Partiamo da una premessa importante, non fosse altro che per una questione di onestà intellettuale: io Francesco Berlingieri, aka Lobanowski 2, l’autore del libro, lo conosco personalmente, non per questo quanto penso e sto per scrivere di questo libro è influenzato da ciò. Anche perché una rivista gratuita come la nostra non ha nulla da guadagnarci a far marchette. Non a caso Francesco non lo leggo perché lo conosco, ma lo conosco proprio perché, prima di questo, avevo già letto un altro suo libro, “Juve o Milan? Meglio il Foggia”, scritto a sei mani sotto il nome multipolo di “Collettivo Lobanowski”. Un libero patto tra pari – citandoli testualmente – che ha scelto l’anonimato perché quello che conta sono le storie. E le storie, quando sono valide, vanno collettivizzate, appartengono a tutti.

Una scelta che, “filosoficamente”, mi piace molto, sia perché è la stessa che ho condiviso nell’avventura editoriale con “Sport People”, dove a contare sono le idee e non chi le enuncia, sia perché è per certi versi un approccio fortemente ultras. Almeno in teoria, visto che anche “Ultras”, o il nome del gruppo in genere, è un’identità multipla e situazionista, un abbattimento delle barriere individualistiche per condividere in gruppo valori e azioni, rifuggire l’isteria etichettatrice dei media, dell’opinione pubblica e delle Forze dell’Ordine, che altro non è che un tentativo di controllo sociale totale, come totalizzante è l’appiattimento che ne consegue. Questo, dicevamo, in teoria, visto che poi nella pratica tanti disattendono attraverso la mistificazione del “capo ultras”, una delle più grandi menzogne del/sul mondo degli ultras che è un male tanto endogeno quanto esogeno. Che qualcuno a cui l’indebita manipolazione di questa figura egocentrica, in un movimento collettivo, in questi anni ha fatto comodo per ricavarne consensi, soldi, potere ricattatorio, candidature politiche, posti di lavoro, controllo su affari criminali, ville in Costarica e qualche coltellata o gambizzazione come effetto collaterale.

Ma sono cose che con il mondo ultras non c’entrano granché, per quanto certa stampa prezzolata cerchi sempre di ricamare forzosamente legami blandi che forse, con quella ostinazione, avremmo fatto meglio noi a spazzare via definitivamente. Vabbe’, parliamo delle tre palle e del nonno flipper…

Tornando al libro, “E non vorrei lo sai lasciarti mai perché” è dunque l’opera prima di Francesco Berlingieri come autore unico fuori dai passi mossi e scritti in Collettivo Lobanowski. La prima preventivabile sensazione che se ne percepisce è nel guadagno di omogeneità stilistica e narrativa, rispetto alla precedente esperienza. Nonostante la scelta della suddivisione in racconti, spesso distanti tra di loro in termini di tempo quanto di argomenti, il peso specifico del filo conduttore è tale da non disorientare la lettura per dispersione o restituire la sensazione del deja-vu da ridondanza. Ovviamente il filo conduttore è l’amore per la propria squadra di calcio che chi ama davvero, visceralmente, finisce inevitabilmente per vivere “andando oltre”, da ultras, magari anche non nel senso stretto di militanza attiva in un gruppo, come fanno papà Leonardo o zio Franco, che una parte di sé in nome dell’amore calcistico l’hanno sacrificata, che qualcosa all’amata di rossonero vestita l’hanno data, anche solo considerando la trasmissione e la perpetuazione genetica di questo amore trasmesso in maniera virale.

Poi ci sono le storie ultras vere e proprie, le incursioni semi-turistiche nelle città prossime a quelle dove il Foggia scendeva in campo, i boati, la cappa di gelo silenzioso dopo un goal subito, le poche gioie, le amarezze, le trasferte, il viaggio come metafora di vita. Tra le righe e fuori dalle righe, come in qualche racconto che esula dallo stretto contesto calcistico, c’è vita autentica che trasuda.
“E non vorrei lo sai…” è romanzo vero e ci racconta l’ultimo calcio genuino che abbiamo vissuto, quello visto con l’incanto mistico del bambino, rivisitato nel Subbuteo per lavare l’onta della sconfitta che Paolo Valenti in TV o Ameri per radio avevano narrato, mentre in salotto pigramente finiva la domenica familiare ancora intrisa degli odori del ragù e del caffè. Il calcio dell’URSS, della Mitropa Cup e dell’Anglo-Italiano in cui piccole compagini di provincia varcavano le sacre porte di Wembley. Un calcio dove la passione del tifoso era strumento attivo per scrivere pagine di epica sportiva, non mero dato da studio di marketing atto a ideare e rivendere gadget di gusto pessimo.

Chiara la citazione di “Ogni volta che torno” di Paul Anka, diverse altre le citazioni musicali, cinematografiche e letterarie in una sorta di collage socio-sportivo che diventa una bellissima operazione “amarcord” dalla quale si esce, voltata l’ultima pagina, non con poca nostalgia per quel che eravamo, come tifosi e come comunità in sé. Singolare se si considera che alcuni avvenimenti narrati sono cronologicamente anche piuttosto vicini, ma emblematici di quanto barbaro sia stato lo stupro di gruppo attuato dalle Tv a pagamento e completato dagli sgherri delle Tessere e dei divieti, mentre chi doveva denunciare stava invece connivente a guardare.

Il calcio non è un prodotto, l’amore per il calcio non si attribuisce a brillanti prodotti commerciali svincolati da ogni senso di appartenenza, con efficienti quanto asettici stadi di proprietà che non potranno mai effondere la palpitante passione popolare delle folle sui gradoni scalcinati dei tempi che furono. Il calcio è emozione in grumi di terra e sangue il cui richiamo non giunge per réclame ma, trasmessa di padri in figli, di generazioni in generazioni: Perché non è niente. Per voi non sarà niente. Ma io li ho visti e me li ricordo, gli occhi di quel ragazzo di trent’anni che mi teneva sulle spalle mentre una ressa inenarrabile premeva per entrare. A vedere Foggia-Catanzaro. In una normale domenica di metà agosto.

Un bel libro, che mi sento di consigliare a cuore veramente leggero e che può piacere indifferentemente a chi mastica pane e pallone (e ultras), ma anche a chi ne è avulso ed è solo amante di buona lettura, perché è scritto veramente con rara bravura, molto più godibile di tanta spazzatura che ha usato il calcio come tema di fondo (e mi mordo la lingua!). Faccia attenzione chi cerca il classico libro ultras più di stampo fotografico, perché qua di foto non ce ne sono. Solo parole. Parole pesanti e pensanti.

Per chiudere con le segnalazioni tecniche, non cercatelo in libreria perché è un libro autoprodotto (sotto l’egida di “Autoproduzione Pirata”) e non lo troverete se non in qualcuna della zona Foggia o dei canali più alternativi. Se siete interessati all’acquisto contattate direttamente l’autore via email, all’indirizzo francesco.berlingieri@email.it: il volume è in vendita alla modica cifra di 10 € incluse le spese di spedizione. Ripeto, detto con onestà e al di fuori dell’amicizia: li vale tutti e molto di più.

Matteo Falcone.