Il Sassuolo potrà mai tornare a Sassuolo? Una domanda che forse il calcio italiano si è posto davvero poche volte. Forse mai. Tremendamente atrofizzato nel suo tradizionale perpetuarsi, quasi sempre prono nei confronti di scelte e cambiamenti che ne portano a un palese snaturamento. Eppure c’è qualcuno che questa domanda continua a farsela imperterrito, ormai da circa quindici anni. Parliamo ovviamente dei tifosi più accesi del club neroverde, che con gli ultras in testa da questa estate hanno voluto portare alla ribalta una situazione che per svariati motivi negli ultimi anni ha fatto poco rumore. E quel poco (in realtà tanto, ma volutamente smorzato da più parti) ha avuto come sfondo i colori granata della Reggiana, con i suoi tifosi che per i numerosi e arcinoti motivi si sentono da tempo defraudati dal sodalizio guidato dalla Mapei. Ragion per cui il Sassuolo, diciamocelo pure, in questi anni non si è fatto molti amici in giro; visto come un club impostore e con un seguito minuto non è riuscito a generare un dibattito che portasse ad analizzare anche l’altra faccia della medaglia, calpestata e lasciata costantemente in un angolo: i tifosi più affezionati. Quelli che c’erano al Ricci, negli anni del dilettantismo e della Serie C, e che ci sono ancora oggi. Dopo quindici anni di esilio tra Modena e, soprattutto, Reggio Emilia. Malgrado i sessanta chilometri da percorrere una volta ogni due settimane, senza un mezzo alternativo alle proprie macchine e quasi “mal visti” da una società che invece dovrebbe averne cura e intessere un dialogo per riportare la squadra nella sua città, andando oltre il mero discorso imprenditoriale. Parole al vento o da sognatori utopisti? Può darsi, ma perché qualcuno le senta c’è bisogno che qualcun altro le urli e qualcun altro ancora le scriva.

Così dal termine del campionato, i ragazzi che oggi gestiscono il tifo organizzato sassolese – i Sic Ex Murice Gemmae – hanno deciso di metter su varie iniziative, tra cui una tavola rotonda e una raccolta firme presso un locale pubblico di Sassuolo per invitare fattivamente la popolazione a discutere di quella che ormai è a tutti gli effetti una criticità, unica nel suo genere se si pensa che il club neroverde è una delle poche (l’unica?) società al mondo ad esser proprietaria di uno stadio che però non insiste nel comune di appartenenza della stessa. Un unicum che ben descrive la difficoltà nel creare aggregazione e rinsaldare il legame con il tessuto cittadino. Lo stadio è il fulcro di qualsiasi club, perché è la casa dei propri tifosi e il luogo dove convogliano sentimenti, pathos, ambiente e appartenenza. Tutto tremendamente impossibile in un’altra città (peraltro, come ben noto, avversa ormai a qualsiasi iniziativa dei neroverdi).

Ma oltre a ciò, esistono dei dati incontrovertibili che dovrebbero suggerire un cambio di rotta ai dirigenti: malgrado dieci anni di massima divisione, salvezze conquistate quasi sempre tranquillamente, diversi talenti sfornati, una partecipazione all’Europa League e un progetto calcistico ben avviato, gli abbonati hanno registrato un netto calo. Dai 7.795 del 2013/14 si è passati ai 6.500 della passata stagione. E le ragioni sono da cercare sia nello scollamento tra la città e il suo club – per ovvi motivi logistici – sia in una politica totalmente fredda e insensibile nei confronti dei supporter neroverdi. Ciò che spesso si evince da fuori è un messaggio comune nel mondo del calcio moderno – non ci nascondiamo dietro un dito – ma qui ancor più amplificato: profitti, profitti, profitti. Di tutto il resto importa poco! Questa è la ragione per cui (non dovremmo dimenticarlo neanche quando, a ragione, appoggiamo le proteste dei tifosi reggiani) altre vittime di questa situazione sono proprio gli sportivi sassolesi.

Senza volersi sostituire a chi fa calcio – egregiamente, va detto – da anni, viene da chiedere, ad esempio, perché nel tempo ci si sia impegnati a costruire strutture come il Mapei Center (grande area dotata di diversi impianti, tra cui quattro campi di calcio, inaugurata nel 2019 per ospitare differenti comparti del Sassuolo Calcio, nonché magazzini e una sala stampa) e mai a trovare uno spazio adatto dove erigere un nuovo impianto, semmai il Ricci non si fosse creduto idoneo a una ristrutturazione adatta alla categoria (eppure in vista del salto in Serie B era stata fatta una prima bozza di progetto)? Tra stadio di Reggio Emilia, Mapei Center e opere varie, il denaro speso, il tempo e gli sforzi impiegati sarebbero stati più che sufficienti per riavvicinare il club alla propria gente.

