C’è un collegamento particolare che lega l’Italia e l’Albania. Le grandi migrazioni dei primi anni Novanta hanno portato una parziale sovrapposizione delle due culture. Stesso retroterra, stesso immaginario collettivo. Tuttavia, se è vero che sono molti gli albanesi che conoscono l’Italia, che parlano correttamente italiano (talvolta anche senza esserci stati), non è assolutamente vero il contrario. Pochissimi infatti gli italiani che sanno qualcosa di Tirana e della sua nazione. In questo sbilanciamento di conoscenze, il calcio non fa eccezione. Juventus, Milan, Inter sono tifate di qua e di là dall’Adriatico, al contrario chi saprebbe mettere in fila 5 squadre che partecipano alla “Kategoria Superiore”?

Anche per questo abbiamo fatto due chiacchiere con gli Ultras Guerrils, gruppo organizzato del Partizani Tirana, una delle squadre più importanti dell’Albania. Ci siamo scambiati, messaggi, mail, qualche vocale. Ci si è messo di mezzo un derby, qualche trasferta e tutta una serie di imprevisti che hanno rallentato la stesura dell’intervista, ma alla fine ci siamo riusciti. Prendetevi un po’ di tempo, che stiamo per raccontarvi la storia del Partizani Tirana e dei suoi Ultras.

Fondato nel 1946, ha vinto 15 campionati, collezionando anche 21 secondi posti, 15 coppe nazionali e, unica squadra albanese a riuscirci, si è imposta anche a livello sovranazionale, portando a casa la Coppa dei Balcani 1970. Tuttavia, negli anni duemila il Partizani ha vissuto una grande crisi che l’ha portato a sprofondare nelle serie minori. L’intervento dei propri tifosi è stato provvidenziale per una pronta risalita. Gli Ultras Guerrils sono nati nel 2010 dalla fusione di due piccoli gruppi “Brigada” e “Komandos”, creati rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Oggi la squadra e i suoi tifosi sono tornati nel calcio che conta.

Perché vale la pena raccontare la vostra storia?

Il mondo del tifo è pieno di storie bellissime e particolari. La nostra, per come siamo nati e cresciuti, possiamo dire che è davvero unica. Sembra una frase fatta, che di certo dicono in tanti. Ma le cose che abbiamo fatto noi, gli ostacoli che abbiamo superato, con tutte le difficoltà che abbiamo affrontato, hanno reso questa definizione più vera che altrove.

Bene ci avete convinto. Andiamo avanti, anzi partiamo dall’inizio.

La storia del nostro gruppo nasce tra gli anni 2008-09, anni che vedono il nostro club prima lottare per il campionato – e perderlo clamorosamente in una finale da dimenticare – e poi la stagione successiva, battersi per la salvezza fino alla fine, con grandi problemi finanziari, giocatori non pagati e, inoltre, con la squadra buttata fuori dal centro di allenamento, storica sede del club, per mano dello Stato.

Quindi una situazione davvero complicata. Se non addirittura disperata.

Infatti arriva la retrocessione. Anche a causa di decisioni arbitrali contrarie, che si concretizzano durante la finale salvezza, quando Arjan Mali, il guardalinee, alza clamorosamente la sua bandierina e annulla un gol regolare. L’intenzione era distruggere il club, facendolo retrocedere.

Ma come succede spesso è nelle difficoltà che si creano le condizioni migliori per andare avanti. Ed è così che in quei due anni orribili si creano due piccoli gruppi: Brigada e Komandos. Date le difficoltà del momento e il comune obiettivo di sostegno alla squadra i due gruppi decidono di unirsi nel marzo del 2010 dando vita proprio agli Ultras Guerrils.

Il biennio 2008-09 rimarrà sempre ben chiaro nella mente dei componenti del nostro gruppo, come simbolo e ricordo di cosa è successo in quegli anni. Da lì inizia tutto. Da lì nasce, oltre alla passione, anche la mentalità ultrà.

