Per una sera un campo della nostra Serie A torna a essere sufficientemente “incivile”, teatro di scorrettezze e di una buona dose di antisportività da ambo i lati, con il risultato finale utile ad accendere l’ambiente e far passare in secondo piano tutte le belle – quanto ipocrite – parole sul calcio da salotto. Per una sera a tratti ci si è ricordati che questo è uno sport fatto di contatti, spallate, botte e situazioni “politicamente scorrette”. Malgrado un regolamento che tende sempre più a trasformarlo in una pallacanestro 2.0, con l’aggiunta del Var a smorzare puntualmente esultanze, improperi, gioie e speranze. Non avremo assistito a una gara tecnicamente sublime, ma senza dubbio sono stati oltre novanta minuti in cui la bile della vox populi si è fatta sentire a più riprese. E per quanto queste mie riflessioni potrebbero sembrare “fuori luogo”, in realtà fungono da perfetto contraltare alle presentazioni urlate, ai giochi di luce e alle assordanti musichette che ormai infesta pre partita, esultanze e post gara di quasi tutti gli stadi professionistici e non. Sarò estremo, sarò forse anche esagerato, ma ciò che guardo ogni qual volta salgo le scalette di ogni impianto sono solo ed esclusivamente le bandiere. Gli striscioni. I simboli. E con loro, ormai, mi mancano incredibilmente i cori con cui le curve tentavano di spronare le squadre intente a riscaldarsi. Se questo è diventato solo un lontano ricordo è solo ed esclusivamente colpa dell’americanizzazione del nostro sport nazionale. Di questa cacofonia che ha fagocitato il suono ambientale. Le grida dei tifosi. Chissà, in taluni casi – quelli in cui i rapporti tra supporter e giocatori sono tesi – forse a più di qualcuno la cosa fa anche comodo. Ma per chi ha vissuto il “prima” risulta addirittura difficile entrare in tribuna con discreto anticipo sul fischio d’inizio, conscio di doversi “sorbire” siffatte carnevalate.

Sono circa cinquantamila gli spettatori che affollano le gradinate dello stadio Olimpico per questa gara anticipata al venerdì per permettere un congruo riposo alle due formazioni impegnate contro Bayern Monaco e Slavia Praga, rispettivamente in Champions ed Europa League. Quando a Roma si gioca una partita in un giorno feriale il primo effetto collaterale è il traffico che raddoppia, congestionandosi in maniera snervante. Negli anni ho cercato di attutire la mia irritazione nel trovarmi in mezzo a centinaia di macchine ferme, con le luci posteriori rosse perennemente accese e con i tubi di scappamento a intossicare buona parte del Lungotevere e zone limitrofe. Così mi concentro sui dettagli: sui ragazzi che utilizzando saggiamente il motorino sfrecciano tra una macchina e l’altra, ondeggiando le sciarpe con i loro colori legati al collo, mostrando fieramente le bandiere e superando in slalom gli sfortunati in coda. I clacson riecheggiano possenti, mentre qualcuno prova a inventarsi strade alternative per bypassare il caos, salvo ritrovarsi praticamente sempre al punto di partenza. Ti accorgi di chi sta andando allo stadio perché segue fedelmente anche ciò che è impresso sui muri: scritte romaniste e laziali, in favore e contro. Graffiti forti e ironici. Alcuni anche contro le tifoserie ospiti. C’è un pezzo di vita sui muri del quartiere Flaminio di Roma. Una vita familiare a chi vive le gradinate come seconda casa. E poi ci sono, in questo caso, diversi pullman di tifosi rossoneri parcheggiati in direzione Curva Sud. Ovviamente quella milanista è tifoseria che raccoglie non solo il suo seguito meneghino e questo rende quasi impossibile convogliare alla perfezione tutti i mezzi.

Il settore ospiti registra il sold out, con un manipolo di sostenitori rossoneri – residenti fuori Lombardia – che prendono posto nella parte alta del Distinto Sud lato Monte Mario. Come di consueto le prime schermaglie tra le due tifoserie vedono come leitmotiv l’amicizia tra i biancocelesti e gli interisti, chiamati in ballo a più riprese, mentre prima dell’ingresso in campo la Nord si esibisce in due sciarpate sulle note di Vola Lazio Vola e So’ già du’ ore. Malgrado la squadra di Sarri non stia facendo faville in questo periodo, i tifosi capitolini sembrano capire lo sforzo prodotto per rimanere in piedi su tre competizioni e sin da subito fanno sentire la loro vicinanza, anche in vista della trasferta di Monaco, dove presenzieranno quattromila laziali.

