In tutta la sbornia di retorica sulla vittoria del Leicester, ci piaceva questo pensiero controcorrente e lo ospitiamo volentieri: una vittoria non è vittoria se il calcio dominato dalle tv non permette di festeggiarla in diretta, sul campo.

leicesterHo avuto un attimo di smarrimento, proprio al triplice fischio. Giorni, settimane di: “Cavolo, il Leicester, deve vincere la Premier e io forse dovrei fare qualcosa per…”. Niente, non devi fare niente. Sei solo immotivatamente emozionato, trepidante. Deve vincere la Premier perché… perché boh? Perché si. Per vedere l’effetto che fa. Per vedere la faccia della persone. Per parlarne al bar e in ufficio.

Siamo felici: tutti volevamo il Leicester campione. Per l’aura romantica e l’irripetibilità dell’evento. Ma soprattutto per vedere cosa sarebbe successo. Per sentire attraverso la tv il profumo delle lacrime di gioia. Per vedere derisi gli investimenti dei top club. per vedere l’italico amore e l’improvvisa stima per l’allenatore esiliato. E per tante altre piccole cose. Poi succede. E in un istante realizzi che un giapponese, un ragazzone della Patagonia, un Bevilacqua qualsiasi ed un mediano tascabile da 169 cm diventano eroi di una favola che non esiste, protagonisti di una cavalcata senza precedenti. Scrivono la storia del Calcio. Non di quello recente, e nemmeno di quello inglese: del Calcio di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Diventano campioni! Diventano campioni. In differita. Diventano campioni, di lunedì sera. Da soli, mentre i bambini dormono e gli operai sono stanchi. Quando gli anziani non resistono al divano. Diventano campioni d’Inghilterra online. Diventano Campioni d’Inghilterra in un appartamento di periferia mal arredato, davanti ad una tv a led. Piangendo o sforzandosi di farlo.

Al triplice fischio ho avuto un attimo di smarrimento perché non vedevo calciatori sudati esultare e piangere. Perché chi doveva esultare non era in campo. Perché chi doveva esultare aveva l’anticipo. O forse il contrario, sì, chi era in campo era lì per il Monday Night. O non lo so, fate voi. Ma conta poco. Perché ciò che è successo meritava maggior gloria. Perché ciò che è successo è come se non fosse successo.

Io ho una strana sensazione, come se avessimo combinato un pasticcio enorme di cui ancora non ci rendiamo conto: c’è passato un cavallo alato bianco e azzurro davanti agli occhi e non siamo stati in grado di immortalarlo. Abbiamo cancellato l’unica VHS con le immagini dello sbarco sulla Luna. O meglio, abbiamo dimenticato la cam sulla Terra e non l’abbiamo proprio registrato lo sbarco sulla Luna. Il Leicester ha vinto la Premier League e noi abbiamo negato all’umanità le immagini in diretta dallo stadio del Leicester, gli istanti in cui – a partita finita – i ragazzi di Ranieri attendono a bordo campo “il finale” da Londra prima di esplodere di gioia e lacrime, prima di abbracciare i propri tifosi sotto la curva. Prima di esultare. In uno stadio di calcio. Prima di esultare, per la prima volta in 132 anni. Magari per l’ultima volta, chi lo sa. Prima di esultare in diretta, prima di piangere in campo. Prima di baciare quella adesso nota maglia azzurra. Prima di poter fare un sacco di cose meravigliose. Consegniamo alla Storia un minuto e trenta secondi di registrazione fatta col cellulare di boh, forse Morgan, a casa del tenero Vardy: mucchio selvaggio da festa di 18 anni, manipolo di ragazzacci in borghese che senza divisa di gioco manco riconosciamo, intenti ad auto riprendersi col cellulare snaturando, per sempre, l’espressività dei loro volti. Lasciando perdere, per sempre, il fermo immagine delle loro emozioni per un traguardo impossibile e ormai raggiunto. Lasciando perdere, per sempre, la testimonianza di un evento irripetibile e meraviglioso.

Ranieri e il destino hanno scritto una favola dal lieto fine. Il calcio spezzatino, il calcio di chi comanda il calcio, ha negato ai posteri e a chi dormiva le immagini della festa impossibile, le immagini dell’esultanza in diretta, del sole che bacia le gradinate stracolme. Le lacrime di felicità di un manipolo di folli che conquistano il mondo. L’occasione è persa, indietro non si torna. Grazie, anche se non capiremo mai realmente cosa avete provato. Nel senso che non sarà più possibile capirlo: non ci sarà telecronaca che narrerà i secondi finali, non ci saranno infiniti minuti di recupero a fare melina, non ci saranno volti tesi e sguardi al cronometro. Non ci saranno tabelloni lampeggianti e fuochi d’artificio, non ci saranno tifosi che dagli spalti mimeranno a braccia larghe il fatidico “È finitaaa!”, non ci saranno anziani che piangono e bambini increduli. Non ci sarà niente di niente, perché abbiamo perso l’attimo.

Facciamoci furbi: tra 132 anni, la partita che potrebbe valere il titolo di “campione di speranza sportiva per l’umanità”, giochiamola alle 15.00, in contemporanea con tutte le altre partite: abbiamo bisogno di filmati sportivi del passato. Abbiamo bisogno di momenti di gloria. Ne abbiamo bisogno per guardare positivamente al futuro. Per adesso, lavoriamo di fantasia. La stessa fantasia con cui abbiamo sperato di vedere trionfare quei ragazzi. E quei ragazzi hanno trionfato. Al di là di tutto, semplicemente: thank you Foxes!

Mauro Di Donna.