È l’inizio di una strada lunghissima, non sempre in salita, ma che deve fare i conti anche con un’altra retrocessione, che spedisce una delle squadre più titolate d’Albania in terza divisione. Inoltre in quegli anni non si placa la contestazione al presidente Xhani, che era iniziata già nelle passate stagioni. Tuttavia è indubbio il cambio di marcia sugli spalti.

Dal 2010 fino ad oggi siamo stati presenti in tutte le partite sia in casa sia in trasferta, anche se molte partite si giocavano in piccoli campi sportivi o in località che nessuno di noi avrebbe pensato mai di visitare. Siamo nati dalla necessità e dal bisogno, non dall’euforia di un trofeo, non da una stagione bella con grandi giocatori. E dobbiamo dire che nella storia del Partizani di grandi giocatori e di stagioni stupende ce ne sono state.

Nella sconfitta, nella retrocessione, nel pericolo di scomparire, è lì che i tifosi hanno dato un senso al loro sterminato amore.

Siamo stati pronti a subire, a rischiare, a fare di tutto pur di salvare la nostra passione, il nostro orgoglio e ciò che amiamo di più nella vita: il nostro club.

Al di là dell’entusiasmo però fare i conti con la realtà, è molto più difficile.

Negli anni in cui non c’erano soldi per pagare i giocatori abbiamo contribuito con iniziative, coinvolgendo tutta la città e le scuole. Abbiamo sostenuto la squadra, ma allo stesso tempo abbiamo protestato contro il presidente. Abbiamo manifestato di fronte ai tribunali che volevano demolire il centro sportivo per costruire palazzi.

Difficoltà che avrebbero affossato anche realtà più strutturate.

Non ce l’abbiamo fatta a risalire, l’anno successivo eravamo solo noi. Pochi, ma sempre contro tutti e tutto.

La retrocessione in terza divisione rappresenta il punto più basso della storia del club, talmente basso da metterne in dubbio l’esistenza.

Aggrediamo il presidente del club. Qualcuno va in prigione, ma a Xhani viene tolto il club.

Inizia un nuovo percorso: pochi soldi e molta passione.

Non c’è nessuna distinzione tra club e tifosi: andiamo in tutti gli stadi dell’ultima categoria, facendo anche coreografie o tenendole pronte per qualche partita in cui avremmo giocato in un vero stadio.

Grazie all’autofinanziamento vengono pagate le trasferte e i giocatori e alla fine arriva la promozione.

E non c’era nessuna cravatta in campo a festeggiare. Solo tifosi e giocatori. Oddio forse l’unico con la cravatta era l’autista del pullman della squadra. Lui era stato la nostra “tribuna vip” per tutta la stagione.

E quando tornate in alto che cosa succede nella scena calcistica e del tifo in Albania?

Riaccendiamo il derby con il nostro arrivo, lo mettiamo sulla strada della mentalità: coreografie, trasferte massive, aggregazione. Creiamo problemi a tutti: alla federazione, ai media, trasferte in Europa.

Per capire l’evoluzione del livello del tifo basta semplicemente vedere qualche foto tra diversi anni e si capisce subito la differenza e la crescita. Ma vorrei comprendere un po’ meglio lo scenario del tifo in Albania.

A dire la verità è ancora ai primi passi e deve fare tanta strada. Noi abbiamo sempre cercato di realizzare delle grandi cose, ma non ci sono tanti gruppi, e quelli che ci sono hanno la tendenza a seguire esempi “negativi” del tifo moderno, troppo attenti allo show e alla voglia di apparire e di essere in tutti i modi protagonisti. Si vedono cose strane, senza coerenza e mentalità. 

Ma giusto per capirci le partite sono molto seguite?

Le partite non sono seguite tutte allo stesso modo, i tifosi occasionali esistono anche qua. Ma una cosa interessante, e che ci fa piacere, è che ovunque va a giocare il Partizani lo stadio è sempre pieno di tifosi avversari.