Quando le due squadre fanno il loro ingresso sul manto verde, nella parte inferiore della Nord fa la sua apparizione lo striscione Dio salvi gli ultras, accompagnato da diversi fumogeni blu e da diverse sciarpe tese, producendo complessivamente un bell’effetto. Pirotecnica qua e là anche in Tribuna Tevere, mentre in Curva Sud viene organizzata una piccola sbandierata sopra lo striscione Arde il mio cuore per te. Penso che nel 2024 sia sempre bello e significativo sapere che ci si prodiga ancora per colorare lo stadio e il proprio settore, cosa che sostanzialmente è molto semplice e basilare. Ma che, ad esempio, nel caso dei milanisti ha in parte trovato il contrasto del “total black”, stile che oltre agli stendardi prima del fischio d’inizio, lascia davvero poco al colore e al folklore. Per quanto sia ripetitivo sul tema, mi viene ancora da sottolineare come anche un vestiario “cupo” non debba per forza soffocare il colpo d’occhio cromatico.

Dopo i convenevoli a centrocampo, le due squadre aprono le ostilità, dando il la anche alle rispettive tifoserie, che si confrontano nel duello a noi più caro: quello del tifo. Nord che parte subito bene con manate, cori a rispondere e i bandieroni che accompagneranno tutti i novanta minuti di gioco. I laziali riescono a coinvolgere a più riprese anche i distinti, soprattutto durante i cori più “gettonati” e con la nuova hit sulle note di Sinceramente, tormentone partorito da Annalisa in occasione del Festival di Sanremo. Come accennato, in campo la partita è combattuta e fisica, questo riscalda i settori di casa, che a fasi alterne si scagliano contro l’arbitro e contro i dirimpettai rossoneri, i quali ovviamente non si fanno pregare e rispondono per le rime. Aspetto che, devo dire, apprezzo davvero molto pensando a come, ormai, molte delle nostre storiche rivalità siano ridotte ad annacquate antipatie, che non riscuotono neanche più la soddisfazione del “coro contro”. Ma l’Olimpico, fortunatamente, non è un “salotto” e i suoi frequentatori sanno bene quanto l’ambiente possa ancora essere importante ai fini del risultato. E, più in generale, è sempre bello vedere il tifoso “avvelenarsi” per una scelta arbitrale avversa o per un’azione sciupata: è semplicemente il sale di chi segue questo sport e il segno di una vitalità che lascia qualche speranza a un futuro che forse l’establishment del pallone vorrebbe in mano ad automi con birra e patatine in mano (magari ordinate su Glovo).

Per quanto riguarda il tifo dei milanisti, la loro prestazione è senza dubbio più che sufficiente. Caratterizzata come sempre dal blocco posizionato nella zona inferiore del settore che non smette mai di cantare, accendendo di tanto in tanto qualche torcia e riuscendo anche a coinvolgere gli altri presenti. Certo, qualche bandiera e qualche sintomo di “spontaneismo” o genuinità in più sarebbero personalmente graditi, ma questa è la strada intrapresa dalla Sud e, senza dubbio, funziona anche non riscontrando i miei gusti. In campo la partita è zeppa di interruzioni, falli e polemiche. Alla fine ne fa le spese la Lazio, che rimane in dieci per l’espulsione di Pellegrini e all’88’ subisce il gol della sconfitta da Okafur, che assieme ai suoi compagni si invola verso i propri tifosi per festeggiare la rete, dopo che al Milan era già stata annullata una marcatura dal Var. Il nervosismo aumenta e i padroni di casa chiudono la sfida in otto a causa delle espulsioni di Marusic e Guendouzi, dando vita anche a un piccolo focolaio rissoso a centrocampo. Il pubblico laziale apprezza la vena battagliera dei suoi giocatori e, malgrado la sconfitta, li chiama a gran voce sotto la curva per applaudirli e rinfrancarli. Ovazione festante per gli ospiti, che abbracciano idealmente la fetta di stadio dedicata ai propri sostenitori prima di raggiungere il tunnel degli spogliatoi.

I tifosi cominciano a defluire e la solita congestione attorno allo stadio va a formarsi. È un venerdì sera atipico, perché scandito dal calcio e dai suoi riti. Eppure c’è tempo ancora per vivere Roma e defilarsi dal caos del deflusso, mentre un fastidioso vento freddo spira sul Tevere. Guardo da lontano le luci dello stadio e mi allontano sapendo che in fondo restano davvero una costante della mia esistenza. Dopo anni, esperienze e vita vissuta.

Testo Simone Meloni

Foto Agenzia