lo stadio con passione ed emozioni che prescindono dai risultati e dalle suggestioni che può offrire l’avversario di blasone, si uscirà comunque vincenti al triplice fischio. Anche dopo una batosta sportiva. Un po’ come il buongustaio, che oltre ad esser sazio è anche soddisfatto, a differenza dell’ingordo, che dopo aver mangiato senza sentimenti è costretto a mettersi due dita in gola per non sentirsi male.

Simone Meloni.