Un altro problema in Albania è la tendenza ad abbandonare la propria squadra nel momento in cui le cose non vanno bene. Si boicotta il club.

Ci sono gruppi che hanno più mesi di boicottaggio che mesi di attività nella stessa stagione. E questo non è proprio una cosa bella né per loro ma neanche per il mondo Ultrà.

Noi ci immaginiamo sempre i vostri stadi come più liberi rispetto a quelli italiani. Ci sono leggi restrittive come la Tessera del Tifoso in Italia?

Questo anno è entrata in vigore la nuova legge per lo sport che mutua molte indicazioni della Comunità Europea, come molti divieti e restrizioni. Ma la scorsa stagione abbiamo vinto un’importante battaglia e che ha impatti anche su questa nuova legge: l’ordine pubblico allo stadio dev’essere a cura degli steward e non più della polizia, che ci creava sempre problemi, con provocazioni, risse e arresti. L’iniziativa era partita proprio dal nostro gruppo, che aveva regolarmente questo tipo di problemi. Oggi negli stadi non ci sono poliziotti e questa è una piccola vittoria degli Ultras.

Da un punto di vista culturale e politico come vi posizionate?

Dal punto di vista culturale e politico il Partizani deve unire e non dividere. È la squadra di tutti e non possono esserci eccezioni. L’Albania è un paese troppo piccolo per dividerci e stabilire un’appartenenza politica come condizione per far parte della nostra tifoseria. Chiunque può, individualmente, esprimere le proprie idee e volontà politiche, ma allo stadio abbiamo tutti un ideale: il Partizani. Detto questo, per rappresentare il Partizani dobbiamo trasmettere i valori e il significato del nostro club, e quindi non siamo razzisti, non discriminiamo su base territoriale, nazionale, religiosa. E non accettiamo nessuna forma di discriminazione. Abbiamo fatto delle iniziative sociali facendo donazioni a famiglie povere, che purtroppo in Albania sono molte. E per questo odiamo tutti i partiti e tutta la politica in Albania. E quando c’è stata l’occasione abbiamo attaccato tutti, senza peli sulla lingua, anche quei politici che si proclamano nostri tifosi.

E quali sono i rapporti ufficiali con la squadra?

I rapporti con la squadra e con il club sono rapporti di rispetto e di sostegno. Siamo molto legati ai colori del nostro club e esigiamo da loro solamente che trattino la maglia con grande passione e massimo rispetto. Li sosteniamo in qualsiasi occasione, basta che lottino per noi e noi lottiamo per loro. Semplice.

Seguite anche la nazionale?

Per quanto riguarda la nazionale la sosteniamo, ma non come gruppo organizzato, cosa che fanno quasi tutti i gruppi in Albania. Abbiamo deciso di seguire un’altra via, diversa dagli altri.

Nel periodo in cui siamo nati, quasi tutti i gruppi cercavano di apparire durante le partite della Nazionale, che erano diventate un palcoscenico cercato da tutti. Per noi no, abbiamo pensato che era meglio esserci, che apparire e abbiamo seguito questa strada. Comunque la Nazionale oggi è diventata un business di scout di agenti e di sponsor mediatici. 

Siamo arrivati alla fine dell’intervista, volete aggiungere qualcosa?

Tra tutto quello che è successo abbiamo sempre cercato di fare tutto a modo nostro, con l’obiettivo di diventare un gruppo importante in Europa. Abbiamo molta strada da fare, ma con molta determinazione arriveremo là dove vogliamo! Orgoglio, passione e unicità. Questo ci contraddistingue e ci fa pensare che la nostra storia è unica. Ci sono ancora molti libri da scrivere, molte canzoni da cantare, coreografie e bandiere da sventolare e qualche titolo che dobbiamo ancora vincere.

Gianni Galleri