Nei giorni caldi dell’estate, le immagini di Bologna-Spezia hanno riecheggiato pesantemente nella grande cassa di risonanza del web: come si direbbe in questi tempi moderni, sono diventate “virali”. Da parte nostra abbiamo sposato la scelta di mettere giusto qualche notizia in rassegna stampa e poi evitare condivisioni di video o foto. Tanto poi ci aveva pensato già “La Repubblica” e tutta una serie di pagine facebook adolescenziali a saziare la curiosità voyeuristica dell’utente (tonto) medio.
Qualcuno, internamente al nostro mondo, sostiene che certe immagini andrebbero evitate e boicottate con tutte le forze perché “agevolerebbero il lavoro degli sbirri”, alzerebbero polveroni e moralismo dell’opinione pubblica, attirerebbero ulteriori e non richieste attenzioni.
Dico la verità, il motivo non è proprio questo. O almeno non lo è direttamente: piuttosto ci siamo limitati ad assecondare questa paranoia antica, stroncando critiche balzane ed inutili sul nascere. In fondo lo sa anche chi ulula alla luna: prima di arrivare sotto i nostri occhi, quei fotogrammi sono già stati sottoposti al vaglio attento degli inquirenti. Checché si scelga di far noi, diffondere o meno quel materiale, la polizia lo avrà già e comunque visto. E con i tempi che corrono, e con la tecnologia di cui dispongono, un filmatino da cellulare sarà oltretutto roba da scarto per loro. E questa non è un’auto-assoluzione a posteriori cambiamenti che non avverranno, ma un dato di fatto.
Illudersi che le indagini partano o non partano per un video, che lo (scongiurato) starnazzare di ipocriti e servi vari inasprisca i colpi del braccio violento della legge, è come credere ancora ai riti apotropaici per allontanare gli influssi maligni. Cioè: settimanalmente c’è chi si prende diffide pluriennali per aver acceso un banale fumogeno o anche solo per aver tentato di introdurlo allo stadio, persino per esserne stato trovato in possesso al di fuori dello stesso; crediamo davvero che cecchini spietati, pronti anche ad inventarselo un reato pur di sparare Daspo a piombo, si lascino sfuggire un pretesto pur minimo per assecondare il loro (carrieristico) istinto? Speriamo sul serio nella clemenza della giuria nazional-popolare di fronte alla violenza, fosse anche estemporanea e non a largo coinvolgimento? I cani della Legge, in verità, latrano appena annusano qualcosa di strano nell’aria e se speriamo di scavalcare il cancello e non esserne morsi, solo perché chi li tiene per la catena in quel momento non guarda o dorme, beh, forse siamo un po’ sciocchi.
Tornando ad analisi dall’interno, qualcuno si arrovellava sulla disputa dell’idiozia. A cercare di capire, cioè, se fosse più idiota chi ha girato il video o chi l’ha condiviso pubblicamente. In entrambi i casi la risposta è la stessa, in entrambi i casi bisogna vedere se il reo è almeno ipoteticamente un ultras o meno. E in entrambi i casi, la risposta al quesito non cambia l’economia della questione.
Viviamo in un mondo sotto tele-controllo, il “Grande Fratello” di Orwell può spicciar casa al nostro, veniamo ripresi in ogni passo che muoviamo dalle milioni di telecamere a circuito chiuso per le nostre strade. Se finiamo coinvolti in un incidente in pubblico, è più facile trovare qualcuno che tiri fuori il cellulare e si scatti un selfie con noi sullo sfondo che esaliamo l’ultimo respiro, e non trovar qualcuno che venga a soccorrerci. Forse dovremmo semplicemente renderci conto che i tempi sono cambiati e stare più all’occhio.
Quando scegli di far parte di un gruppo ultras, accetti implicitamente tutte le regole del gioco. Magari il tuo può pure essere un gruppo meno belligerante e più portato al lato “sociale” del vivere lo stadio. Però sai che quando giri per quegli stadi, può sempre capitare di interfacciarti con chi invece non si fa specie se tu sei dell’Entella Chiavari. Se fino a ieri passeggiavi tranquillo in posti in cui nemmeno esistevano gli ultras, lui ti assalirà lo stesso, anche se è del Catania e qualche tempo prima s’era preso inchini e riconoscimenti dai Bergamaschi. Non per rivangare la questione e riaprire polemiche, ma solo per dire che in “guerra” come in amore può succedere di tutto. E se la guerra è bella, come diceva De Gregori, a volte fa anche male. Per cui se ti arruoli dovresti sapere che ti può cadere una bomba in testa. Se ti sei arruolato nella prima guerra mondiale, per la precisione, ti potevano cadere solo bombe in testa, mentre se ti sei arruolato durante una guerra moderna, puoi essere sparato anche da un drone. Il mondo cambia e quella che crediamo malocchio non sarà certo scongiurato da qualche goccia d’olio in un piatto d’acqua mentre bofonchiamo astruse litanie o bestemmie.
Un po’ come la questione tessera del tifoso (comprese le sue forme più infide): in questi tempi storici la scelta ormai non è più se farla o non farla, la scelta è se continuare ad andare allo stadio o non andarci. E tutte le scelte sono rispettabili, tutte tranne appellarsi alla metafisica o alle divinità per spiegare cose che invece sono tangibili e persino lineari.
Matteo Falcone, Sport People.