Volo per Brindisi, treno per Taranto e infine pullman per Martina Franca. Il solo itinerario di questo viaggio è utile a darmi gli stimoli sufficienti per visitare un campo nuovo. Che poi mi ci voglia praticamente più ad arrivare da casa a Fiumicino che da Brindisi a Martina è un altro paio di maniche, ma pure questo fa parte del divertimento: l’essere perennemente in viaggio e il poterne sfruttare la soave solitudine non disturbata dal mondo che attorno a me si affretta ad adempiere ai propri compiti giornalieri.

Il vento soffia potente sulla sponda adriatica dello Stivale e per qualche ora – prima che si attenui – persino camminare è reso difficile da folate in grado di spostare mezzi e persone. Il pullman che sostituisce il treno delle Ferrovie del Sud Est marcia con difficoltà sul lembo di strada che unisce Taranto a Martina, stracolmo di lavori e deviazioni. Mi viene in mente la mia adolescenza e i miei primi scambi di adesivi: il primo sticker ricevuto è stato della tifoseria biancazzurra. Scambi epistolari con cui un po’ tutti ci siamo aperti al resto d’Italia e attraverso i quali si sono instaurate spesso e volentieri amicizie lunghe e sincere. Arrivo con quasi vent’anni di ritardo ma alla fine sono riuscito a mettere piede anche a Martina Franca.

La Valle d’Itria mette di buon umore chilometro dopo chilometro, con i suoi trulli ordinatamente disposti, i muretti a secco ben visibili a ogni lato delle strade, le masserie divenute una vera e propria icona della zona e i tanti uliveti a fargli da contorno. Si sale fino a 431 metri sul livello del mare, dove il bellissimo centro storico di Martina è ubicato, cinto tra le sue mura. Malgrado capiti proprio nel giorno di riposo cittadino – con seguente chiusura di quasi tutte le attività e impossibilità di testare la celebre grigliata mista locale – inoltrarsi per i suoi vicoli, entrare nelle sue chiesette e camminare per le sue strade bianche e lucide è davvero bello. Primeggiano ai miei occhi gli edifici in stile barocco e ciò che resta del dominio angioino/aragonese, a cui la città deve il suo suffisso di Franca. Suffisso voluto dal governo post unitario sulla scorta delle ampie zone concesse esentasse per l’agricoltura e l’edificazione di abitazioni da Filippo I d’Angiò nel XIV secolo all’ora Casale della Franca Martina (e necessario a distinguere la città dall’omonima ligure Martina Olba, successivamente divenuta una frazione del comune di Urbe).

Non so quale genere di turismo sia presente da queste parti (anche se i menu tradotti in tre lingue mi danno un’indicazione) ma spero che non finisca per snaturare e uccidere la bellezza elegante e genuina che ancora si riesce a percepire.

Al netto della poca gente in giro per strada, di tanto in tanto si scorgono manifesti che invitano a popolare la Curva Nord per la finale di questa sera. Dopo i gloriosi anni duemila – che hanno visto la società pugliese sfiorare la Serie B nel 2003, con la finale playoff persa contro il Pescara e le seguenti polemiche per il ripescaggio della Fiorentina per meriti sportivi, nell’ambito del Caso Catania al posto della vincente di un eventuale spareggio tra il Martina e l’altra squadra sconfitta nella finale playoff del Girone A, vale a dire il Pisa – la società locale ha affrontato fortune alterne, dovendo ripartire in più di un’occasione dai dilettanti. L’attuale sodalizio è ripartito nel 2016 addirittura dalla Prima Categoria, scalando lentamente la piramide calcistica e ponendosi come obiettivo primario di quest’annata il salto in Serie D, cosa che potrebbe avvenire già quest’anno, in virtù della prima posizione occupata nel Girone B dell’Eccellenza, con 14 punti di vantaggio sulla inseguitrice Ugento. Cosa che però non garantisce la promozione diretta ma porta ad un ulteriore spareggio con la prima dell’altro girone di Eccellenza pugliese.

Di fronte un’altra nobile decaduta del calcio pugliese, quel Barletta partito anch’esso per ammazzare il campionato e che attualmente occupa la prima posizione nel proprio girone, seppure con un vantaggio più risicato sulla seconda rispetto ai dirimpettai. Verosimilmente e in prospettiva, insomma, questa sfida rischia di ripetersi ancora.

Da un punto di vista ultras i martinesi negli ultimi anni si sono assestati su buoni livelli di presenze e continuità, segno che le basi gettate in passato hanno creato tutti i presupposti affinché in città il movimento ultras non rimanesse confinato ai risultati sportivi o alle categorie blasonate. Come detto per me è la prima volta allo stadio Tursi e quando il sole comincia a calare mi avvio dal centro cittadino, trovando uno stadio oltremodo presidiato dalle forze dell’ordine. Solita gincana per entrare e una volta in campo ho modo di constatare la genuinità dell’impianto: due tribune in cemento (con quella riservata agli ospiti erosa dal tempo e veramente vecchio stampo) e una curva riservata agli ultras di casa. Sono ambienti che fanno sempre bene a chi ama un certo tipo di calcio.