Durante la tavola rotonda i ragazzi del gruppo hanno sottolineato come non ci sia nessuna intenzione di rompere con la famiglia Squinzi, verso cui ovviamente c’è un senso di riconoscenza per il cammino fatto negli ultimi tre lustri. Tuttavia la totale mancanza del senso di appartenenza e di ambiente spingono molti tifosi a riflettere e a chiedersi se davvero Reggio Emilia debba essere a vita l’ultimo domicilio conosciuto per il Sassuolo. Ci sono ormai alcune generazioni che non hanno mai visto i neroverdi giocare in casa e non è una casualità che in occasione di alcune finali primavera disputate al Ricci, il vecchio impianto si sia riempito. Sia di tifosi normali che di ultras. Se, come veniva detto nel recente passato da qualche discutibile politico reggiano, “Il Sassuolo è un’opportunità economica per noi”, perché non pensare a quando davvero lo sarebbe per la sua sede naturale? A quanto sarebbe importante riavere il calcio in città e permettere a quest’ultima di scuotersi sotto la sua spinta aggregativa ed emotiva. Oltre che avere un ovvio aumento del pubblico pagante e riallacciare i rapporti con la terra d’origine.

Uno stadio a Sassuolo – hanno sottolineato i ragazzi – sarebbe peraltro realizzabile senza intralciare troppo la viabilità o la quotidianità cittadina. Come accade in altre città, ad esempio, le tifoserie ospiti potrebbero esser canalizzate verso gli spalti parcheggiando in periferia e sfruttando ben due uscite autostradali (Campogalliano e Modena Nord). Mentre per quanto riguarda lo stadio vero e proprio, è stato interpellato l’architetto Jaime Manca di Villahermosa, che si è occupato del Benito Stirpe di Frosinone e in passato dello stadio di Cagliari. Quest’ultimo ha sottolineato come oggi realizzare un impianto di circa 12.000 posti costi attorno ai 24 milioni (per il Mapei Center ne sono stati spesi 19) e permetta, tra le altre cose, anche un importante impatto ambientale in una delle aree che attualmente risulta tra le più inquinate d’Italia (pannelli solari e spostamenti per Reggio annullati sono solo due tra i valori aggiunti).

Sul sito Nel Nome di Sassuolo si legge: “Per il progetto è stata individuata una società di advisor e design specializzata in impiantistica sportiva chiamata “Bear Stadiums” che collabora con un’azienda altoatesina denominata “Rubner holzbau” che si occupa di costruzioni in legno lamellare e che, recentemente, ha accolto il progetto del Brescia Calcio sulla realizzazione di uno stadio completamente eco-friendly e ad impatto zero nella omonima città. I cosiddetti “Bear Stadiums” sono costruiti secondo gli standard UEFA e FIFA per gli stadi di qualità: una perfetta visibilità e minima distanza del terreno di gioco, posti a sedere tutti coperti, illuminazione del campo adatta per riprese HD”. Sempre attraverso questo sito è possibile firmare la petizione, che non è stata limitata solo a questa serata, ma andrà avanti anche nei prossimi mesi.

Se fossimo in altre zone d’Europa probabilmente questo argomento avrebbe ben altra risonanza. E attenzione, non stiamo dicendo che altrove non avvengano snaturamenti. La storia della Red Bull a Salisburgo e a Lipsia sono esempi lampanti. Ma lampanti sono anche i segnali di vicinanza e ripartenza che le rispettive tifoserie hanno avuto in quelle estreme situazioni difficoltà. Situazioni che – fortunatamente – ancora non riguardano Sassuolo, laddove basterebbe una dirigenza attenta al portafogli – ci sta – ma anche all’aspetto più viscerale e autentico del pallone. Che poi è ancora quello che, paradossalmente, permette di fatturare. Pertanto questa iniziativa dev’essere un’opportunità da cui partire e ripartire. E senza dubbio meriterebbe l’appoggio da parte delle tifoserie italiane. E, perché no, anche di qualche voce esimia di questo sport. Noi, che il calcio lo seguiamo e lo fotografiamo dalla parte dei suoi protagonisti (i tifosi) non possiamo che sposare la causa e augurarci – magari un giorno non troppo lontano – di rivedere una folla di tifosi neroverdi alzarsi alla domenica mattina per andare a vedere la propria squadra a piedi, nella propria città. Sarebbe solo la cosa più naturale di questo mondo!

Simone Meloni