Molti non lo sapranno proprio, qualcuno forse l’avrà dimenticato ma c’è stato un giorno, esattamente trent’anni fa, in cui il Pontedera batté la nazionale di calcio azzurra guidata dall’allora selezionatore Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano, nazionale che poi sarebbe arrivata fino in fondo al Mondiale degli Stati Uniti battuta solamente ai rigori dal Brasile in finale. La vittoria dei granata sul campo di Coverciano ovviamente ai tempi fece scalpore, i titoloni sui giornali sportivi non mancarono come del resto le critiche alla guida di quell’Arrigo Sacchi che ha da sempre diviso l’opinione pubblica con la sua convinzione che gli schemi avessero la predominanza sui singoli giocatori.

Oggi a Pontedera, per ricordare l’evento, durante l’intervallo della partita vengono premiati gli artefici di quell’impresa: targa ricordo per tutti, dall’allora tecnico dei toscani al presidente passando per ogni singolo giocatore. Una bella reunion ed una gran bella iniziativa come se ne vedono poche sui nostri campi di calcio. Ormai, soprattutto nella massima serie, non manca partita in cui le squadre non entrino in campo con uno striscione per questa o quella associazione o per portare a galla una problematica sociale; onore al gesto ed al gentil pensiero ma questa continua sovraesposizione non fa altro che normalizzare gli eventi all’interno di una scontata routine, con la conseguenza immediata che ormai nessuno fa più caso a ciò che recita lo striscione, depotenziando – e di gran lunga – la pur lodevole proposta.

Quel che ammazza il calcio è la ripetitività. In settimana si giocherà un intrigante Milan – Roma di Europa League, una competizione relegata quasi ai margini in favore della più nobile Champions League. La sfida tra due squadre italiane in campo europeo, per di più entrambe in buona forma, attrae sicuramente gli appassionati di calcio, ben più di una partita di cartello di Champions. L’introduzione della tanto biasimata Superlega può essere il toccasana nell’immediato ma in un progetto a medio-lunga scadenza la ciclicità di alcune sfide rischia di farle sembrare come una normale gara di campionato, invece di conferirle quell’aura da grande occasione da seguire a tutti i costi, allo stadio oppure sugli schermi televisivi per i meno audaci.

Sfida molto meno nobile rispetto al panorama europeo è quella che si gioca questo pomeriggio al Mannucci di Pontedera, giornata caratterizzata da un sole ed una temperatura tipicamente estiva che poco ha a che vedere con l’inizio di aprile. A far visita ai granata si presenta l’Ancona che viaggia in classifica ai margini della zona play out perciò non mi sarei aspettato una presenza corposa di tifosi. Una volta entrato allo stadio, mi devo subito ricredere, dalla Marche giungono un buon numero di tifosi, gli ultras della Curva Nord vanno ad occupare uno spicchio del settore ospite e lo tappezzano di pezze e striscioni. Se l’aspetto numerico non è da disdegnare, il sostegno vocale forse è ancora migliore, infatti per tutta la durata della partita i presenti alternano cori secchi ad altri più prolungati ma di momenti di silenzio non ne ricordo neanche uno. Solamente nell’intervallo della partita c’è il rompete le righe, per il resto il sostegno alla squadra parte fin dall’inizio della partita ed arriva con la medesima intensità fino al triplice fischio del direttore di gara. Anche l’estetica non lascia a desiderare: un paio di bandieroni sventolano ai margini del gruppo mentre le bandiere a due aste si alzano nei vari momenti della partita. Gli anconetani senza inventare nulla di nuovo riescono a tifare alla grande, come non ti aspetteresti da una tifoseria che ha la squadra che lotta nei bassifondi. Magari avevo poche aspettative sulla partita in questione ma i marchigiani si confermano tifoseria navigata, un pomeriggio dove espongono i fondamentali del tifoso o dell’ultras che dir si voglia: presenza, colore e sostegno vocale, cosa chiedere di più?

Padroni di casa che si ritrovano invece in gradinata nord, covo del tifo di marca granata, battimani e cori accompagnano l’incontro, magari numericamente potrebbe essere fatto qualcosa di più, però tifare in un paese non è mai troppo facile. Tanto per fare un salto nel passato, ai tempi della vittoria contro la nazionale di Sacchi, si parla di metà anni novanta, Pontedera aveva un seguito niente male: erano anni dove in Toscana, ma anche nel resto dell’Italia, ogni paese, ogni frazione, aveva il suo seguito di ultras, spesso anche con numeri interessanti. Poi c’è stato il repentino calo, la disaffezione, la fuga dagli stadi. Le motivazioni sono molteplici e stilare una classifica tra queste diventa impresa ardua. Sicuramente non è possibile pensare ed affermare con certezza che sia la violenza la causa di questa desertificazione degli stadi di calcio, chi ha i capelli bianchi e qualche anno sulle spalle non può non ricordare che negli anni ottanta, nelle curve ed anche nelle strade, girava di tutto, il livello di violenza era ben al di sopra del consentito, anche se tutto (o quasi) veniva derubricato a scaramucce tra tifosi. Oggi ci indigniamo per un giocatore che sventola una bandiera irriverente l’avversario dopo un derby vinto: diciamo pure che di strada verso il politically correct ne abbiamo fatta fin troppa, basta trovare un pretesto per far notizia, spesso e volentieri con accezione negativa. Perché è questo che interessa l’opinione pubblica, scandalizzare anche quando non c’è motivo.

Valerio Poli