Con l’avvicinarsi del fischio d’inizio la Nord va man mano riempiendosi e alla fine la chiamata alle armi dei supporter biancazzurri sortirà il proprio effetto con un colpo d’occhio davvero eccellente. Va detto che anche la tribuna coperta ha ben risposto, mentre nel settore ospiti saranno presenti oltre 300 barlettani, che faranno il proprio ingresso sulle gradinate a pochi minuti dal fischio d’inizio. Altro signor numero se si tiene conto della categoria, del giorno feriale e della distanza tutt’altro che irrisoria (137 km) che mi ricorda come la Puglia con i suoi 432 km sia la regione più estesa d’Italia in lunghezza.

Quando le due squadre scendono in campo gli ultras martinesi si producono in una bella coreografia fatta di bandierone centrale e flash con torce ai lati. Considerata la criminalizzazione che si fa in Italia della pirotecnica (solito paradosso di un Paese che prima inventa e incentiva e poi demonizza) è davvero un piacere immortalare spettacoli simili, ormai sempre più rari. Su fronte ospite diverse torce accese sullo striscione da trasferta del Gruppo Erotico e primi possenti cori di sostegno alla squadra.

Al cospetto di una partita che – come degno copione di ogni finale d’andata – non decolla, con le squadre che si studiano e non pungono chiudendo le ostilità sullo 0-0, lo spettacolo più esaltante è ovviamente sugli spalti. A prescindere dai presenti (si potrebbe dire che è facile portare numeri in una finale, anche se poi bisognerebbe ricordarsi che parliamo della quinta serie del calcio italiano e di un periodo storico in cui pure organizzare una trasferta o fare aggregazione in curva è tutt’altro che semplice) queste sono le occasioni in cui penso che il tifo organizzato italiano, seppur nel suo calo fisiologico, resti unico al mondo per certi aspetti. Gruppi e tifoserie con storia dalla prima all’ultima categoria e un cambio generazionale che, sebbene sia più difficile che mai, ad alcune latitudini riesce ancora a compiersi. Oltre a due piazze storiche come quelle di oggi basta guardare le foto ogni domenica per rendersi conto del seguito ormai costante e strutturato acquisito da tantissime compagini di provincia, spesso lontane anni luce dal mainstream o dalle grandi città. Emulazione? Moda? Può darsi, ma è innegabile che il germoglio sia tutt’altro che morto. Poi si può discutere su come esso cresca e fiorisca. Ma per tanti (troppi) la famosa frase “l’ultras è finito” resta una scusa per mascherare propri insuccessi o rabbia per l’inevitabile conflitto generazionale.

Ai martinesi oggi posso davvero dire poco. Un tifo costante e intenso per tutti i novanta minuti, con una sciarpata nel finale e moltissimi battimani. Il vecchio murales degli Ultrà Martina che campeggia indelebile sul muro della Nord sembra quasi mettere nero su bianco la prosecuzione di una tradizione ben radicata, che quest’oggi ha dato prova latente della sua solidità.

I barlettani versione trasferta forse lasciano poco spazio al colore, alternando un primo tempo con il freno a mano a una buona ripresa, fatta di tante manate, potenti cori a rispondere e la bella sciarpata su Gente di mare. È la seconda volta che li vedo e confermano quella sensazione di “rudezza” che già mi avevano dato qualche mese fa a Canosa, contro il Corato. Probabile peculiarità delle tifoserie costiere, personalmente molto apprezzata. Soprattutto in un mondo di sfilate pure per andare in curva.

Anche il post partita merita menzione. I martinesi – costretti ad attendere l’uscita degli ospiti prima di poter abbandonare il proprio stadio – continuano a cantare dopo aver salutato la squadra. Stessa cosa fanno i barlettani, che non sembrano aver voglia di tornare presto nella città della Disfida. Sebbene le due tifoserie non si becchino palesemente sembrano farlo in maniera sibillina, con i barlettani che gridano un paio di cori contro Taranto, alludendo alla provincia di appartenenza dei padroni di casa, e i biancazzurri che non gradiscono ricordando la poca simpatia per il capoluogo.

Finito anche questo spettacolo non resta che riprendere la via di casa. La serata è fredda e di tanto in tanto un alito di vento sembra ricordarci come gran parte della Puglia sia situata tra due mari e abbia dall’altra parte della sponda Adriatica i Balcani, che da queste parti influiscono in maniera importantissima sul clima.

Il ritorno si giocherà giovedi 17, anche se non è ancora dato sapersi quale sarà la sede. La perenne indisponibilità dello stadio Puttilli ha infatti costretto il Barletta a chiedere ospitalità dapprima ad Andria (ipotesi poi scartata dal tecnico dei biancorossi che preferirebbe un manto sintetico), poi a Cerignola (ipotesi scartata per motivi di ordine pubblico) e infine a Molfetta. Sullo sfondo l’inquietante ipotesi di giocare nuovamente a Canosa alle ore 15, a causa del malfunzionante impianto d’illuminazione dello stadio San Sabino.

Simone Meloni